Referendum in Ungheria: l'opposizione è un Cane a Due Code
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La campagna per il No del primo ministro ungherese Viktor Orbán ha portato i risultati voluti: odio xenofobia e disinformazione sono a livelli forse mai visti prima, mentre l'opposizione sta a guardare. O almeno, quella dentro al Parlamento. Fuori da esso assume la forma di un cane a due code, ironico e sarcastico, che però raccoglie sempre più consensi.
A Budapest l’immigrazione è un problema serio, serissimo. Talmente serio che il governo non ha decisamente visto di buon occhio (usando un eufemismo) la decisione dell’Unione europea di redistribuire anche ai magiari una parte dei migranti arrivati in Europa nell’ultimo anno e mezzo. La decisione conseguente è stata quella di indire un referendum, nel cui quesito in realtà non è troppo difficile vedere quale sia la risposta che il governo si aspetta venga data: "Volete che Bruxelles, anche contro il volere del parlamento ungherese, preveda l’immigrazione in Ungheria di persone che non sono cittadini ungheresi?”. E, per chiarire ancora di più la propria posizione, da alcuni mesi il governo di Viktor Orbán ha avviato una vera e propria campagna mediatica di terrore, a colpi di spazi pubblicitari e manifesti riportanti spesso informazioni esagerate o addirittura false sull’immigrazione in atto in Europa e sulle politiche migratorie dell'Unione europea.
Qualche esempio? "Gli immigrati che Bruxelles vorrebbe mandare in Ungheria potrebbero riempire una città" (vero, a patto che si tratti di una città molto piccola, visto che sarebbero meno di 1.300 persone), o "Gli attentatori di Parigi erano migranti" (palesemente falso: erano francesi e belgi). In altre parole, la campagna contro le cosiddette "quote migranti" della demoniaca Bruxelles viene condotta senza esclusione di colpi. C’è solo un problema in questa storia: di migranti, in tutto il Paese, ce ne sono meno di 2.000. Ma, fatto ancora più strano, ad opporsi però a questa campagna carica d’odio e violenza paradossalmente non sono i partiti di opposizione, ma un movimento satirico nato per scherzo dieci anni fa con nome abbastanza curioso: Magyar Kétfarkú Kutya Part, il Partito Ungherese del Cane a Due Code.
Opposizione fatta in casa
Situato nella centrale Blaha Lujza tér, a Budapest, il Muszi è un posto di quelli che in Italia sarebbe forse definito un “centro sociale”: libertà negli spazi, libertà nell’ordine, una sconfinata lista di attività e iniziative ospitate nei propri locali. È però anche il luogo dove il Kutya Part ha stabilito il quartier generale delle proprie attività e della propria campagna contro il referendum. Essa si basa su un concetto molto semplice: ridicolizzare e prendersi gioco della campagna del governo producendone una parallela con lo stesso formato, ma con messaggi irriverenti, caustici e divertenti, volti a smontare l’opera di convincimento per il No. Messaggi come "Sapevi che Bruxelles è una città?" (in riferimento al quesito referendario, che parla appunto di "Bruxelles" e non di "Unione europea") o "Sapevi che un ungherese in media vede più UFO che migranti nel corso della propria vita?" campeggiano ormai da settimane nella capitale ungherese, surclassando in numero e varietà i manifesti voluti da Orbán e dal suo partito. Ed è al Muszi che questi manifesti vengono raccolti e preparati alla distribuzione, in un piccolo stanzino che puzza di tabacco, carta stampata, vernice e colla. Questi banner tuttavia arrivano nelle vie di Budapest attraverso semplici volontari che vengono qui a prenderne alcune decine, a volte centinaia, per poi andare ad attaccarli in giro per le strade di Budapest.
Essi appartengono a tutte le fasce d’età e classi sociali: dai giovani studenti che vengono a riempire gli zaini ai professionisti in giacca e cravatta con uno scatolo di detersivo vuoto in una mano e le chiavi di una Mercedes nell’altra, passando per alcuni anziani in bicicletta: il supporto a questa campagna contro le politiche d’odio del governo è trasversale. Tra di loro c'è János, un universitario 21enne che studia Giurisprudenza: «Penso che quello che stanno facendo qui sia veramente utile, lo humour è un'arma formidabile. Penso il No vincera, in ogni caso, ma è un segnale importante. Non tutti sono con il governo, e... Non siamo pochi!».
Ironia, birra ed economia
Gergely Kovács è il leader del Kutya Part. Maglietta larga e consunta, pantaloni cascanti, scarpe da tennis sfondate, un sorriso di quelli in grado di mettere di buonumore chiunque: non sembra esattamente il ritratto del leader politico a cui si è abituati a pensare. «Tutto iniziò nel 2006, quando in campagna elettorale cominciammo a prendere in giro le vuote e seriose promesse dei partiti, inventando un partito che offrisse delle cose come birra gratis e la vita eterna, se fosse stato eletto» racconta Kovács.
«Tutto il nostro movimento si basa sul lavoro di circa 1.000 volontari: paghiamo solo quello che è effettivamente necessario, dagli spazi per pubblicare i nostri banner alla carta per stamparli. Ci finanziamo attraverso donazioni e campagne di crowdfunding: nell’ultima abbiamo raccolto 45 milioni di fiorini (circa 150.000 euro)» spiega Kovács. «L’idea di questa iniziativa (i manifesti satirici, n.d.r.) nasce fondamentalmente dal voler combattere la propaganda di odio e violenza del governo con le sue stesse armi, mostrando quanto assurda essa sia». Kovács appare rilassato e sorridente, e spiega con calma ed ironia la visione del suo movimento sulla campagna referendaria messa in atto dal primo ministro Orbán, come se parlasse di un vecchio amico un po' furbo: «Io credo che questa campagna d’odio durata un anno e mezzo sia stata fondamentalmente un errore. Un errore per cui, peraltro, sono stati spesi un sacco di soldi (Non è dato sapere quanto, poiché il governo ungherese non ha pubblicato i costi della campagna, n.d.r.), che abbiamo contrastato con una campagna che ha impiegato presumibilmente l’1% di quanto speso dal governo. Avessimo i loro soldi potremmo ricostruire qualche fermata degli autobus, o ridipingere più panchine. E il resto… Birra per chiunque collabori!».
Un paese spaccato in due
Quello che viene da notare, passeggiando per Budapest, è quanto poco spazio venga dato alle ragioni del Sì. A parte i manifesti del Kutya Part infatti, per i muri della città non c’è traccia di alcun segno di vita da parte dell’opposizione. Anche i media magiari sono sulla stessa lunghezza d’onda, ed i temi più affrontati in tv sono sempre migranti e sicurezza, ma quasi sempre in una relazione che implica ci primi come una minaccia per la seconda. Entrare in un pub a parlare di politica sostenendo le ragioni dell’accoglienza e della diversità culturale, anche tra amici, può voler dire venire additati come dei pericolosi estremisti ignoranti ed incoscienti, che non hanno a cuore il bene ed il futuro dell’Ungheria e del suo popolo. Anche se i numeri suggeriscono scenari ben meno apocalittici di quelli figurati, la propaganda di paura del governo ha funzionato a dovere. Ed il voto si annuncia come una vittoria a mani basse per il No.
L’Ungheria che arriva al referendum appare essere un Paese spaccato in due: da un lato chi segue i media tradizionali, quasi completamente controllati più o meno direttamente dal governo e dalla sua opera di propaganda positiva del proprio operato, dall’altro chi le informazioni le va a cercare, a volte con perseveranza. Ma è un Paese che arriva alle urne anche fondamentalmente "distratto": gli scandali, l’economia stagnante, la povertà dilagante in alcune aree del Paese, tutto "sacrificato" in nome della lotta al demone dell’immigrazione clandestina e della "cattiva" Bruxelles. «Stiamo sempre a parlare di migranti e immigrazione, ma non facciamo un referendum sulle questioni reali» afferma Kovács. «Ad esempio sulla candidatura di Budapest ad ospitare i Giochi Olimpici del 2024: non ce li possiamo permettere, ma è tutta propaganda. Vorrei vedere quanti direbbero sì ad un referendum a tema...».
Be positive!
«La verità è che noi non facciamo campagna su immigrazione e migranti. Quello cui siamo contro è tutta questa campagna di odio e violenza. E credo che noi ungheresi ci odiamo già abbastanza tra di noi, altro odio è veramente l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno nella nostra società» spiega Kovács. «Anche se forse è un bene che tutta questa violenza sia focalizzata sui migranti: qui non ce ne sono, non c’è alcun pericolo» ammette sorridendo, provocatoriamente.
Idee e riflessioni molto mature e complete per un movimento satirico nato per scherzo. Considerando anche il fatto che il Kutya Part è stato a tutti gli effetti l’unica forza politica a mettersi di traverso alle idee nazionaliste del primo ministro su tutta la questione migranti (l’opposizione si è limitata a non prendere posizione in merito) e che gode di un vasto supporto nella capitale (che da sola rappresenta più di 1/10 dell’elettorato magiaro), nei caffè e circoli culturali della città qualcuno inizia a domandarsi cosa accadrebbe se Kovács si mettesse in gioco e sfidasse Orbán alle prossime elezioni, nel 2018. «Quello che farò dopo questo referendum? Dormirò per una settimana, senza dubbio!» ci confessa Kovács, in una risata gioviale e spontanea. Poi torna serio: «Sappiamo di avere un certo supporto qui a Budapest, che molte persone ci vorrebbero candidati e che voterebbero per noi», ammette, «Ma non è veramente la cosa più importante a cui pensare al momento, è troppo presto».
Perché il nome di Partito del Cane a Due Code? «L'idea ci venne da un detto inglese: quando il cane è felice scodinzola talmente forte che sembra abbia due code. Questa era l’idea che volevamo dare: felicità e positività». Proprio quello di cui l’Ungheria ha bisogno, ora più che mai.