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Riccardo Petrella: «L'acqua, un bene comune a rischio»

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Viola Fiore

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Intervista a Riccardo Petrella, 67 anni, professore, consigliere della Commissione europea, fondatore dell'Ierpe e militante del diritto all'acqua. «Le guerre per l'oro blu sono già cominciate».

Quando lo raggiungiamo a telefono, all'inizio di agosto, si trova a Verona, città nel nord dell'Italia. Il tono della voce è forte, vivace e la conversazione parte in automatico senza lasciarci formulare la domanda. Del resto, Riccardo Petrella è abituato a parlare in pubblico, a spiegare e rispiegare, i motivi che hanno fatto di questo “operaio della parola” – come lui stesso si definisce – uno dei più strenui difensori del diritto all'acqua. Da professore sperimentato, che ha insegnato Mondializzazione dell'Economia all'Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, tenuto corsi alla Libera Università di Bruxelles (sezione olandese) e partecipato alla creazione dell'Università del Bene Comune – un progetto nato nel 2001/02 a seguito dei Lavori del Gruppo di Lisbona, che parte dal principio che la conoscenza è un bene dell’umanità – Petrella argomenta le sue idee con chiarezza, e senza disdegnare l'ironia. Per questo non ci si stanca di ascoltarlo ragionare.

La coca-colizzazione dell'acqua

Senz'acqua, si sa, non c'è vita. Ma l'acqua non è una risorsa inesauribile e i media ci stanno abituando alla prospettiva di una crisi e al conseguente aumento del prezzo del nuovo petrolio, l'“oro blu”. «La tendenza attuale, predominante nell'Ue, è quella di affidare la fornitura dell'acqua potabile ai privati, delegando al mercato l'allocazione di una risorsa e trasformandola, quindi, in merce». Perché? Per Petrella l'imperativo dominante sarà sempre più quello di mantenere alta la capacità di offerta dell'acqua, poiché la domanda è destinata ad aumentare, sia per l’aumento della popolazione, sia a causa della crescita economica. A tutto ciò bisogna aggiungere il degrado a cui l'acqua, a causa dell’inquinamento, va incontro. E per mantenere alta l'offerta, niente di meglio del ricorso a costose soluzioni tecnologiche, come la desalinizzazione dell'acqua di mare, la costruzione di grandi dighe e la depurazione.

«Dal 2000 ad oggi si è creata una vera e propria nebulosa di fondi di investimento internazionali specializzati in acqua: raccolgono capitali pubblici e privati (hanno racimolato ad oggi 30-40 miliardi di dollari) per investirli nei grandi gruppi come Suez, Veolia ecc., leader mondiali in servizi ambientali»

A questo punto, secondo Petrella, la domanda da porsi è: chi paga la tecnologia? «Il capitale privato, è ovvio. Dal 2000 ad oggi si è creata una vera e propria nebulosa di fondi di investimento internazionali specializzati in acqua: raccolgono capitali pubblici e privati (hanno racimolato ad oggi 30-40 miliardi di dollari) per investirli nei grandi gruppi come Suez, Veolia ecc., leader mondiali in servizi ambientali». Alla gestione dell'acqua sono interessati anche gruppi come Nestlé, Danone o Coca-Cola. «Ogni anno si producono 130 miliardi di bottiglie di Coca-Cola, il che vuol dire un grande uso di acqua... ecco che Coca-Cola ha tutto l'interesse ad acquisire i terreni con le falde acquifere, con la scusa che è interessata alla qualità dell'acqua che usa».

La politica europea dell'acqua: a tutta liberalizzazione?

Petrella, fondatore dello Ierpe, Istituto europeo di Ricerca sulla Politica dell'acqua, fa anche parte del Comitato internazionale per il Contratto mondiale sull'Acqua e ha scritto il Manifesto dell'Acqua, nel quale propone un governo comune della risorsa basato sul ricorso alla finanza pubblica e alla partecipazione attiva dei cittadini. Infatti, secondo lo studioso, solo de diventa un bene pubblico l'acqua potrà arrivare anche a chi (ad oggi un miliardo e mezzo di persone) ancora non ne ha accesso. «Negli ultimi anni abbiamo spinto il Parlamento europeo a dichiarare l'acqua un diritto umano, che perciò non deve essere regolato dai principi del mercato. Nel marzo del 2006 il Parlamento europeo ha sancito all'unanimità il diritto all'acqua, ma i limiti della sua azione sono risultati evidenti pochi giorni dopo, al quarto Forum Mondiale dell'Acqua di Città del Messico». In quest’occasione, sede infatti, la Commissione europea venne incaricata di trasmettere la risoluzione del Parlamento, ma la Conferenza Interministeriale a conclusione del Forum la ignorò totalmente, affermando che l'acqua era un bene economico. «Sa che cosa ha risposto la Commissione ai parlamentari europei che le chiesero spiegazioni? Che i suoi membri avevano il mandato del Consiglio dei Ministri dell'Unione, favorevole in maggioranza alla liberalizzazione dell'acqua!»

Lobbie private e lobbie di Stato

La differenza di vedute tra Istituzioni europee non deve trarre in inganno. «Lo stesso Parlamento ha in maggioranza una visione di questo tipo: l'acqua è un diritto, ma sempre più i diritti hanno costi che la finanza pubblica non può sopportare e diventa necessario ricorrere a soluzioni manageriali, ovvero alla privatizzazione dei servizi idrici».

«E siamo coscienti del fatto che le guerre per l'acqua sono già cominciate e aumenteranno in futuro?»

Del resto, le Istituzioni europee sono influenzate, nelle loro scelte sia dalle multinazionali dell'acqua sia, dai singoli Stati. Un esempio? La Francia ha fatto approvare la direttiva quadro del 2000 nella quale, senza dirlo esplicitamente, l'Ue apriva alla privatizzazione dell'acqua. «La scuola francese è la più influente in Europa: non stupisce: nove delle prime dieci imprese idriche mondiali sono europee, e le più forti sono francesi. Altro dettaglio: il consigliere personale politico di Chirac tra il 2000 e il 2007, Jérôme Monod, era il Presidente di Suez-Lyonnaise des eaux».

«Un utopista, io? Sì, è quello che mi sento dire in continuazione nelle sedi europee. Ma, secondo lei, cosa impedisce che la finanza pubblica si prenda a carico la gestione dell'acqua? Non copre forse le spese militari? E siamo coscienti del fatto che le guerre per l'acqua sono già cominciate e aumenteranno in futuro?»

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