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Schröder colomba della pace?

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Perché, dopo la crisi irachena, la posizione internazionale di Berlino non sarà mai più la stessa.

Una “mostruosa ingratitudine”, ebbe a strillare la prima pagina del The Daily Mail dell’11 febbraio scorso. Quel titolo al vetriolo era la conseguenza del veto della Germania alla richiesta della Turchia alla Nato per i missili patriot e gli aerei di ricognizione AWACS, in modo da difendersi contro possibili aggressioni da parte dell’Iraq.

Ma la crisi della Nato è solo l’ultimo di una serie di eventi nella lenta escalation di Washington in vista di una guerra contro l’Iraq. Un’escalation che ritrae ormai una “conciliante Vecchia Europa” opposta ai guerrafondai dell'amministrazione Bush.

Ma la feroce critica di Germania e Francia non ha viaggiato solo attraverso l’Atlantico ma ha anche, e piuttosto fastidiosamente, coinvolto l’unità europea, e i rapporti oltre Manica. L’amministrazione Bush e i tabloid anglo-americani sono acuti nel ricordare alla Germania e agli altri europei la “pacificazione” da loro operata in base alla quale, se non fosse stato per il sostegno militare statunitense durante la II Guerra mondiale, il Vecchio Continente vivrebbe oggi sotto il Nazismo.

Guardando ai passati decenni, i motivi di dissenso sembrano provenire naturalmente dalla Francia. Ma perché la Germania, un paese che fin dalla fine dell’ultimo conflitto ha beneficiato di una relazione speciale con gli Stati Uniti, si è posizionata in maniera così dogmatica contro la politica estera americana? Quali sono le conseguenze di tale posizione radicale? Quali conseguenze per l’Europa? Sopravviveranno le relazioni transatlantiche scampando a questi blocchi?

Nessun’altra alternativa

Vi sono molte ragioni dietro l’opposizione della coalizione rosso-verde alla guerra. Ideologicamente, l’SPD e i Verdi, soprattutto i Verdi, sono favorevoli al contenimento e alle sanzioni economiche come alternativa alla belligeranza. E per ragioni storiche ed ovvie, la popolazione tedesca nell’insieme è riluttante a esser coinvolta in una guerra e a porsi sul versante degli aggressori.

In effetti l’opinione pubblica tedesca del momento è completamente contraria alla guerra. Ne furono un riflesso i risultati delle elezioni federali nel settembre 2002, quando fu proprio la tanto sbandierata opposizione alla guerra contro l’Iraq a dare a Gerhard Schröder il vantaggio sul concorrente Edmund Stoiber.

Un altro importante fattore che influenza la posizione tedesca è lo stato critico dell’economia nazionale. Schröder sta avendo immense difficoltà a contenere la spesa statale, e la crescita tedesca è stata più lenta di quella di qualsiasi altro membro UE nell’ultimo decennio. La guerra non può esser il miglior modo di risollevare l’economia.

C’è anche il timore in alcuni circoli politici che una guerra contro l’Iraq possa comportare “altre guerre” nelle quali venga coinvolta la Germania – la guerra al terrore e la guerra contro le armi di distruzione di massa (ADM).

Attaccare l’Iraq potrebbe causare una reazione nel mondo musulmano e portare acqua al mulino dei gruppi terroristi. L’Iraq, inoltre, se possiede davvero le ADM, certamente non ne ha il monopolio. E la guerra in Iraq potrebbe creare un precedente pericoloso, e portare la comunità internazionale ad essere persuasa dell’opportunità di disarmare altri regimi, quello nord-coreano per esempio? La Germania pensa che sarebbe più coerente non solo proseguire con le ispezioni sugli armamenti iracheni, per le ragioni sopra menzionate, ma anche perché ne verrebbe un ragionevole precedente per il futuro disarmo di stati canaglia.

In qualità di attore di spessore mondiale la Germania è attivamente coinvolta in una varietà di istituzioni internazionali. È stato interessante osservare nelle recenti settimane come le varie alleanze politiche (formali ed informali) di vecchia data che coinvolgono la Germania, abbiano reagito alla “sfida” franco-tedesca alla politica estera USA. La Germania è stata inoltre recentemente eletta per due anni, come uno dei 10 membri non-permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il suo ruolo, nella presidenza del Consiglio a febbraio, l’ha messa in una posizione di primo piano sul palcoscenico mondiale. Si può affermare che abbia usato questa posizione per promuovere la sua politica irachena? Certo, i commentatori dicono che sarebbe improbabile usare questo ruolo cerimoniale per far avanzare delle posizioni nazionali. Ma la neutralità della Germania come presidente non le impedisce di adottare rispetto agli altri membri del Consiglio una posizione di contestazione al di fuori del suo ruolo ufficiale.

Un paio di mesi fa si è vista la nascita fra Germania e Francia (a sua volta membro permanente del Consiglio) del cosiddetto “asse dello scetticismo”. Parigi e Berlino hanno recentemente celebrato il quarantesimo anniversario del Trattato dell’Eliseo, impegnandosi al contempo in una cooperazione franco-tedesca più stretta.

Dopo la presentazione, il 5 febbraio, da parte di Colin Powell delle contestate “prove” alle Nazione Unite, Joschka Fischer, il ministro degli Esteri tedesco ha fatto eco alla posizione di Dominique de Villepin sul fatto che dovrebbero esser mandati in Iraq più ispettori, sottolineando il bisogno di “migliorare gli strumenti di ispezione e di controllo” nel paese. In ogni caso, i detrattori della Germania ed anche il capo degli ispettori, Hans Blix, hanno puntato il dito contro l’ingenuità politica del governo tedesco sulla questione: il problema non è che ci son troppo pochi ispettori in Iraq, ma piuttosto che Saddam Hussein non sta cooperando pienamente con la spedizione attualmente sul posto.

Alle strette con gli Stati Uniti

La costruzione di questa alleanza non ha solo provocato una frattura enorme all’interno dell’ONU ma anche, e piuttosto prevedibilmente, nelle relazioni interne all’Unione europea. I recenti eventi hanno visto Regno Unito, Spagna, Italia, Portogallo e Danimarca (fra gli altri) impegnarsi nel sostegno degli Stati Uniti in una potenziale incursione militare in Iraq e l’alleanza franco-tedesca difendere veementemente una soluzione diplomatica della crisi.

Questi divisioni chiamano in causa una delle pietre miliari dell’unità europea, la PESC (la Politica Estera di Sicurezza Comune) che, per essere effettiva, richiede che tutti i membri dell’Unione europea presentino un fronte unito sul palcoscenico mondiale. Rimane da vedere se i 15 saranno capaci di rattoppare le loro differenze e mettersi d’accordo su un corso comune di azioni, o se l’attuale stato di crisi metta in ombra una sempre più più instabile fase dell’integrazione europea.

La Germania è stata oggetto delle più feroci critiche da parte dell’amministrazione americana. Sono state ripetute a più riprese delle scaramucce verbali tra i membri della Cancelleria e i falchi del governo di Bush. Gli USA si lamentano di sentirsi traditi dal loro primo protetto, che fu tra l’altro protagonista di uno spettacolare miracolo economico proprio grazie al Piano Marshall USA.

Fin da allora le relazioni tedesco-statunitensi sono rimaste civili, ma dal momento in cui sono sorte le prime differenze e la Germania non ha esitato a marcarle, è probabile che nel futuro le relazioni transatlantiche continueranno a deteriorarsi gradualmente. In ogni caso è importante notare che la Germania ha offerto le sue basi militari alla Nato nell’eventualità di una guerra. Per questa ragione soltanto (e nonostante il fatto che gli Stati Uniti stiano spostando molte delle loro basi nei paesi orientali limitrofi), gli USA si adopereranno probabilmente per evitare lo scoppio delle “ostilità” con la Germania.

Un potenziale potere diplomatico

Se davvero la guerra irromperà in Iraq, Berlino potrebbe ritrovarsi in una posizione poco invidiabile. Se la campagna avrà successo, la Germania potrebbe esser messa alla berlina per avere dubitato dei suoi alleati fin dall’inizio; se andrà male, invece, potrebbe divenire l’oggetto di continui rimproveri per il fatto di aver contrastato una missione umanitaria volta a salvaguardare la popolazione irachena da un cattivo dittatore.

Alla luce delle recenti dimostrazioni di massa contro la guerra, sembra comunque, sempre di più, che la Germania e gli altri alleati pacifisti otterranno il loro obiettivo. Per ora, infatti, sembra probabile che la guerra venga evitata. La Germania ha guadagnato forza e appoggi politici con queste proteste di piazza e non è più isolata sul palcoscenico mondiale. Non sarebbe sorprendente nel contesto attuale che uscisse dalla crisi irachena con credenziali diplomatiche rinforzate. Insistere sui propri principi è impresa delicata ma a volte dalle laute ricompense.

Fin dalla Seconda Guerra mondiale e nonostante sia cresciuta al punto da diventare una potenza economica ragguardevole, la Germania ha avuto un ruolo politico piuttosto attenuato sul palcoscenico mondiale. La crisi in Iraq potrebbe offrirle un importante catalizzatore in cambio. In un modo o nell’altro comunque, le dinamiche nelle relazioni internazionali non saranno mai più le stesse.

Translated from Schröder, a surrender monkey or the dove of peace?