Riscoprire Palermo nelle pagine del Gattopardo
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Vi accompagnamo nel viaggio senza tempo della Palermo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Storia e suggestioni di una passeggiata con l'associazione Sicilia Letteraria.
Roberto Alajmo scrive di Palermo: «La Città non è mai uguale a se stessa. La Città cambia in continuazione. […] Ci sono città che non riescono a stare ferme manco un minuto. Trasformano la propria struttura urbanistica e trasformano persino il proprio carattere riuscendo sempre a mantenere ferma l’identità». Ci sono tanti modi di visitare Palermo. Forse, ci sono tante Palermo.
In una domenica grigia, abbiamo preso parte a uno dei modi più affascinanti non di visitare, ma di vivere e soprattutto di rivivere Palermo. La passeggiata letteraria proposta da Michele Anselmi e dal suo Parco Letterario Tomasi di Lampedusa (nato da un progetto europeo del 1999) si svolge tra due quartieri che, a loro modo, hanno rappresentato il cuore pulsante della città: la Loggia e la Kalsa.
«Tra le due case del Principe: a Palermo sulle tracce del Gattopardo»
La prima tappa è Palazzo Lampedusa. Vi arriviamo dopo aver ascoltato un’introduzione su luoghi chiave della storia della città: il quartiere della Loggia, la Kalsa, il monumento alle vittime del 4 aprile 1860, il Castello a Mare. Palazzo Lampedusa è la casa in cui nel 1896 Giuseppe Tomasi di Lampedusa nacque e rimase fino al «5 aprile del 1943, giorno in cui le bombe, trascinate da oltre Atlantico, la cercarono e la distrussero»: nella voce intensa del signor Anselmi che legge un passo dei “Ricordi d’infanzia”, sembra proprio di sentire lo scrittore palermitano, il suo dolore, la nostalgia della sua casa che da bambino fu palestra della sua fantasia, suo rifugio, suo tutto. La distruzione di questa, infatti, sarà per lui un grandissimo dolore, un dolore lacerante che riuscirà ad attutire soltanto con la forza della letteratura e con quella del suo unico romanzo, Il Gattopardo. Palazzo Lampedusa è infatti la dimora cittadina dei Salina. Ed è da qui che, proseguendo tra le pagine, parte la carrozza che porta a Palazzo Ponteleone, a quel ballo, a quel valzer stupendo che tutti ci siamo immaginati nei volti di Claudia Cardinale e Burt Lancaster. Quello che seguiremo non è altro che il percorso della carrozza, cercando di immaginare i volti, i rumori, gli odori di questi luoghi così diversi, ma così immutabili nella loro anima.
Proseguiamo per via Bara, poi via Valverde e via dei Bambinai, la cui insegna ormai quasi illeggibile porta i segni inequivocabili del tempo che passa, e, dopo un fugace sguardo alla severità e all’imponenza dell’abside di San Domenico, arriviamo a piazzetta Meli e il signor Anselmi ricomincia a leggere, sembra quasi di poter assistere alla scena: « […] Là dove la discesa dei Bambinai sbocca sull’abside di san Domenico, la carrozza si fermò: si sentiva un gracile scampanellio e da uno svolto comparve un prete recante un calice col Santissimo […] era il Santo Viatico. Don Fabrizio scese, s’inginocchiò sul marciapiede, le signore fecero il segno della croce, lo scampanellare dileguò nei vicoli che precipitano verso s. Giacomo, la calèche con i suoi occupanti gravati di un ammonimento salutare s’incamminò di nuovo verso la meta ormai vicina».
Nel vecchio salotto ottocentesco della città
La meta, Palazzo Ponteleone, si trovava a piazza S. Domenico, un edificio che non esiste più e che non c'era già ai tempi in cui Tomasi scriveva il suo romanzo. Allora prendeva il nome della famiglia Monteleone e insieme a Palazzo Montalbano costituiva il salotto della Palermo di fine Ottocento, ma si sa, il progresso incombe. Se quest'ultimo venne “mutilato”, palazzo Monteleone fu distrutto per fare spazio a quella che è una delle arterie principali della città, via Roma. (Lo sostituì poi, il poco distante Palazzo Moncada). L’autore sceglie di nuovo un luogo che non esiste più, ma che gli è caro nei suoi ricordi. È attaccato ai luoghi, Tomasi di Lampedusa, è attaccato alle cose, lui stesso diceva di essere un bambino «che stava meglio con le cose» e a quelle cose riuscì a dare una nuova vita nuova attraverso le sue pagine immortali. Siamo di nuovo fermi ad immaginare come poteva essere quel salotto così lontano dalla nostra quotidianità ed ecco che la voce della nostra guida si muove esperta tra le pagine del romanzo e ricomincia la sua lettura. Sembra di vederlo, Don Fabrizio, mentre torna a casa a piedi e cerca conforto tra le stelle, quasi accanto a noi. Sembra di sentirlo arrivare il carro con le carni proveniente dal macello e diretto al vicino mercato della Vucciria, mentre il sangue dei buoi cade sul selciato. Di nuovo, però, dobbiamo tornare alla realtà e continuare il nostro cammino.
Camminando con Don Fabrizio
Giungiamo così alla chiesa di Santa Maria della Catena, siamo ormai vicini alla fine. Qui ritroviamo don Fabrizio, ritroviamo i suoi pensieri, lo incontriamo quasi pronto ad andare dalla sua amante Mariannina, tra i suoi rimorsi e autoassoluzioni, ma è soltanto un passo, dobbiamo arrivare all’ultima tappa, la più significativa, quella finestra sulle Mura delle Cattive, la finestra dell’Hotel Trinacria in cui il principe Fabrizio dirà addio alla sua vita con una pagina meravigliosa, che la voce ormai così familiare del signor Anselmi ci legge con garbo, senza rinunciare al pathos: «[…] Era solo, un naufrago alla deriva su una zattera, in preda a correnti indomabili. […] Fra il gruppetto ad un tratto si fece largo una giovane signora: snella, con un vestito marrone da viaggio ad ampia tournure, con un cappellino di paglia ornato da un velo a pallottoline che non riusciva a nascondere la maliosa avvenenza del volto. […] Era lei, la creatura bramata da sempre che veniva a prenderlo,[…] Giunta faccia a faccia con lui sollevò il velo e così, pudica ma pronta ad esser posseduta, gli apparve più bella di come mai l’avesse intravista negli spazi stellari. Il fragore del mare si placò del tutto».
Sembra quasi di aver assistito a un film, quel genere di film che ti fa venire voglia di vederne subito un altro, magari dello stesso regista. Non resta che da scegliere con chi guardarlo.