Roger Woolger: «Jung, gli sciamani e le nostre vite passate»
Published on
Incontro con lo psicoterapeuta 63enne inglese che coniuga la teoria junghiana con la filosofia orientale. Così la reincarnazione ci aiuta a risolvere le nostre nevrosi.
Parigi, metà marzo. Mi trovo in una casa d’inizio Cinquecento nel cuore del Marais, il quartiere ebraico. L’orologio della cucina segna le quattro. È l’ora dell’appuntamento con Roger Woolger. La sua consueta tazza di the bollente è pronta, ma non sento passi in arrivo. Aspetto, tanto non è stato complicato incontrarlo. Non ho dovuto fare telefonate, né prendere la metropolitana per attraversare la città. A farci incontrare è stato il destino, alcuni mesi fa, quando ho varcato la soglia di questa casa. Roger ed io viviamo insieme e, decisamente, non è il tipo di coinquilino che mi aspettavo di incontrare. È un distinto signore inglese di mezza età, con le gote rosse e un fare gentile che ricorda il capofamiglia dei telefilm americani degli anni Ottanta.
A dispetto delle apparenze Roger Woolger è uno psicoterapeuta junghiano, che basa il suo lavoro sulla ricerca di “vite passate” che, sostiene, influenzano il nostro presente.
In una gabbia, nuda e incatenata
Woolger ha studiato psicologia e storia delle religioni a Oxford e a Londra. Ha iniziato la sua carriera con una pratica allo Jung Institut di Zurigo per passare, con gli anni, alla fusione della psicologia occidentale con la reincarnazione. Come? La nostra vita ha memoria di quelle passate, che imprimono sull’oggi i traumi di ieri. Questo metodo, Deep Memory Process, aiuta pazienti che soffrono di ansie immotivate, insicurezze e anche disturbi fisici. Permette, infatti, di visualizzare i dolori sopportati nelle vite passate e di farli rivivere sotto forma di psicodramma. Molti soffrono di fobie. Fobia dell’abbandono, degli spazi aperti, del fuoco, di volare.
«Una volta è venuta da me una donna che aveva paura di uscire di casa. Era talmente terrorizzata dalla gente che si faceva consegnare la spesa a domicilio», mi spiega. «In apparenza può sembrare una psicosi, ma nel mio mestiere si cercano nelle immagini irrazionali le radici delle storie che abitano l’inconscio». All’inizio di ogni seduta Roger utilizza delle frasi per accompagnare il paziente nella focalizzazione della sua paura. Non si tratta di una vera ipnosi, ma di una regressione che permette di visualizzare le vite anteriori. «In questo caso», continua «la mia paziente si è ritrovata essere una schiava nera. Era in una gabbia di legno in un mercato, completamente nuda e incatenata. Poi la scena si sposta in una piantagione, dove veniva regolarmente violentata dai padroni». La vera ragione della sua paura non era la folla, ma lo sguardo della gente. Una volta visualizzata l’origine della fobia, il dottor Woolger cerca di far assumere al paziente la consapevolezza che il vissuto che lo traumatizza appartiene al passato, non al presente, e intraprende con lui un percorso per ristabilire l’autostima.
La Shoah e il college
Tra i problemi affrontati da Woolger c’è anche la depressione, un male che nel Vecchio Continente, secondo la Commissione Europea colpirebbe il 4,5% della popolazione. Mi racconta di una donna inglese che ne soffriva da sempre, senza che nella sua vita ci fossero motivi che giustificassero tale malessere: «Alcune volte per arrivare alle cause scatenanti bisogna scendere in profondità e soffermarsi su dettagli insignificanti», dice mentre gioca con il cucchiaino. «Ho iniziato a farla parlare della sua vita, finché mi ha raccontato della partenza di suo figlio per il college. Non c’era nessuna particolare emozione nella sua voce, ma l’ho invitata ugualmente a rivivere quel giorno, tenendo gli occhi chiusi». L’arrivo alla stazione, le valigie sul treno, il finestrino abbassato e il figlio che la saluta dicendole che si rivedranno a Natale. Poi i singhiozzi. Che succede? «Sento che non lo rivedrò mai più», dice la donna in lacrime. E adesso viaggia lontano. Il treno è pieno di ebrei ed è diretto verso i campi di concentramento. Madri e figli vengono divisi, e lei non rivedrà mai più il suo. Morirà due settimane dopo e questo dolore, essendosi impresso nella sua anima alla morte, si ripresenta nella vita attuale sotto forma di depressione.
Con gli sciamani in America Latina
Roger parla a ruota libera. È affascinante seguirlo nelle sue avventure nell’aldilà. Ma non vuole convincermi di niente. È una persona che crede profondamente in quello che fa, e questo cattura l’attenzione. Mi racconta di problemi che si possono risolvere in una sola seduta. Quando, invece, si colpiscono l’ego e la stima in se stessi, ci vuole più tempo. In ogni caso non lavora più di sei mesi con un paziente.
Ha sviluppato la sua attività anche in America Latina, dove è fondatore e direttore del Istituto Para O Psique e as Tradicoes Espirtuais a Salvador, in Brasile. Quando gli chiedo quale storia l’ha colpito di più non ha un attimo di esitazione. Mi racconta di una giovane brasiliana che lavorava come ostetrica in un ospedale ma, ironia della sorte, aveva già avuto due aborti spontanei. In seguito aveva subito un’operazione all’utero a causa di alcuni fibromi. Possibilità di rimanere incinta? Pochissime. «Attraverso la regressione abbiamo esplorato il suo corpo. E si è rivista, giovane, in una tribù nella quale le donne venivano sacrificate e, nel suo caso, avevano offerto l’utero. Durante la seduta abbiamo chiamato degli sciamani per aiutarla a ricostruire le parti più ferite dell’utero». Subito dopo la terapia dice di sentirsi meglio e, dopo sei mesi, tornò per annunciare che aspettava un bambino. Quindi lavora anche con gli sciamani? «Sì, soprattutto in America Latina. Per me sono gli psicoterapeuti del mondo tribale e hanno un buon contatto con il mondo dello spirito. Grazie a loro ho imparato a lavorare con l’aura, il nostro campo energetico».
È passata più di un’ora. Domani Roger parte per Londra e deve ancora finire una relazione. Lo ringrazio, ma prima che sparisca dietro la sua porta voglio una dedica sul suo libro che ho comprato nella versione italiana (Il segreto di altre vite, Sperling & Kupfer, 2007). E lui, con un sorriso, si congeda: «Per Elisa, ti auguro una vita meravigliosa, questa volta».