Rifugiati a Londra: un calcio al pallone per sentirsi a casa
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Alessandro CampaA Londra cinque studenti hanno trovato un modo efficace per integrare i vari gruppi etnici presenti in città, con la speranza ridurre la violenza nel lungo periodo. E il tutto si basa su due tradizioni conosciute da secoli: calcio e beneficenza.
Raphael Gregorian, Mounir Haddad, Emmanuel Etuh, Nazgol Kafai eRamie Farag sono degli studenti che frequentano il terzo anno dell'università londinese SOAS (School of African and Oriental Studies - Scuola di Studi Africani ed Orientali). La loro creazione è Camden Cares, un progetto nato col desiderio di agevolare l'integrazione delle famiglie di migranti in arrivo nel quartiere di Camden. I cinque ragazzi si sono conosciuti grazie a ParliaMentors, un concorso a premi ideato da 3 Faiths Forum (3FF) ed istituito dalle Nazioni Unite. Il suo scopo è quello di promuovere la diversità e la tolleranza a livello politico attraverso azioni sociali avviate da studenti nei quartieri intorno ai propri campus.
Mi incontro con Nazgol e Raphael nel cuore di Camden, e mi portano all'Atrium café. I suoi interni, ispirati ai ruggenti anni '20, lo rendono uno dei luoghi preferiti dagli studenti del SOAS. L'entusiasmo per il progetto è a dir poco contagioso, e ci riesce difficile adattarci alla sorprendentemente quieta atmosfera della caffetteria. Iniziano raccontandomi della prima iniziativa organizzata per questo ambizioso progetto, la prima partita organizzata per giovani rifugiati, con la collaborazione dell'Arsenal Football Club e del loro stadio.
«Fino all'ultimo momento pensavamo non sarebbe venuto nessuno,» ci racconta Raphael, «ma poi abbiamo avuto una piacevole sorpresa: si fecero vedere 25 bambini solo per quella prima partita! Venivano da Eritrea, Afghanistan, Kurdistan ed altri paesi. Erano felicissimi di questo evento. Alcuni di loro non parlavano un buon inglese, ma una volta imparati i nomi degli altri si concentrarono sul gioco. È stata veramente una di quelle cose che ti scaldano il cuore.»
Un inizio difficile
In principio Camden Cares avrebbe dovuto avere come unico obiettivo i rifugiati siriani legalmente ammessi nel distretto, 20 famiglie nel 2016. Tuttavia, due settimane prima che si svolgesse il primo incontro, il Ministero dell'Interno annunciò di voler accettare solo 4 di queste famiglie. Conseguentemente il gruppo fu lasciato con un gruppo di lavoro numericamente insufficiente. Per questo pensavano che l'iniziativa avrebbe avuto un ritorno vicino allo zero. Ciò che inizialmente sembrava essere un limite, si trasformò rapidamente in una grande opportunità. I cinque ragazzi ideatori del progetto decisero quindi di estendere l'invito a tutti i rifugiati della capitale, appoggiandosi a diverse organizzazioni caritatevoli con volantini professionali disegnati appositamente per pubblicizzare l'evento. Il riscontro fu a dir poco insperato: le richieste di partecipazione furono numerose, e vennero anche da bambini britannici che volevano partecipare all'iniziativa. «Sono rimasta davvero sorpresa dal numero di messaggi di posta elettronica che stiamo ricevendo da tutti i ragazzi britannici che non hanno accesso ad eventi simili» afferma Nazgol. «Tutto ciò è grandioso, perchè così speriamo saremo in grado di attuare una vera e propria integrazione attraverso lo sport. Ma sicuramente, con i fondi che abbiamo già ottenuto, saremo in grado di far trascorrere loro una bella giornata.»
«Stiamo dando loro la possibilità di instaurare delle amicizie» aggiunge poi Raphael.
Sentirsi a casa, da stranieri
La ragione per cui questi studenti hanno deciso di mettere in pratica a Londra un progetto incentrato sui rifugiati è fondamentalmente perché essi stessi provengono da famiglie di immigrati. Essere uno straniero a Londra non è una novità, d'altronde. La famiglia di Nazgol si è trasferita a Londra quando lei aveva meno di un anno. Raphael invece è nato qui, ma ha origini armeno-cipriote. Emmanuel poi viene dalla Nigeria, Muneer dal Libano e Rami è egiziano, anche se nato nella capitale inglese. «Al liceo ero l'unica ragazza non inglese nella mia classe, e gli altri non facevano nulla per non farmi sentire tale,» continua Nazgol. «Quando poi sono andata all'università ho ancora mantenuto in mente questo cliché: "Sono troppo ad ovest per l'Oriente e troppo ad est per l'Occidente". Ma com'è possibile che anche una persona cresciuta qui senta tutta questa "distanza" e differenza da chi qui ci vive? Anche se la vera domanda da porsi sarebbe un'altra: perché la società non permette a questi ragazzi di sentirsi parte di essa?» Questo problema non è nuovo ma esiste già da tempo, spiega, da ancor prima che i suoi genitori si trasferissero qui. «Penso che è stato veramente difficile per me inserirmi nella società a quindici anni pur essendo cresciuta qui, debba essere dieci volte più difficile per qualcuno che è appena arrivato. Il nostro obiettivo è aiutare quei giovani che sono appena arrivati a Londra a sentirsi a casa. E questo li aiuta, tra le altre cose, anche a preservare la loro identità culturale.»
Raphael non nasconde il suo entusiasmo di vivere a Londra: «La amo perché è unica. Possono esserci gruppi etnici diversi che vivono in aree specifiche, ma sono tutti in qualche modo coinvolti nell'atmosfera cittadina. Noi vogliamo che rimanga così. Quando sono andato a New Orleans ho visto qualcosa di completamente diverso. Era talmente tanto etnicamente divisa che avevo l'impressione che ci fossero paesi diversi all'interno della stessa città. Abbastanza inquietante, devo dire.» Il risultato positivo maggiore ottenuto da Camden Cares è in buona sostanza il fatto che il progetto si sta evolvendo verso una strada che può effettivamente aiutare Camden a diventare «multiculturale, tutti insieme, non solo un insieme di vicinati-ghetto.»
Puntare più in alto, il sogno più grande
Il gruppo si riunisce settimanalmente per discutere il proprio piano d'azione ed i propri progetti. Il loro ultimo incontro si è focalizzato sulla sostenibilità del progetto, dopo la data di consegna di quest'anno. «Ora che sappiamo come proteggere le diverse fonti di finanziamento e come affrontare i parlamentari, forse saremo in grado di fornire quello che altre organizzazioni no-profit non riescono a dare» sostiene Raphael.
Oltre al finanziamento fornito da 3FF, SOAS e Arsenal Foundation, il gruppo è anche riuscito ad ottenere 3.000 sterline da O2 Think Big. Ma c'è un ulteriore svolta all'orizzonte, che si spera porterà ad ottenere più fondi. «Il grande sogno è quello di ampliare questo progetto all'intera città di Londra» confida timidamente Raphael. Ciò che Camden Cares ha raggiunto con un budget limitato è qualcosa di strabiliante. Alla luce di ciò, perché non sognare in grande?
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Questo articolo fa parte della serie di reportage EUtoo 2015, un progetto che cerca di raccontare la disillusione dei giovani europei finanziato dalla Commissione Europea.
Translated from Londyn: piłka nożna remedium na przemoc na tle etnicznym?