Quando la Polonia celebra i suoi ebrei
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Marco MenegazziNel corso degli ultimi campionati europei di calcio del 2012, i mass media si sono focalizzati sull'apparente antisemitismo diffuso in Polonia. Per colpa di hooligans e secolari stigmatizzazioni, i polacchi sembrano ancora intrappolati nei loro complessi verso gli ebrei. Eppure, a Varsavia cresce una generazione che sta imparando a conoscerli. Reportage.
Giovedí 28 giugno, ore 20:43. Gianluigi Buffon e Phillipp Lahm hanno appena pronunciato un discorso che ha poco a che fare con la posta in gioco della semifinale dei campionati europei. Piazzati davanti a un enorme cartello che reca la scritta “Respect Diversity”, i rispettivi capitani della selezione italiana e tedesca hanno tentato di sensibilizzare i 58.000 spettatori dello Stadio nazionale di Varsavia sull’importanza della lotta contro il razzismo.
Gli ebrei e il pallone
Leggete il dossier di cafebabel dedicato all’Euro 2012: «Euro 2012, un calcio agli stereotipi»
Diciamo la verità, le migliaia di telespettatori presenti nella fan zone, di fianco al Palazzo della Cultura di Varsavia, non sembravano minimamente interessati al messaggio di tolleranza proclamato dai due calciatori. Eppure, si tratta di una delle più importanti novità del Campionato Europeo.
La mente del progetto si chiama Piara Powar, direttore esecutivo di FARE (Football contre le racisme en Europe), venuto direttamente dall’Inghilterra per testare il terreno in Polonia. Questo londinese di una quarantina d’anni, e incredibilmente flemmatico, sa bene che puntare il dito contro l’antisemitismo in Polonia è come lanciare un fiammifero in una polveriera: “le persone si stupiscono del fatto che la comunità ebraica, così poco presente al giorno d’oggi, esista da tantissimo tempo. Ma ai nostri giorni, devo constatare che c'è ancora campo per gli estremismi di destra e i neo-nazisti".
Con il termine “campo” intendiamo ovviamente gli stadi di calcio, dove i mass media dell’Europa occidentale si sono goduti le farse degli estremisti. Con le labbra incollate a una tazza di caffè americano, Piara aggiunge: “Qui gli hooligans - e per estensione tutti i fans - sono spesso visti come potenziali antisemiti. Il nostro lavoro riguarda un problema reale. Sono rimasto scioccato dal vedere delle persone colte ancora convinte che tutta la Polonia sia in mano a 2 o 3.000 ebrei. È il modo peggiore di vedere le cose”.
Riguardo quest’ultimo punto, il documentario girato dalla BBC intitolato Gli Stadi dell’Odio testimonia la chiara presa di posizione dei mass media, che insistono spesso su un problema vecchio di mezzo secolo, come i dissapori, talvolta vivaci, fra polacchi e comunità ebraica. Rafal Pankowski, co-fondatore dell’associazione Never Again e autore di innumerevoli opere sull’estrema destra in Polonia, ci riceve nella cornice di lusso di un ristorante situato nel Palazzo della Cultura di Varsavia.
Direttore della struttura temporanea di sorveglianza Est Europe Monitoring Centre, e partner principale della UEFA nella campagna di sensibilizzazione contro il razzismo, questo piccolo uomo con gli occhiali è una delle persone più informate sulla questione antisemita nel contesto dell’Euro 2012.
Secondo lui, la questione ebraica rappresenta “tuttora un problema”. Pankowski aggiunge: “durante le partite di calcio, i fans si danno l'un l'altro dell'ebreo, parola che ormai è entrata nell’immaginario collettivo come simbolo del male assoluto". Per Rafal, i principali eccessi restano appannaggio di idioti accaniti, che cercano di far dimenticare alla gente che la comunità ebraica ha dato un grande contributo al calcio nazionale.
Le due principali squadre di calcio polacche nella città di Lodz - l’LSK Lodz e il Widzew Lodz - furono fondate da gruppi di intellettuali ebrei intorno agli anni trenta del secolo scorso. Cosa è rimasto oggi? “Abbiamo un giocatore israeliano che gioca per il Wisla Krakow (a Cracovia, ndr): Maor Melikson. L’anno scorso, Melikson ha firmato il contratto e già il suo allenatore gli ha proposto di giocare per la squadra nazionale polacca. Ma Melikson ha rifiutato prontamente. E' un vero peccato perché credo che questo fatto ci avrebbe aiutato molto".
I polacchi, “condannati a essere colpevoli”
Melikson...o la storia di un simbolo mancato in una nazione che è alla ricerca, dopo la caduta del comunismo, di rafforzare, di anno in anno, una certa sopravvivenza della cultura ebraica. È proprio in questo quadro che sarà inaugurato nel 2013 il Museo della storia degli ebrei polacchi, nella parte nord della città.
Situato sul terreno dove una volta sorgeva il ghetto di Varsavia, e con 3 ettari costruiti e fortificati da recinzioni, è in fase di più o meno rapida costruzione quello che dovrà divenire il più grande centro culturale dedicato alla tradizione ebraica d’Europa. Tutto questo con l'obiettivo di conservare l’ultima eredità della comunità ebraica nella capitale polacca. "In Polonia, la comunità ebraica è stata la più importante d’Europa e la seconda nel mondo, appena dopo New York”, afferma Nitzan Reisner, il ventitreenne incaricato delle pubbliche relazioni del museo.
Nitzan è nato a New York in una famiglia ebraica tradizionale, prima di emigrare a Varsavia nel 2000. Qui, la madre ha fondato la prima scuola ebraica. “Con questo museo, vogliamo mostrare al pubblico quello che è successo. Le persone sono ancora convinte che la Polonia sia un paese antisemita. I polacchi sono ancora scottati dalla memoria dell’olocausto, che li condanna in un qualche modo a sentirsi per sempre colpevoli". Il trauma si spiega solo con le cifre: la comunità ebraica è passata da 359.827 ebrei (circa il 40% della popolazione di Varsavia), al 28 ottobre 1939, a 18.000 individui il primo di gennaio del 1946.
Un passato difficile, che probabilmente ha a che vedere con quella “ossessione d’innocenza” evocata da un antropologo polacco nelle rubriche di una rivista francese. O forse si riferisce a quel “tabù” dell’inevitabile, evocato nell’opera dello storico Jan Gross, Les Voisins ("I vicini"), che dimostrava come i pogrom contro gli ebrei siano scaturiti dopo l’occupazione nazista. Nitzan preferisce, da parte sua, volgere lo sguardo verso il futuro: “va bene, ammetto che un tempo era un tabù. Ma i giovani polacchi sono oggigiorno di mentalità molto aperta, interessati e soprattutto curiosi. Ho degli amici con cui esco la sera che si preoccupano per i dolci che potrei mangiare, o per l'alcool che potrei bere inavvertitamente. La nuova generazione si prende cura degli ebrei, questo lo credo veramente".
Essere ebreo è un po’ «come essere un hipster o avere un Iphone»
Secondo Kinga, 28 anni, che nel 2007 ha difeso la sua tesi di laurea intitolata “L’Olocausto nella cultura pop”, il complesso ansiogeno sul quale si sono fissati gli storici si è ormai tramutato in “tendenza”. O, per lo meno, per la generazione Y. Effettivamente, al giorno d’oggi i giovani di Varsavia utilizzano il termine “ebreo” come uno strumento di discussione. “E' diventato una parola da infilare in qualunque discussione. Il principale quotidiano della Polonia, la Gazeta Wyborcza, pubblica frequentemente articoli che lasciano pensare che ormai il termine ebreo è diventato di moda. A Varsavia, essere ebreo o avere un amico ebreo è diventato quasi una tendenza. Tanto come essere hipster o avere un Iphone”. Non è che qualcuno può spiegare a Buffon e Lahm che erano alla moda, ancor prima del calcio d’inizio?
Questo articolo fa parte di Multikulti on the Ground 2011-2012, una serie di reportage sul multiculturalismo realizzati da cafebabel.com in Europa. Un ringraziamento speciale va a tutto il team di cafebabel Varsavia.
Foto di copertina: (cc)laprimadonna/flickr; nel testo: Piara Powar, Nitzan Reisner e Kinga: © Eric LLuent per Multikulti on the Ground di cafebabel.com; Maor Melikson © pagina Facebook ufficiale del giocatore; Museo della storia degli ebrei polacchi © cortesia del sito ufficiale del museo; Video UEFA di (cc) zeppymetal/YouTube.
Translated from La Pologne et les Juifs : le Shoah des maux