Si è chiuso il Napoli Teatro Festival, la leggerezza del teatro che verrà
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ARTICOLO DI AMEDEO JUNOD
Dopo l’importante successo di pubblico della quinta edizione del Napoli Teatro Festival nel giugno scorso, con la partecipazione di nomi quali Peter Brook e Noa, la chiusura del Festival dal 25 a al 30 settembre ha confermato l’evento come un imperdibile appuntamento per chi ama un teatro cosmopolita e innovativo.
Il recupero settembrino del Festival ha regalato altri 7 spettacoli, stavolta prediligendo le produzioni locali, sempre nel segno del tema dell’anno: la “leggerezza”. Leggerezza che si fa danza leggiadra e spericolato equilibrismo con “Hans was Heiri”, sorprendente parabola visiva del duo svizzero Zimmermann & de Perrot, che ha aperto il festival. Performance, musica, circo, sculture umane e tanto altro. Con un linguaggio drammaturgico che supera i confini tra le arti, lo spettacolo inscena la decostruzione della vita quotidiana di 5 personaggi, che poi diventano otto, dieci, chissà quanti, frammentando i corpi, trasformandosi in manichini, e poi in danzatori, giocolieri, equilibristi, in una dialettica mimetica che sperimenta geometrie in continua trasformazione grazie anche ad un apparato scenico davvero suggestivo, costituito da un’enorme scatola rotante divisa in quattro stanze vertiginosamente fatte roteare assieme ai protagonisti, costretti a correre come criceti sulla ruota e rilanciando in continuazione il tema della fragilità delle nostre identità, facendo risplendere il cuore metafisico dell’arte circense, sublimata in una parabola sull’ equilibrio della personalità, della mente, del corpo di questa nostra società, sempre più simile ad un “mondo alla rovescia”.
E’ invece un’Antigone “politica” quella interpretata da Gaia Aprea, per la regia di Luca De Fusco. Restituire la modernità del classico greco è chiaramente l’intento dello spettacolo , che dirotta la sinossi originale per guardare all’attualità: il tema della sepoltura si trasforma nel dilemma morale dell’accanimento terapeutico, con un Polinice tenuto in vita da un respiratore artificiale, privato così della dignità , quella dignità che la sorella Antigone vuole restituirgli, spinta da un’idea di vita che non può assolutamente appiattirsi sulla “nuda vita” della biologia, né tantomeno dissolversi nei cavilli legali del legislatore, puro amministratore di una giustizia formale e vuota, arida di umanità . Legge naturale contro legge degli uomini, i dilemmi della morale e quelli del desiderio.
Una scena dell’ Antigone di Valeria Parrella, con regia di Luca De Fusco, andata in scena al Teatro Mercadante il 25 e il 26 settembre.
Oltre ad "Antigone", il festival ha regalato un’altra rilettura partenopea di un grande classico, grazie allo spettacolo di Gabriele Russo. “Odissea Napoletana - in assenza del padre” rivisita il poema omerico focalizzando l’insolito punto di vista di Telemaco alla ricerca di Ulisse. Il cuore dell’opera è sicuramente il tema del rapporto padre-figlio, e più in generale delle impronte dei padri, in un’era come la nostra in cui la figura del Padre appare ormai ovunque al collasso ( famiglia, società civile, politica ). Eroismo, maturità, responsabilità. Tanti gli spunti e le riflessioni che lo spettacolo consegna al pubblico come questioni aperte, senza moralismi di sorta o facili sociologismi.
Grande sorpresa poi con “TA-KAI-TA ( eduardo per eduardo )” , originale omaggio del regista Enzo Moscato a Luisa De Filippo ( sulla scena Isa Danieli ) , un modo per interrogarsi in maniera inedita sulla figura del padre Eduardo, una delle più grandi voci del Teatro Italiano di sempre. Con “LINAPOLINA - le stanze del cuore”, Lina Sastri ha incantato il pubblico, sfoderando un repertorio collaudato e sempreverde della canzone napoletana ( si passa da “Era de Maggio” a “Maruzzella” ). La Sastri ha calcato le scene con lo charme che da sempre la contraddistingue e ha ammaliato gli spettatori con la sua inconfondibile timbrica graffiata e carnale e la sua fisicità mediterranea e materna. Uno spettacolo sui sentimenti più semplici e più potenti: la nostalgia , il risentimento, la gioia della danza, l’amore fatale che può cambiare un destino. Il presente incerto, un passato ormai tramontato e un futuro tutto da costruire, per pensare alle radici della nostra cultura popolare. Un’idea precisa di come il pathos partenopeo possa toccare corde universali.
Infine grande serata di chiusura con “C’è del pianto i queste lacrime” e “O' Paparascianno”. Nel primo spettacolo Antonio Latella ha avuto addirittura l’ardire di riproporre una delle tradizioni campane più discusse, quella della “sceneggiata”, regalando una piacevole riflessione sull’identità della cultura napoletana nel contesto di un’industria culturale ormai massificata e seriale. Nel secondo, la regista Laura Angiulli rispolvera un testo di Antonio Petito scritto nel 1872, una farsa sull’identità del popolo e della borghesia, tutta costruita attorno alla maschera tragica e comica di Pulcinella, con tutte le ambiguità, i pregi e i difetti, in cui Napoli e il Sud, con un misto di simpatia e vergogna, può ancora identificarsi.
Lo spettacolo LINAPOLINA , drammaturgia e regia di Lina Sastri, è andato in scena al Teatro Diana il 27 e il 28 settembre, confermando una volta di più l’attrice e cantante come una delle maggiori interpreti della cultura napoletana.
Non resta quindi che aspettare la sesta edizione, sicuri di trovare nel “Napoli Teatro Festival” un’occasione più unica che rara di fusione tra tradizione e avanguardia, teatro del Mondo e talento locale, senza preconcetti né snobismi estetici. Un teatro che voglia dirsi europeo ha bisogno di questo.