Sessant'anni di Berlinale tra guerra fredda e avanguardia
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Alba FortiniA Berlino, nel corso della propria storia, il festival internazionale del film è stato il terreno di manovre politiche. Fondata dagli alleati a Berlino Ovest per renderla una vetrina del mondo “libero” e fare marameo ai dittatori comunisti, nel corso degli anni la Berlinale è diventata un appuntamento imperdibile del cinema mondiale.
La Berlinale, o l’arena delle battaglie ideologiche. È Alfred Hitchcock ad inaugurare la prima edizione del festival nel 1951 e ad inserirla stabilmente nella tradizione cinematografica dell’Europa occidentale e dell’America. Quando Willy Brandt, allora sindaco di Berlino, tiene il suo discorso di apertura nel 1958, egli sottolinea l’importanza del festival come simbolo di una città affacciata sul mondo, tollerante, in opposizione al gigante comunista. Alcuni giorni dopo, il leader dell’Unione Sovietica Nikita Chruščëv dà agli alleati l’ultimatum per abbandonare Berlino Ovest. Bisognerà aspettare la metà degli anni Sessanta e la privatizzazione dell'organizzazione del festival, fino ad allora in mano al Governo della Germania Ovest, perché la rassegna si apra al cinema dell’Europa orientale, senza tuttavia che le tensioni spariscano.
La guerra fredda
La controversia segnata dalla guerra fredda non finisce qui. Nel 1970, O.K. di Michael Verhoeven, che mette in scena lo stupro e l’uccisione di una giovane vietnamita per mano di soldati americani, fa scandalo e porta all’annullamento della competizione. C’era, infatti, il rischio che la giuria gli assegnasse l’Orso d’argento, decisione insostenibile per alcuni organizzatori. Nel 1970, The Deer Hunter (Il cacciatore) di Michael Cimino, che descrive in modo molto critico la società vietnamita comunista, è accolto con severità dagli Stati socialisti, una parte dei quali boicotta il festival. La Berlinale è anche teatro dei litigi fra gli Stati comunisti: in seguito alle proteste della Polonia, la Germania Est ritira dalla competizione il film Der Aufehthalt (RDA, 1982-3) di Wolfgang Kohlhaase, che porta sullo schermo alcuni prigionieri tedeschi nei campi polacchi nell’immediato dopoguerra.
E l'Avanguardia
A queste battaglie ideologiche si aggiunge il sostegno ad un’avanguardia artistica provocante. A segnare il festival è la Nouvelle Vague di registi degli anni Sessanta, che sconvolge le convenzioni cinematografiche e i costumi ingessati dell’epoca. Così Jean Luc Godard ottiene l’Orso d’argento nel 1960 per A bout de souffle (Fino all’ultimo respiro), che lancia nuovi standard narrativi. Il festival porta al successo Michelangelo Antonioni con La notte e vari registi tedeschi, fra cui Werner Herzog, premiato all’età di ventisei anni con l’Orso d’argento nel 1968 e quest’anno presidente della giuria, o l’imperdibile Rainer Werner Fassbinder (Die Ehe der Maria Braun, Il matrimonio di Maria Braun).Questa difesa dell’avanguardia riappare nel 1976, quando Ai no corrida (L’impero dei sensi) di Nagisa Ôshima, già censurato in più Paesi, viene proiettato durante il festival. In occasione della prima proiezione, la pellicola viene confiscata dalla polizia tedesca per via del suo contenuto «pornografico».
Per festeggiare i sessant’anni, la Berlinale celebra la propria storia proiettando una selezione di capolavori, fra cui Ikiru (Vivere) di Akira Kurosawa, A bout de souffle, La notte, Lebenszeichen, Central do Brasil, The Deer Hunter. Nonostante fosse previsto anche O.K., il film non sarà proiettato per volere del produttore.
Translated from Berlinale: 60 ans de cinéma et de politique