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Sacro GRA, un raccordo di identità disperse

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Recensioni 2.0

Il documentario di Gianfranco Rosi si aggiudica il premio come miglior film alla 70esima Biennale di Cinema di Venezia, dando spazio alle realtà ai margini.

Personaggi di periferia

"… Nuovo arrivato e affatto ignaro delle lingue del Levante, Marco Polo non poteva esprimersi altrimenti che estraendo oggetti dalle sue valigie: tamburi, pesci salati, collane di denti di facocero, e indicandoli con gesti, salti, grida di meraviglia o d'orrore, o imitando il latrato dello sciacallo e il chiurlo del barbagianni." [1]

È l'immagine delle città invisibili di Calvino a ispirare Sacro GRA di Gianfranco Rosi, che grazie a una proposta di Nicolò Bassetti, urbanista e camminatore, dedica al Grande Raccordo Anulare il suo documentario. Non più a Roma, quella aperta dalla guerra di Rossellini, dolce e sognante con Fellini, una grande bellezza per Sorrentino, ma nell'autostrada tangenziale che la circonda Rosi riesce a trovare dialogo, musica e i colori di una storia. Le persone reali, che tornano a più riprese nell'arco del racconto, diventano personaggi e rivelano ironia e contraddizioni. Dal nobile piemontese decaduto, al vecchio pescatore di anguille, all'attore di fotoromanzi, alle prostitute canterine di Centocelle, siamo affacciati a una finestra aperta sulla loro quotidianità. E senza prendervi parte godiamo di quegli sprazzi di euforia, sommessa o espressa, dell'amarezza e dell’amore che disegnano una vita autentica.

"Parliamo spesso di crisi – dice Rosi – ma io credo che la vera grossa crisi che sta attraversando questo paese sia d'identità. Le crisi economiche vanno e vengono, fanno parte dei cicli e si superano, ma la cosa gravissima è la crisi d'identità del singolo, che si allarga a macchia d’olio. Per questo per me è stato importante trovare personaggi che avessero una fortissima identità. Che raccontassero anche una storia molto piccola ma che riuscisse ad alzarsi dal pantano che ci circonda. Anche staccandomi dalle solite immagini di una Roma che non viene mai mostrata, soltanto evocata. Non la vedi mai, credere che esista davvero è un atto di fede."

La Roma oggetto di fascino e soggetto del film è quindi quella ai margini, la periferia trafficata e semidisabitata che serve al massimo come via d'uscita. Un punto di snodo temuto dai cittadini, e apparentemente senza definizione. Il GRA.

Il GRA a Venezia

A 15 anni dall'ultima vittoria italiana (Così Ridevano di Gianni Amelio, quest'anno in concorso con L'intrepido), Sacro GRA di Gianfranco Rosi si aggiudica il Leone d'oro alla 70esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Il film, secondo le parole del presidente di giuria Bernardo Bertolucci, è permeato da uno spirito "francescano" che lo rende accessibile agli stranieri, perché visione universale e non barricata entro la solita italianità.

La scelta del vincitore è senza dubbio anche simbolica, perché rilancia il genere del documentario. Un genere dimenticato, di nicchia, che sembra avere spazio solo nei festival (a Venezia, per esempio, erano in programma The Unknown Known di Errol MorrisPine Ridge di Anna EbornWhite Shadow di Noaz Deshe). La parificazione del documentario è una vera e propria missione per lo stesso Rosi, che sottolinea di voler condividere il premio coi colleghi documentaristi: il confine tra finzione e realtà è labile quando si sta per raccontare una storia, e la realtà può godere dello stesso fascino della fantasia. La vita di quei personaggi, a cui il regista dedica il Leone d'oro, mostra tante verità umane quante ne incorpora un grande eroe dei romanzi. In questo caso, poi, momenti banali della vita di ogni giorno sono mediati – oltre che dal sapiente montaggio di Jacopo Quadri – dall'occhio del regista, il quale ha voluto assorbire le emozioni dei suoi "attori" attraverso tre anni di peregrinazioni e riprese lungo il raccordo. Il contenuto che viene offerto è frutto di un grande lavoro, tecnico ed emozionale, e gode di una sua autenticità: come i classici film di genere, anche il documentario merita di proiettarsi nelle sale per il grande pubblico. Il Leone d'oro serve a inviare questo messaggio.

Un margine di autentico

In conclusione sembra che Rosi abbia cercato nella marginalità, di un genere come di una città, la risposta alla crisi che stiamo vivendo. Lì si può ancora trovare vitalità, forza, identità. Un'identità forse difficile, che si è costruita per differenza, ma ancora creativa. Se perfino Roma, come afferma il regista, è una citta "mummificata", siamo piombati nel momento disperato descritto da Calvino, "in cui si scopre che quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma"[2]. Allora possiamo ancora girare la testa e puntare ai margini, verso il documentario, verso il GRA, per tracciare un'ipotesi di luogo sacro.   

Sacro GRA è talmente atteso che l'uscita italiana è stata anticipata dal 26 al 19 settembre.

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[1] Le città invisibili, Italo Calvino

[2] Le città invisibili, Italo Calvino.

Video credits: Officine UBU/ youtube