Quando la frenesia nipponica s'invita a Bozar
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Mafalda MorelliCafébabel Bruxelles ha assistito all'inaugurazione della mostra che si tiene dal 14 ottobre 2016 al 22 gennaio 2017. In programma: esaltazione, colori e avanguardismo in una mostra molto più attuale di quello che sembra.
Sadaharu Horio, l'artiste più importante dell'avanguardia giapponese, ha aspettato pronto i giornalisti venuti all'apertura della mostra «A Feverish Era in Japanese Art», giovedì 13 ottobre a Bozar. Alle 11, con il suo sguardo ridente da eterno bambino, si è esibito in una performance nella hall del museo; con matite, fogli e inchiostro, per una ventina di minuti, è stato come se l'artista stesse lottando vigorosamente con tutta l'anima con il suo materiale, per offrire agli spettatori una sfida creatrice piuttosto «feverish» (febbrile), in completa sintonia con la mostra. Il solo momento imbarazzante tra il pubblico (in uno stato di visibile beatitudine davanti all'artista), è stato quando tutti si sono messi ad applaudire per aver camminato su un foglio di carta gigante posizionato nelle scale ma, obbligato dall'arte «contento-per-niente», anche io mi sono unito alla folla... Va detto che, ad animare la cinquantina di opere presentate, è proprio questa idea di lotta senza fine tra la materia, l'artista e i colori.
Espressionisti siamo noi
Alla fine della seconda guerra mondiale, il Giappone è un paese straziato e traumatizzato, che si deve non solo consolare per tutte le perdite accumulate, ma anche affrontare la ricostruzione di un territorio in macerie. Questo periodo bastardo, che rappresenta una frattura tra un passato pesante e un futuro incerto, è propizio alle questioni d'identità - «Chi siamo? Dove andiamo?». I giovanni artisti giapponesi sono allora in piena espansione interiore, si aprono al mondo e bramano le novità.
La La mostra ripercorre l'effervescenza degli artisti giapponesi che, negli anni 1950 – 1960, si appropriano dell’espressionnismo preesistente in Europa. Nel permettere all'energia creatrice fare il suo lavoro, da sola, come se si stesse definendo una nuova identità dopo l'inizio oscuro del XX secolo, si vede una richiesta di semplicità. Nell'opera di Shiraga «Tenbousei Ryoutouda», del 1962, si sente l'elevata vibrazione che fa da filo conduttore alla mostra. Il pittore utilizza i piedi, attaccato a una cords e con la tela per terra; accumula la materia, per liberare un'opera ibrida tra pittura e scultura.
Un'arte più attuale e giovane che mai
Tale avanguardia, anche se in primo luogo permette alla materia di esprimersi, non è priva di coscienza politica, anzi tende addirittura all'arte impegnata, denunciando per esempio gli orrori dei test nucleari. L'incandescente opera «Moeru Hito (Hommes en feu)» di Taro Okamoto, 1965, fa da ponte tra questo singolare stato primitivo della tradizione giapponese e i colori eclatanti. L'artista non denuncia l'orrore attraverso la ragione e l'intelletto, ma attraverso l'emozione che provoca il quadro. Turbati nel profondo dell'anima.
«A feverish era in Japanese Art» è quindi una mostra da vedere, non solo per lo schock visivo, ma anche perché è una mostra che si lascia facilmente domare. Rieccheggiando in tutto ciò che è in noi, bel lungi dall'essere elitista e introspettiva, l'insieme riflette bene le attuali questioni identitarie.
Translated from Quand la frénésie nippone s'invite à Bozar