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Radio Moscow: dai Black Keys a "Magical Dirt", passando per il rock-prog italiano

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Torino

Dallo Iowa - Usa - a Milano, dal rock suonato nel garage all'incontro con i Black Keys, da un cumulo di "sporcizia magica" al loro quarto album: i Radio Moscow, una delle più importanti band emergenti made in USA, raccontano in esclusiva la loro passione per l'Europa, a Cafébabel.

“Mia madre ha paura che beva troppo alcol in tour”, sussurra Parker- camicia anni ‘60 e mocassini slacciati - mentre ripone il portatile nella tasca dei jeans a zampa di elefante. Il suo tour manager non riesce a trattenere una fragorosa risata che però viene ingoiata, sul nascere, dal  trambusto del treno che sfreccia attraverso la stazione di Milano Rogoredo. Il sole è basso all’orizzonte. I raggi di luce filtrano attraverso la ringhiera di cemento che separa la strada dai binari creando un codice a barre giallo sul fianco del mastodontico pulman nero, a due piani, parcheggiato di fronte all’ARCI Lo-Fi. Sembra un enorme amplificatore con le ruote. Ma è proprio grazie a questa scatola nera che i Radio Moscow stanno girando l’Europa in lungo e largo per presentare il loro ultimo album, Magical Dirt (2014, Alive Naturalsound Records). 

La chiave nera per il successo

“Altro che USA, in Europa è tutta un’altra storia!”, affermano convinti sia Parker Griggs che Paul Marrone, rispettivamente chitarrista e batterista del gruppo. Sembra un cazzotto nell’occhio per chi si immagina gli States come il regno dei concerti indimenticabili. “Negli USA ci sono un sacco di gruppi, ma molta meno gente che viene a sentirti. Il pubblico europeo è tutta un’altra cosa”, dice Paul, prima di concludere: "La gente qui si scatena di più! Parigi è stata una tappa incredibile!". Eppure, la storia dei Radio Moscow è figlia del sogno americano. Siamo nel Iowa e a dieci anni Parker riceve in dono la sua prima chitarra. A 21 anni però, i suoi non perdono occasione per chiedergli se non sia il caso di lasciare la musica per il college. Chi tira fuori il coniglio dal cilindro? Niente di meno che i Black KeysDenver, nel Colorado, 2005: Parker si fa largo tra la folla e lascia il suo disco allo stand delle t-shirt. Una magica staffetta fa approdare le sue regitrazioni nelle mani di Dan Auerbach (voce e chitarra dei Black Keys) in persona. Qualche ora dopo, mentre Parker torna a casa in macchina, squilla il suo telefono. Dan in persona promette che gli troverà un’etichetta. "E' stata una cosa veramente fuori di testa", racconta Parker, quando gli chiedo cosa gli sia passato per la mente in quel momento. Un anno dopo Parker è nello studio di Dan per registrare con il suo bassista. Una firma per la Alive Naturalsound Records e il gioco è fatto: nascono i Radio Moscow. Da allora, 3 album, un paio di cambi di formazione fino ad arrivare all’assetto attuale e a Magical Dirt (letteralmente, “sporcizia magica”). 

Lasciare Hendrix per il rock-prog italiano

Mentre un aeroplano sorvola la periferia di Milano insinuo che il titolo però non sia proprio dei più attraenti. Paul sorride e si sfila i suoi occhiali da sole blu "alla John Lennon". Intanto Parker racconta: “Qualche anno fa abitavo in una casa che aveva un compost in giardino. Un giorno l’ho ricoperto di terra e la primavera successiva ne sono nati 200 funghi: se questa non è sporcizia magica…”. Sebbene l'album si collochi nella migliore tradizione dell'hard rock blues e psichedelico, Magical Dirt è un disco ruvido pieno di influenze contrastanti. Il brano Before it burns è pieno di tamburi che sanno di Oriente. Paul rivela che “amano la musica turca e africana”. Poi confessa l’indicibile: per lui, un punto di riferimento è il rock progressivo italiano. Dagli Osanna a Il Balletto di Bronzo, passando per la PFM: questo ragazzo non riesce proprio “a fa’ l’americano”. Forse perché, come lui stesso rivela, sua nonna è siciliana. Del resto il cognome non mente. Se Parker sul palco è il leader indiscusso del gruppo, durante l’intervista emerge tutto il suo lato introverso. Difficile incontrare il suo sguardo nascosto dietro alla cascata di capelli castano chiaro che gli cadono davanti al viso. Eppure, il filo rosso che unisce tutti i pezzi dell’album è proprio la sua chitarra solista. Parker, giustifica in maniera timida tutto il suo virtuosismo: “Nell’assolo puoi sentire molto il sentimento del musicista”, afferma. “E’ quello che ci piace, amiamo le canzoni con un buon assolo”, rinforza Paul. Come quello della ballata Sweet little thing. “L’ho scritta quando sono tornato negli USA dalla Spagna. Mi ero appena lasciato con la mia ragazza. Ho preso in mano la mia chitarra acustica e la melodia è venuta fuori da sola”, racconta Parker. Timidezza a parte, alcuni lo hanno addirittura paragonato a Jimmy Hendrix. “Beh, è strano perché non è nemmeno uno dei miei principali punti di riferimento”, dice. Gli faccio notare però che in Death of a Queen quell’accordo sa proprio tanto di Foxy Lady. L'ammissione di Parker sta tutta nel sorriso beffardo che si fa largo sul suo volto.

Ormai è noto: il rock and roll non è più il cavallo da battaglia delle case discografiche. Cosa ne pensano i Radio Moscow? “Negli anni ’70 e ’80 i musicisti si prendevano il tempo per padroneggiare uno strumento. Poi con gli anni ’80 tutto è diventato troppo semplice”, sentenzia Paul. Parker lo incalza: “Una volta la musica era più complessa, poi è arrivato il Punk a semplificare tutto. Aggiungici  tutti i trucchetti da studio di registrazione, le tracce pre-registrate: è un po’ come imbrogliare”. A costo di apparire presuntuosi gli Radio Moscow dicono quello che pensano. Gli chiedo che consiglio darebbero a un ragazzo che nel mondo di oggi sogni di diventare lo Slash o lo Zakk Wylde di turno. La loro ultima risposta è un tuffo nel romanticismo musicale made in USA: “Non mollare, cerca sempre di migliorare. Sebbene non sia l’unica cosa che conta, la tecnica rimane importante. Sii te stesso e metti la passione nelle tue canzoni”.