Retromarcia in Regno Unito: i politici dovrebbero mantenere le loro promesse?
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(Opinione) Nelle due ultime settimane, il dibattito politico britannico si è acceso intorno alle "retromarce" dei leader, tanto all'opposizione quanto al Governo. Gli inquilini di Westminster sembrano più aperti che mai a cambiare la loro opinione. Ma perché alcune di queste decisioni sono considerate pragmatiche, mentre altre sono condannate come segni di debolezza?
Seduta tra il pubblico del programma Question Time, in onda ogni settimana sulla BBC, una madre lavoratrice e elettrice dei Tory ha criticato duramente l'attuale Governo, perché non avrebbe mantenuto la promessa pre-elettorale di lasciare invariate le detrazioni fiscali, destinate soprattutto ai lavoratori che hanno a carico bambini o parenti disabili. Questa storia è uscita nella stessa settimana in cui il Governo ha annunciato l'apertura della prima "selective school" pubblica in 50 anni (che, al contrario degli "istituti comprensivi", seleziona gli studenti in ingresso secondo criteri accademici, n.d.r.), dopo aver precedentemente detto che non sarebbe stata affatto un'opzione contemplata dall'Esecutivo.
La donna che durante Question Time ha attaccato il Governo sulle detrazioni fiscali (via The Telegraph).
Recentemente anche John McDonnell, il Cancelliere-ombra del Labour che si trova all'opposizione, ha cambiato idea sul dare il suo sostegno al piano per una nuova legge finanziaria: una serie di misure che impedirebbe ai futuri governi di operare in deficit di bilancio durante i periodi di ripresa economica. Questa inversione di rotta ha comunque suscitato ondate di disapprovazione a Westminster, ed in particolare dallo stesso partito di McDonnell. Le accuse sostengono che la retromarcia stesse alimentando le crescenti divisioni nel Governo ombra all'opposizione.
Tuttavia, le stesse persone che hanno criticato McDonnell solo perché avrebbe così mostrato segnali di debolezza, sembrano rassegnarsi al fatto che le promesse non mantenute dei conservatori siano pura strategia politica, come quando il Primo ministro Cameron cerca di tagliare i benefit ai lavoratori a tempo pieno che dice di voler proteggere. L'idea che l'uomo politico "forte" sia colui che resta fermo nelle sue convinzioni sembra cadere nel dimenticatoio, appartenente ad un modo ideologico di fare politica. Sembra ormai acquisito che una promessa in politica sia poco più di una strategia da campagna elettorale.
La madre lavoratrice, seduta tra il pubblico di Question Time, non potrà democraticamente esprimere la propria rabbia contro il Governo fino alle prossime elezioni nel 2020. E fino ad allora dovrà comunque pagare l'affitto senza l'aiuto delle detrazioni fiscali. Cosa accadrebbe se esistessero dei meccanismi giuridici in grado di impedire ai partiti di rompere le promesse pre-elettorali? Sarebbero state diverse le cose, se ad esempio, nel 2010, l'impegno dell'ex leader liberal-democratico, Nick Clegg, a non alzare le tasse universitarie fosse diventato legalmente vincolante? Non le avremmo viste triplicate quando il suo partito è andato al Governo in coalizione con i conservatori, o non avremmo assistito alle violente proteste di piazza che sono seguite.
Anche se l'attuazione effettiva di un vincolo giuridico sarebbe tanto ingestibile quanto complessa, l'idea che i programmi finiti nell'oblio post-elettorale facciano parte della politica, è un dato di fatto che deve essere cambiato. Le "retromarce" e le "inversioni a U" dei nuovi dirigenti laburisti, in un momento in cui il partito sta deliberatamente attraversando una fase di ristrutturazione e di dibattito interno, dovrebbero davvero essere considerate un grave peccato di politica, alla stregua di chi sta attivamente rompendo le proprie promesse pre-elettorali? Dobbiamo chiederci se vogliamo una politica in cui quelli in alto siano ricompensati per aver ignorato i loro programmi elettorali, e denigrati per aver ascoltato il punto di vista degli altri.
Translated from U-turns in the UK: Should politicians have to keep their promises?