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SENZA LA TURCHIA, SENZA IL CAUCASO: L’UE DEVE VOLGERSI A SUD-EST?

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La dissoluzione dell’Impero sovietico ha significato, per alcuni degli Stati sorti o risorti dalle sue ceneri, un problema di collocazione internazionale, finanche di definizione storico-geografica.

La dissoluzione dell’Impero sovietico ha significato, per alcuni degli Stati sorti o risorti dalle sue ceneri, un problema di collocazione internazionale, finanche di definizione storico-geografica. Questa è stata la situazione di Georgia, Armenia ed Azerbaijan. Subito questi tre Paesi si sono rivolti alle istituzioni europee ed ai loro membri, per rendere effettiva un’indipendenza che, nel 1991, appariva meramente formale. Si pose subito un problema di fondo, lo stesso che si è posto e si pone ancora oggi per la Turchia: questi Paesi sono europei o no? Il Consiglio d’Europa risolse quasi immediatamente per il sì ed avviò il processo per accoglierli nel suo seno.

Ma è soprattutto all’Unione Europea che i tre Stati guardano. Il Presidente georgiano Sheverdnadze lo ha ribadito chiaramente durante il suo primo discorso di fronte al Parlamento Europeo, lo scorso 18 marzo. La regione sud-caucasica deve liberarsi da un alto tasso di corruzione, creare una nuova classe imprenditoriale indipendente dal potente di turno, rafforzare le giovani e fragili istituzioni democratiche. Ogni Paese deve, in primo luogo, ancora conquistarsi la reale sovranità sul suo territorio e sulla popolazione che vi risiede, per sottrarle al controllo esercitato de facto da gruppi criminali di varia natura. Risolvere i conflitti esplosi durante il decennio passato è la conditio sine qua non per abbassare le tensioni di natura etnica e creare quella vera cooperazione regionale che l’Unione ha giustamente riconosciuto come necessaria per il miglioramento delle condizioni di vita di ognuno dei tre Stati.

Gli Stati Uniti stanno agendo in tal senso addestrando, dall’autunno 2001, le guardie di frontiera georgiane e le forze di polizia azere, nell’ambito della ‘guerra al terrore’. Un intervento più attivo dell’Unione non avrebbe le conseguenze negative che questo ha avuto, perché da un lato agirebbe a livello strutturale, dall’altro si svolgerebbe in armonia e cooperazione con i Paesi confinanti. Il Parlamento Europeo, nel 2001, ha dibattuto la proposta di creare una ‘variante sud’ della Dimensione settentrionale creata per le tre Repubbliche baltiche . In quel caso si è creata una serie di iniziative transfrontaliere decise ed attuate dall’Unione, dai tre Stati in questione e da tutti i Paesi limitrofi, Russia compresa. Pietra angolare era la chiara prospettiva di adesione dei tre Stati.

L’Unione sta già spingendo per una politica di cooperazione tra le tre Repubbliche e gli Stati vicini. Essa ha, ad esempio, indicato alla Turchia la riapertura delle frontiere con l’Armenia come una delle pre-condizioni per l’inizio dei negoziati di adesione . Lo Stato anatolico ricopre infatti una posizione-chiave per il futuro della regione caucasica. Il progetto, vagheggiato all’inizio degli anni Novanta, di estendere la propria influenza fino al Turkestan Orientale (l’attuale provincia cinese del Xinjiang) è di fatto tramontato. Al di là di qualche scatto retorico, Ankara non possiede la forza economica o politica per perseguire un disegno aggregativo tanto ambizioso. Le stesse debolezze strutturali impediscono alla Russia, il cui tentativo di rimanere il fulcro di un’unione delle regioni post-sovietiche.

Oggi la Turchia si volge verso l’Unione Europea, che, allargandosi agli ex-satelliti sovietici dell’Europa centrale, si propone come un vero polo di aggregazione libero dai disegni egemonici di un singolo Stato. Le relazioni con Ankara sono il vero banco di prova per un’Unione che voglia giocare un ruolo più attivo nel mondo, in primis nelle regioni limitrofe. Se ritiene che il traffico di stupefacenti e di individui che passa per il Caucaso, il terrorismo che si annida in un territorio mal controllato, i crescenti flussi a sfondo economico e politico meritino la propria attenzione, l’Unione deve volgersi al Caucaso. La forma, che si tratti di una prospettiva di adesione o di un nuovo Patto di Stabilità, è questione per il momento eludibile. Ma senza la Turchia non ci sarà un confine comune con queste piccole Repubbliche. Soprattutto, se si esclude l’ingresso turco, l’Unione si condannerà ad essere chiusa nei confini fissati a Copenhagen e quel grande corridoio di merci, energia e cultura che è l’Europa del Sud-Est si fermerà ai Balcani, senza continuare fino al Caucaso.