Quando la street art era arte di strada
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Da simbolo delle rivedicazioni popolari a movimento artistico cool, da espressione della riqualificazione delle periferie a oggetto di culto borghese.
La prima volta che vidi un grande murales, buttato lì, in mezzo a una strada, fu a Varsavia. Sarà stato il 2006 o il 2007 al massimo. Rappresentava dei soldati intenti a far la guerra, muniti di fucili, caschi e tute mimetiche. L'artista che lo creò si chiama Blu, italiano, di Bologna.
Lo si guardava stupefatti, incuriositi dal nuovo, intrigati da questa forma artistica ancora inesplorata. Si ammirava la grandezza di quest'opera a cielo aperto, se ne intuiva la portata del messaggio sociale. Tornai in Italia pensando "altro che Bernini e Michelangelo.."
E se da noi le code al Colosseo e agli Uffizi non finiscono mai, la seconda rivoluzione futurista è già pienamente compiuta. L'arte esce dai musei, dai circuiti chiusi che l'hanno sempre caratterizzata, dalla cerchia di pochi eletti destinati a goderne per denaro e cultura. Le periferie si adornano con i grandi murales, gli street artists diventano famosi come attori di Hollywood (Dio quanto vorrei poter ancora dire Cinecittà), l'arte concettuale non interessa più, il figurativo è morto prima che nascessi. I giovani connazionali non conoscono Savinio, Casorati, Luzzati, Colombotto Rosso o Sironi, ma sanno perfettamente chi sono Roa, Jef Aérosol, Banksy..
Però si sa, a ogni rivoluzione segue una controrivoluzione. Come il futurismo fu prima espressione di libertà e poi simbolo della più bieca collusione col potere fascista, così l'arte di strada entra nelle migliori gallerie e nei più prestigiosi salotti. D'altra parte "pecunia non olet", soprattutto in tempi di crisi. E così, da qualche anno ormai, le più grandi firme dell'arte urbana, spesso dichiaratesi disinteressate a ricavare utili dalle loro opere, si sono messe nel fiorente business dell'arte. Gli artisti di strada, fino a poco tempo fa agenti sotto anonimato o pseudonimo, sono oggi battuti all'asta a Roma, Londra, Parigi. In fondo non c'è nulla di nuovo sul fronte occidentale, la controrivoluzione è sempre borghese.
Da quel 2006 sembra passato un secolo. Pensare che guardavo i video di Blu su youtube e andavo a scovare i graffiti di quell'arte ancora in cerca di nome e d'autore sembra assurdo. Da movimento pionieristico a espressione desueta. Sarà il periodo storico, ma le correnti culturali si bruciano troppo velocemente, perdono la loro anima nel giro di pochi anni. Da simbolo della riqualificazione popolare a oggetto di culto aristocratico, l'arte di strada ci invita ai migliori eventi mondani che ci siano.
Una settimana fa sono stato a due inaugurazioni, una a Torpignatta, l'altra alla Temple University sul lungotevere. In quel tripudio di barbe lunghe mezzo metro, camicie nuove di pacca e ragazze di bellezza singolare stavo come un pesce nell'acqua, perché negarlo. Dico solo che quel movimento nato alla fine degli anni '70 negli Stati Uniti e diffusosi da noi all'inizio del nuovo secolo non c'è più. Il suo essere alternativo, volutamente anonimo e portatore di un messaggio sociale non esiste più. Anche questo fantastico fenomeno si è istituzionalizzato, la sua protesta è stata integrata nelle fila del potere. I suoi artisti sono diventati intimi dei grandi galleristi, le loro opere sono pubblicizzate dai maggiori media. E semplicemente diventato cool, ma questo non lo rende meno bello, per carità.
Prima di andarmene dall'inaugurazione, intento a esporre le miei idee sulla street art ad un amico, non posso rinunciare ad un bel bicchiere di vino. Mi avvicino al buffet e dico "Me ne da un bicchiere per favore?" indicando una bottiglia.
La ragazza davanti a me, studentessa improvvisatasi cameriera mi guarda interdetta "Can I help you?"
"A glass of wine please"
"Red or white"
"Eh...white it's okay, thanks!"
L'atmosfera non è proprio da Bronx, ma va bene comunque.