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Shirin Ebadi: «Tutti i giovani iraniani sono dei potenziali giornalisti»

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Default profile picture Valeria La Rosa

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In visita in Spagna a metà gennaio, l’avvocato iraniano Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace nel 2003, si trova a dialogare con i suoi confratelli madrileni. Un’occasione per sentirla parlare dei movimenti sociali del suo paese.

Le elezioni presidenziali iraniane dello scorso giugno hanno proclamato Mahmoud Ahmadinejad presidente dell’Iran con il 62,6% dei suffragi. Un’elezione? Piuttosto uno scherzo, per quanto abbia fatto ridere.Dal momento in cui sono stati annunciati i risultati, sono stat innumerevoli le voci che si sono sollevate, in Iran e altrove, per denunciare questa messinscena che ha avuto luogo durante il processo elettorale. Osservatori internazionali ai quali è stato impedito di osservare, urne gremite, altre rubate, tassi di partecipazione oltre il 100% in alcuni villaggi: le numerose testimonianze lasciano pochi dubbi sulla veridicità della frode.

Secondo fonti ufficiali, sarebbe stato in realtà il candidato riformatore Mir Hussein Moussavi ad arrivare in testa con il 45,2% dei voti, seguito da Mehdi Karoubi, l’altro candidato riformatore. Al fortunato vincitore, in compenso, non sarebbe spettato altro che il terzo posto sul podio con il suo 13,6% di voti. Subito dopo l’annuncio dei risultati, milioni di iraniani sono scesi per le strade per manifestare il proprio malcontento. «Where is my vote?», si è poteva leggere sui pannelli scarabocchiati a volte in farsi e altre in inglese. In maniera molto rapida, il popolo iraniano ha trovato un prezioso alleato nell’altro popolo persiano sparso per il mondo, quello costituito della diaspora, anche loro a chiedersi che fine avesse fatto il proprio voto.

I media imbavagliati

In Europa si è parlato molto delle elezioni iraniane. Secondo Shirin Ebadi, i due media stranieri Voice of America e BBC sono stati bloccati dall’inizio delle manifestazioni. «I giornalisti stranieri sono stati respinti e coloro che si trovano a Teheran non hanno il diritto di trasmettere le informazioni. In Iran la censura è estrema. Secondo Reporters sans frontières, si tratta del paese con il numero più alto al mondo di giornalisti imprigionati», continua. Anche in prigione i manifestanti sono giudicati dal governo come “una minaccia alla sicurezza dello Stato”. In questo clima, «le nuove tecnologie hanno permesso a tutti i giovani iraniani di trasformarsi in potenziali giornalisti. È solamente grazie a loro se l’informazione continua ad essere trasmessa all’estero», conclude Shirin Ebadi, oggi impegnata in una ONG vietata in Iran, il Cerchio dei difensori dei diritti dell’uomo, che si occupa giustamente di difendere gratis i prigionieri politici.

Una mobilitazione profonda

Un’onda verde si è abbattuta sull’Iran e continua a lasciarne la sua traccia indelebile. Il verde è il colore di Moussavi, il candidato triste. Ma anche dell’Islam e della libertà. In questo conflitto, gli iraniani fanno mostra di una grande intelligenza: non reclamano la democrazia e non contestano il regime. Chiedono semplicemente di far sentire la propria voce e che non gli venga negata la libertà di scegliere il proprio dirigente politico. L’unica cosa che gli iraniani rivendicano oggi è l’annullamento delle elezioni. Dall’interno dello stesso apparato politico-religioso iraniano si sono sollevate delle voci di dissenso: da una parte per condannare la frode elettorale, e dall’altra per condannare la violenza usata contro i manifestanti. In particolar modo, il grande ayatollah Montazeri aveva definito i risultati elettorali come «qualcosa che nessuno spirito sano può accettare». Per questo Shirin Ebadi respinge qualunque intervento esterno: «ciò che ci aspettiamo dall’ Occidente è la solidarietà. Fate pressione sui vostri governi affinché, parlando dell’Iran, venga trattata la violazione dei diritti dell’uomo e non solamente la questione nucleare».

«Niente sarà più come prima»

Da otto mesi, la mobilitazione non si placa. E neanche la violenza della repressione. Dato che le manifestazioni ostili al governo sono vietate, i manifestanti hanno adottato altre strategie e approfittano per esempio delle manifestazioni ufficiali religiose per scendere in campo ed invadere le strade.Nessuno sa come si evolverà questa rivolta post elettorale, ma è certo che nel caso in cui le proteste dovessero proseguire, «questo movimento non si spegnerà dall’oggi al domani. La rivoluzione iraniana del 1979 era già cominciata tre anni prima», aggiunge la ricercatrice Azadeh Kian-Thiébaut. Rifiutandosi di ascoltare il popolo, il governo potrebbe trovarsi tra poco sul punto di doversi scavare la tomba con le proprie mani. Secondo Shirin Ebadi, «il popolo è stanco e non ha nulla da perdere. Il governo l’ha privato di tutto: della sua fierezza, della sua storia e dei suoi diritti». Questa frode elettorale, insieme alla risposta violenta da parte dello stato alla legittimità e al carattere pacifista delle manifestazioni, danno il colpo di grazia alla mutazione della Repubblica islamica in dittatura. «Niente sarà mai più come prima», affermano gli Iraniani in esilio a Parigi.

Crédit photos : Steve Rhodes/flickr - Amnesty International/flickr

Translated from « Tous les jeunes Iraniens sont de potentiels journalistes »