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Referendum francese, vince la paura

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Eleonora Palermo

Dopo i francesi, anche gli olandesi con ogni probabilità diranno No alla Costituzione. Non per le stesse ragioni, ma con lo stesso spirito. Quello della chiusura in se stessi.

«La Francia è il primo paese dell’Unione a rifiutare il Trattato costituzionale», titola così il sito internet de Le Monde, poco dopo la chiusura dei seggi.

Sia che si condivida la gioia dei fautori del No che hanno ottenuto un risultato inequivocabile (54,87%), o piuttosto la delusione dei leader dei grandi partiti parlamentari – tutti favorevoli al Sì e ora mesti, nelle tribune televisive, per una campagna mediocre – è già ora di passare alla tappa successiva della strada della ratificazione della Costituzione europea: i Paesi Bassi votano il 1° giugno.

Il perché di un No olandese

Senza troppa suspense, mercoledì il No dovrebbe imporsi anche nel paese dei tulipani, con un suffragio compreso tra il 60 e il 63%. Ciononostante, come in Francia, tutti i grandi partiti parlamentari olandesi sono per il Sì. La partecipazione alle urne dovrebbe avvicinarsi al 40%, mentre in Francia è stata circa del 70%. Non solo. I motivi del No olandese sono diversi: mentre i francesi hanno rifiutato il Trattato soprattutto per la «cattiva situazione economica e finanziaria della Francia» e perché il testo sembrava «troppo liberista» (come rivela un exit poll della Ipsos), gli olandesi voteranno contro a causa del loro malcontento verso l’Euro, per la paura di perdere la propria sovranità o di vedere la Turchia entrare nell’Ue.

Rafforzamento degli egoismi nazionali

Queste motivazioni sembrano dunque opporsi agli slogan dei promotori del No che offrivano «un No di speranza». Senza giudicarli, si può comunque pensare che il No dei francesi e degli olandesi dimostri – nonostante le differenze – non tanto una speranza comune, quanto un’eguale diffidenza. E non sul Trattato costituzionale in se stesso. Ma rispetto a leader nazionali in cui i popoli non hanno più fiducia. E rispetto a un’Unione europea che giudicano, non senza ragioni, incontrollabile o responsabile di tutti i loro mali, dalle delocalizzazioni delle imprese all’immigrazione. E’ così che il Sì spagnolo del mese di febbraio era sembrato più una dimostrazione di fede nel futuro della costruzione europea che un plebiscito sul Trattato.

La fragilità politica, la tentazione di chiusura, il conservatorismo e gli egoismi nazionali sembrano dunque dominare in una vecchia Europa dove la crescita è anemica e la disoccupazione record. È questa l’Europa che è in panne, colpevole di trovare in se stessa e nella costruzione europea un progetto unico che possa ridarle fiducia nel futuro. E non è il minore dei paradossi che i francesi, e mercoledì gli olandesi, scelgano di dare un colpo d’arresto a un’Europa che a noi sembra il miglior mezzo di reinventarsi, aprirsi e unirsi a chi può aiutarli a uscire dall’apatia.

Non resta che sperare che i leaders del No in Europa abbiano un “piano B” migliore della Costituzione, per poter proseguire. Lasciamogli il beneficio del dubbio. Ma se dovessero fallire, gli europei potrebbero diventare una specie in via d’estinzione, e le frontiere riapparire. Nelle menti.

Translated from La victoire de la peur