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ruanda e l'u.e.: commemorazione della memoria controversa di un genocidio

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Default profile picture Max Greco

In tutto il pianeta, da quasi un mese ormai, sono in corso eventi per commemorare il genocidio ruandese del 1994, e proseguiranno per i 100 giorni in cui si è protratto il genocidio. Il Ruanda può sembrare una terra lontana, ma l'eredità del genocidio ha implicazioni per l'Europa e gli europei, in quanto il suo impatto continua a farsi sentire.

"ho capito di non aver capito niente"

Il 1° aprile l’Istituto di Belle Arti «Bozar» ha tenuto una conferenza letteraria intitolata «Ruanda, 20 anni dopo». Tre scrittori africani che avevano scritto libri sul terribile genocidio ruandese del 1994 sono stati invitati a discutere, su richiesta del Bozar e dell’ONG «CEC», sui limiti del linguaggio quando viene applicato a un tale evento. Le risposte sono state semplici.

«Ho capito di non aver capito niente» , ha detto lo scrittore senegalese Boubacar Boris Diop, parlando della sua esperienza in Ruanda quattro anni dopo i massacri su larga scala che hanno ucciso oltre 800.000 tutsi e hutu moderati in 100 giorni, a partire dall'aprile del 1994. «Ho ascoltato la gente e non riuscivo a capire».

Véronique Tadjo della Costa d'Avorio ha detto qualcosa di simile: «Alcune cose non possono nemmeno essere dette, vanno espresse in un modo diverso». Questo è il motivo per cui lei, Diop e lo scrittore e drammaturgo ruandese Dorcy Rugamba hanno provato a scrivere, tutti e tre in modi diversi, sul genocidio.

Rugamba, che ha perso molti dei suoi familiari durante i massacri, dice: « La memoria non è fedele, si sbriciola in pezzi, abbiamo dovuto metterla a posto, perché è stato un crimine ideologico e politico, e questa è la cosa principale da ricordare, non si trattava di odio «tribale» o «ancestrale» ». B.B. Diop lo conferma: «la logica genocida è una logica di mutilazione». I tre scrittori sostengono che la narrativa è un modo per restituire ai morti la loro identità. Ma la memoria si può dimostrare come qualcosa di piuttosto controverso.

«i morti non sono morti»

Questo incontro ha fatto parte di una serie più ampia di eventi concepiti non solo per ricordare il genocidio, ma anche per lenire le ferite di un Paese africano intrappolato nelle polemiche. Progetti come «Up­right men» dell’artista sudafricano di origini londinesi Bruce Clarke verranno esposti a livello internazionale. Per esempio, il simbolo «Up­right men» di Clarke è stato proiettato il 7 aprile sulla facciata delle Nazioni Unite a New York.

Eppure, il ricordo di ciò che accadde allora è ancora oggetto di polemiche, anche all'interno di alcuni Paesi dell'Unione Europea. In Francia, che è stata ripetutamente criticata dentro e fuori dal continente africano per il suo ruolo precedente e successivo al genocidio, il 14 marzo un tribunale ha condannato a 25 anni di reclusione un capitano della ex guardia presidenziale, Pascal Simbikangwa. Il processo di Sim­bik­wanga, che è stato il primo celebrato in Francia con riferimento ad un crimine legato al genocidio ruandese, ha fatto notizia, in quanto è stato anche visto come un modo per Parigi per allentare i propri rapporti tesi con il Ruanda, il cui partito al potere, il FPR, ha spesso accusato la Francia di aver protetto funzionari del regime genocida hutu.

Il processo si è svolto poichè sia uno show televisivo francese che un programma radiofonico sono stati costretti a rimuovere dalle loro trasmissioni, sotto la pressione dell'opinione pubblica e ufficiale, segmenti che prendevano in giro il genocidio ruandese.

Aiuti, sviluppo e guerra

La memoria del genocidio è anche al centro delle relazioni dell'Unione Europea con il piccolo Paese dell'Africa centrale. Gli aiuti pubblici allo sviluppo in Ruanda nel 2006 sono stati di 585 milioni di dollari, pari al 24% del reddito nazionale lordo e alla metà del bilancio del governo. La Commissione Europea ha rappresentato il secondo più grande donatore di aiuti nel 2007, stanziando più di 85 mil­ioni di dollari.

Il Ruanda sta effettivamente rappresentando una vetrina per gli aiuti esteri: si è ripreso dal baratro della distruzione nel 1994 per diventare una delle sempre più numerose storie di successo economico dell'Africa, con la sua capitale, Kigali, che sta vivendo un boom immobiliare, e il tasso di crescita del Paese che tra il 2001 e il 2012 è stato pari in media all’8,1% annuo. La riconciliazione è stata uno dei principali obiettivi ufficiali del nuovo regime FPR del presidente Paul Kagame: censimenti etnici o riferimenti all’etnia sulle carte d'identità sono stati vietati, anche se alcuni ruandesi ancora lamentano discriminazioni. Anche l'ex ministro belga degli affari esteri ed ex commissario europeo per lo sviluppo e gli aiuti umanitari Louis Michel ha dichiarato a febbraio il suo sostegno al regime di Kagame: «Posso solo essere colpito dal progresso che è stato compiuto, dai successi economici e sociali del Ruanda».

Ma alcuni hanno accusato il presidente Kagame di autoritarismo, e dicono che il partito ruandese FPR è effettivamente responsabile del Paese, non lasciando spazio ad altri, e che  utilizza la memoria del genocidio per far tacere l'opposizione. Il recente brutale assassinio di Pa­trick Ka­re­geya ex capo dell’intelligence esterna di Kagame che aveva litigato con il suo presidente, avvenuto alla vigilia del nuovo anno in Sud Africa, ha inasprito non solo il rapporto del Ruanda con il Sud Africa, ma anche con uno dei suoi principali donatori di aiuti, gli USA. Ed è stato dimostrato da una relazione del 2012 pubblicata dalle Nazioni Unite che Kagame ha finanziato rivolte nella vicina Kivu, la regione orientale della Repubblica Democratica del Congo ricca di giacimenti minerari, la cui ricchezza naturale ha infiammato una delle guerre più sanguinose dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

e a bruxelles?

Anche a Bruxelles l'onda d'urto di ciò che accade nell'Africa centrale può essere a volte sentito con intensità: le rivolte di Ma­tongé nel 2011 ne sono un esempio, quando espatriati congolesi, furiosi per ciò che avevano considerato come una manipolazione delle elezioni appoggiata da stranieri durante il ballottaggio presidenziale nella RDC, hanno iniziato a manifestare nel quartiere di Ixelles. Supposti casi di brutalità della polizia hanno infiammato i manifestanti e sono iniziate due settimane di scontri, in cui alcuni ruandesi sono stati attaccati e gran parte della zona intorno a Chaussée d' Ixelles ha subito notevoli danni.

Nonostante sia avvenuto a 6000 km di distanza da Bruxelles, il genocidio del 1994 ha avuto conseguenze di vasta portata: il coinvolgimento dell'Unione Europea in un Paese lontano; interventi indiretti in una guerra che ha distrutto tutta la metà orientale della Repubblica Democratica del Congo; l’imbarazzo e le polemiche in Francia; un ruolo nelle manifestazioni del 2011 a Bruxelles; ma principalmente, più che vite umane, ha distrutto i ricordi.

Uno degli scrittori invitati al Bozar, Dorcy Rugamba, racconta il suo ritorno a Butare, la sua città natale: «Sono tornato a Butare, che conosco come la mia stessa ombra, ma non l’ho riconosciuta. Era piena di volti sconosciuti. Metà degli abitanti era stata uccisa, l'altra metà era fuggita in Congo».

Translated from Rwanda and the E.U : commemorating a genocide's divisive memory