Queer in Tunisia: "Ma che sei una checca?"
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Alexander Damiano RicciSono giovani, queer e soffrono. In Tunisia, 3 anni dopo la Primavera araba, bisessualità e omosessualità rimangono dei concetti tabù. La comunità Queer vuole combattere per i propri diritti, ma manca una strategia comune, oltre al coraggio di prendere l'iniziativa.
Era un momento particolare, quello del gennaio 2011. Durante le dimostrazioni contro il dittatore Ben Ali i giovani tunisi sventolavano la bandiera arcobaleno. Era la prima volta che accadeva in pubblico. Un segno del cambiamento.
Ràm’y ha una foto salvata sul suo portatile. Me la mostra con orgoglio in un café di La Marsa, il quartiere più chic di Tunisi. Che qualcun altro nel bar possa vedere le sue foto non lo disturba: non è un luogo dove si deve nascondere. Il caffè nel quale ci troviamo potrebbe benissimo essere un punto di ritrovo di Parigi o Berlino, dallo stile hipster: giovanile, benestante e intellettuale. L’unica differenza è che dal mare Mediterraneo spira una fresca brezza marina.
Ràm’y è seduto e fuma mentre racconta la sua storia. Sua madre sa che è omosessuale. Suo padre no. A lui non importa: vive la sua vita. Su facebook pubblica foto e articoli sull’essere omosessuale, bisessuale, o lesbica. Sebbene i suoi post diano fastidio a molte persone, lui non si fa problemi. A volte riceve dei commenti del tipo: "Ma che sei una checca?". "Voglio che le persone si abituino. Con il tempo l’omosessualità diventerà qualcosa di 'normale' ", dice Ràm’y. Per avere 20 anni mostra un'attitudine estremamente riflessiva. Ha grandi programmi per la sua vita e si augura che nel futuro, in Tunisia, le condizioni della comunità Queer miglioreranno. "Mi piacerebbe godere della libertà: avere la possibilità di organizzare un Gay Pride, un gruppo di autosostegno ed esssere accettato dagli altri". In gioco c’è il futuro di molti giovani, la cui identità sessuale viene biasimata dallo Stato e dalla società. Esiste ancora una vecchia legge che prevede fino a 3 anni di carcere per chi ha rapporti sessuali con lo stesso genere sessuale, anche se viene applicata di rado. Nonostante ciò, Ràm’y ricorda che potenzialmente chiunque potrebbe essere perseguito penalmente per la sua identità sessuale. Perché quest’ultima rimane ancora un tabù, anche nella Tunisia post-rivoluzione.
Sposarsi ancora
Methi (il nome è fittizio, ndr.) vive la stessa situazione di Ràm’y, ma ha già alle spalle un matrimonio eterosessuale. Abita a 2 ore e mezzo di distanza da Tunisi. Ha bisogno di restare a distanza dalla famiglia, "per respirare". Dal suo monolocale ammira la spiaggia di una località turistica della costa orientale del Paese. Nel suo appartamento sono appesi quadri che raffigurano foreste verdi. Sono foreste tedesche. Methi ama la Germania, dove ha vissuto per 7 anni e studiato germanistica. È stato il periodo della sua vita in cui si è sentito più libero. Oggi ha 35 anni, ma della sua omosessualità era già cosciente durante la pubertà. Come allora, anche oggi, un coming-out è fuori discussione: "Sarebbe troppo pericoloso", afferma.
La rivoluzione ha cambiato di poco la vita di Methi e quella degli altri omosessuali e bisessuali tunisini di 30 anni. "Sotto Ben Ali la situazione non era così problematica; le nostre rivendicazini non disturbavano il suo potere", racconta Methi. Adesso invece, Methi ha paura che le cose possano peggiorare. Soprattutto nel caso in cui la coalizione tra conservatori e salafiti dovesse guadagnare consensi. Per lui una cosa è chiara: si sposerà di nuovo e vivrà ancora "da eterosessuale". Saranno le nuove generazioni ad aprofittare della rivoluzione: "Internet non ha soltanto portato il cambiamento, ma ha anche unito i giovani e le loro coscienze: è questa la vera rivoluzione!", afferma.
Il web, casa queer
Il word wide web è il luogo dove si incontrano i queer. Il sito Planetromeo favorisce gli incontri fra uomini, che sia per creare un’amicizia o una relazione. Su facebook i queer hanno profili in gran parte anonimi. On line operano anche Kelmty, la prima organizzazione LGBT tunisina e la rivista GayDayMagazine. Dopo il successo iniziale però, quest’ultima viene aggiornata solo di rado. Da quando il ministro per i Diritti Umani ha messo alle strette il sito, il fondatore vive nel terrore: "Si trasferisce ogni 2 mesi per non essere rintracciabile", confessa Alì. Lui ha 25 anni e, tra le altre cose, lavora come amministratore web del magazine, oltre a essere un membro attivo di Amnesty International. È uno di quei giovani che fanno di internet la loro arma e che si impegnano per la democratizzazione del Paese. Piuttosto che passare la serata davanti alla televisione, frequenta i dibattiti dei centri culturali di Tunisi. Con i suoi amici vuole cambiare lo stato attuale dei diritti dei queer, ma ci vuole tempo. Lui aspetta il "momento buono": quello per passare all’azione. Ciò lo differenzia da chi, dopo la Rivoluzione dei gelsomini, preso dalla fretta e dall’entusiasmo, ha cominciato a creare iniziative su iniziative: "Tutti hanno cominciato a fare qualcosa, senza capire dove volessero arrivare!".
Al contrario, Alì riflette prima di agire. Studia una strategia per poter aiutare al meglio la comunità Queer. È in contatto con attivisti tunisini e di altri Paesi con cui discute e dai quali riceve consigli. Tutto ciò non è scontato. Molte persone hanno paura che il loro attivismo debba condurre a un inevitabile coming out. Inoltre, non esiste ancora una vera e propria comunità. Se è vero che nei diversi quartieri di Tunisi esistono dei gruppi informali di omosessuali e lesbiche, questi a volte sono addirittura in competizione fra di loro. "Se non siamo uniti fra di noi diventa impossibile ottenere solidarietà dal resto delle persone", sentenzia Alì. È per tutte queste ragioni che, secondo lui, a 3 anni di distanza dalla rivoluzione, il movimento Queer è ancora al punto di partenza. Man mano che il tempo passa però, sempre più persone si comporteranno come Methi: si sentiranno costrette a sposarsi di nuovo e vivranno per inerzia a causa dello stesso tabù di prima.
Translated from Queer in Tunesien: „Bist du eine Schwuchtel, oder was?"