Quando è la Nuova Europa ad esportare cervelli
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Ottavio Di BellaIl caso di Slavoj Zizek. Come un marxista sloveno ha conquistato le tribune intellettuali degli States. Provocando sistematicamente gli uditori. Alla Berlusconi.
Citando il Viagra per sostenere la teoria lacaniana, ha scritto un articolo su "Matrix" e collegato Hegel a "Sex Games" e alla Thatcher. Zizek è un teorico biricchino con una popolarità immensa Oltreatlantico. Ma perché, qui in Europa, non ne abbiamo sentito parlare?
I gollisti scossero la testa con una cosapevole disperazione verso i paesi candidati dell'UE quando in febbraio sei di essi si iscrissero al programma bellico dello Zio Tony (1). Poi Chirac alzò la voce come un austero pater familias, e sgridò i bambini errabondi per aver giocato con quel giocattolo proibito chiamato potere. Senza dubbio in qualche posto sperduto tra il Michigan e Ljubljana, Slavoj Zizek a quel tempo, stava dando la sua propria valutazione sull'Europa divisa ad un pubblico fortemente marcato USA. Questo articolo è il tentativo di offrire un’idea di ciò che Zizek avrebbe detto o almeno un senso dei posti della politica e dei simboli occupato da un’esportazione europea "nuova" in un’era di rivalità transatlantica e di egemonia culturale degli Stati Uniti.
Grazie ad un intelligente, iperproduttivo e feroce intelletto Zizek ha realizzato l’impossibile. Lui è realmente un ambasciatore del pensiero europeo, avendo portato un gruppo di strizzacervelli estremamente complessi (incluso Lacan, Hegel e Kant) all’attenzione dell’inconscio collettivo americano. Come? Il suo segreto è l’accessibilità e l’apertura verso la cultura popolare come un prezioso (ed osceno) punto di riferimento per i suoi lavori più astratti. Cavando fuori da una rete complessa di filosofia hegeliana, dialettica marxista e teoria psicoanalitica lacaniana, spezia la sua interpretazione di alta teoria con aneddoti da film popolari e scherzi sbarazzini. Il risultato è così appetitoso per gli studenti universitari che ormai è diventato oggetto di culto seguito dai ragazzi dei college degli Stati Uniti così come nell’Europa orientale. Così grande è la sua presa sulla cultura popolare USA che rinomati teorici delle identità postmoderne il cui lavoro egli ha aspramente criticato, fanno la coda per cantare le sue lodi. Il vecchio filosofo cinquantaquattrenne sloveno, che fu piuttosto disoccupato durante l’era comunista (a causa delle sue tesi ‘insufficientemente marxiste’) ora ha un solido lavoro presso l’università di Ljubljana ed una fama internazionale. Passa un semestre all’anno negli Stati Uniti e detesta lo "pseudo-intellettualismo". Nel frattempo, nella sua natia Slovenia, è un’istituzione nazionale, a volte criticato da intellettuali di sinistra per esser troppo vicino al partito dominante che egli contribuì a fondare...
Da una critica al socialismo – ad una sul capitalismo dei consumi
È probabile che la storia di Zizek debba esser letta come quella di un intellettuale sedotto dalle accademie americane e dalle decorazioni della cultura popolare. In ogni caso, come lo stesso Zizek ha detto della sua propria vita: "tutto è l’opposto di quel che sembra". In verità Zizek rappresenta meno ‘la nuova Europa’ di quanto si ritenga. Discepolo avido del pensiero moderno francese e tedesco, il pensiero di Zizek appartiene molto più agli strutturalisti d’Oltralpe che ai tipi alla Georg Lukács, o ad altri simili devoti del marxismo ortodosso. Avendo vissuto nel bel mezzo di un socialismo versione Tito nella cornice dell’allora Yugoslavia, Zizek appartiene ad una particolare razza di persone che hanno vissuto tra due sistemi che hanno cercato di plasmare la politica mondiale. Politicamente e filosoficamente parlando perciò, non rappresenta certo una sorpresa ch’egli abbracci una sorta di "terza via" tra lo scetticismo postmoderno francese verso gli ideali illuministi di ‘verità’, ‘ragione’, ‘universalità’ e ‘progresso (incarnato da Foucault e Derrida) ed la revisione di quegli stessi ideali realizzata da Habermas. E’ così che si pone al tempo stesso come acerrimo nemico del capitalismo consumistico ‘made in USA’, e come critico di quello che definisce come "volgare anti-americanismo". Per altri versi, Zizek ha anche criticato la globalizzazione ed il mantra del libero mercato come parte della "violenza sistematica e anonima" del capitalismo, usando dispettosamente il 150esimo Anniversario del Manifesto Comunista per dibattere (contro la prevalente visione postmoderna) sull’attinenza di quel testo al sistema economico e culturale globale dell’oggi.
Un pensatore di sinistra, tagliente allo stesso modo nei riguardi del socialismo e del capitalismo consumistico. Il suo obiettivo è l’ideologia – che lui individua tanto nel remissivo, passivo e semplicione "Forrest Gump" ricompensato della sua obbedienza con ricchezza e fama (nel film che ne porta il nome), quanto nella socio-psicologia della vittima citata dai delinquenti minorili, da quelli del film West-Side Story (verso l’ufficiale Krupke) a quei giovani neonazisti della Germania orientale come scusa per i loro crimini. Zizek è anche profondamente diffidente verso il concetto ideologico di nazione (così adorato dall’amministrazione di Bush) e le sui ingannevoli isterie ricorrenti "lasciamo da parte i nostri piccoli conflitti politici ed ideologici, è il destino della nostra stessa nazione ad esser adesso in pericolo" (4).
Per Zizek, molto di quel che è sbagliato nel mondo è dovuto alla depoliticizzazione della gente. Il socialismo e il capitalismo sono colpevoli di questo nel senso che i due sistemi incoraggiano un cinico e perciò apolitico cittadino: un tipo profondamente diffidente verso il sistema, incapace o non disposto più a credere ch’egli possa fare qualcosa per cambiarlo. Allo stesso modo la sua visione che nell’odierna era dell’ideologia cinica può permettersi di rivelarsi senza perdere la sua efficienza. Come è stato notato altrove, è piuttosto come i clienti bendisposti che, portando i loghi dei loro marchi preferiti, camminano di proposito con annunci pubblicitari dei vestiti fissati sulle loro schiene (2).
Il progetto politico di Zizek è perciò la dimostrazione dell’onnipervasività dell’ideologia (per cui “anche quando pensiamo di non fare ideologia, in realtà la stiamo facendo”) ed una ricerca per quello ch’egli chiama "politicamente appropriato" (“political proper” nel testo in orginale – ndt) – un momento di dialettica politica che è fugace, come il punto di svolta in una rivoluzione, prima di tutto, ed ancora una volta, iscritto in un ordine ideologico. Ammiratore del Terzo Stato, egli è più un Danton che un Robespierre nel momento in cui vede la dialettica politica nei comitati civici, come il Foro Civico ceco ed il Comitato sloveno per la Protezione dei Diritti umani, che si sono formati nei paesi del blocco orientale come opposizione de facto alla Nomenklatura di partito prima della caduta del muro di Berlino.
Una filosofia dell’anti-intellettualismo
Nel contesto del "politicamente appropriato" si potrebbe cominciare a considerare Zizek un organizzatore di opposizione della società civile, un sessantottino dei nostri giorni sullo stampo di un Roland Barthes, capace di parlare a braccio a studenti-seguaci e manifestanti anti-G8. Ancora una volta non si potrebbe esser più in torto. All’inizio egli attacca l’assunto che la società civile sia una forza benevola, citando invece l’Oklahoma che bombarda come esempio potente di come gli Stati Uniti scoprirono "centinaio di migliaia di sussulti". Afferma inoltre in modo controverso che quello che ci piaceva dei dissidenti europei dell’est era possibile solamente all’interno di un sistema socialista (3).
Per un pensatore della sua grandezza e della complessità Zizek è anche assolutamente un anti-intellettuale. Si mostra sdegnoso verso l’élite intellettuale di sinistra nel suo proprio paese ed ci si immaginerebbe che, nonostante la sua adesione fedele ai pensatori ‘sexy’, rimanga piuttosto diffidente sulla tendenza che noi europei abbiamo di elevare i nostri intellettuali allo statuto di cosiddetti ambasciatori culturali (si pensi al Goethe Institut, agli incontri di Sartre con Castro a Cuba ecc.). Ha reso ben chiaro che questa tradizione non dovrebbe essere replicata nel vecchio blocco orientale, affermando riguardo alla Slovenia che "un complesso messianico di intellettuali in Europa orientale, se combinato col volgare anti-americanismo, può divenire estremamente pericoloso" (3). Per Zizek, questo atteggiamento è "di destra" e fondamentalmente conduce ad un’altra cosa che vede come il fumo negli occhi: il nazionalismo intellettualizzato, la causa e la conseguenza del conflitto nei Balcani.
Per molti profili, si trova a suo agio con l’idea di intellettuali vicini alla politica istituzionale, credendo nel compromesso aperto, fatto essenzialmente di riunioni, di intrigo e di impegni. In altre parole sa bene che bisogna sporcarsi le mani, e lui stesso, d’altronde, lo fa. Sostiene il partito dominante in Slovenia e si mostra critico nei confronti dei potenti intellettuali che pescano nel passato della dissidenza di sinistra e portano avanti un’ideologia da lui ritenuta marginale. La sua visione è che l’intellettuale debba affrontare una scelta professionale che spesso può significare accettare le regole del gioco politico.
”Pop-psicologia per un’Europa allargata”?
E’ difficile per caratteristiche stringere Zizek quando si passa all’Unione europea. Per uno che ha scritto un libro (ironicamente?) intitolato "Un discorso sinistrorso in favore dell’Eurocentrismo" si è mostrato critico di Bruxelles come un sogno di una "neutrale, puramente tecnocratica burocrazia" (3) (in particolare in relazione al conflitto balcanico). E’ difficile sondare quel che Zizek farebbe dell’Unione europea allargata, anche se sembra già da ora improbabile sovrapporne la sua immagine di "politicamente appropriato". Uno dei suoi ora famosi esempi chiama in causa le bandiere usate nelle dimostrazioni dai tedeschi dell’est nel corso delle ultime impetuose settimane e negli ultimi giorni dello stato Socialista. "Wir sind das Volk" (siamo noi il popolo) ebbero a proclamare, dove l’articolo determinato serviva a marcare il diritto del tedeschi dell’Est a esser ascoltati come il soggetto di storia. Eppure il momento fugace era ben presto già finito. Le bandiere cambiarono in "Wir sind ein Volk" (siamo un popolo) il che si è tradotto per Zizek nella sussunzione dei tedeschi dell’Est nel sistema capitalista liberale ed occidentale.
Chiaramente, Zizek non è amico della standardizzazione, di abiti e servitori civili che fanno discorsi in cui proclamano l’armonia, o in cui mettono insieme costituzioni ed insulsaggini che rappezzano sulle vecchie debolezze e sulle antiche ferite. E’ molto più probabile che sia stato deliziato dalla "gaffe" di Silvio e che stia lì per progettare una sua propria versione di una ‘beffa’ con cui entusiasmare folle di studenti-seguaci. Come europei dovremmo essere orgogliosi di questa esportazione – un figlio ribelle della disillusione comunista che ha impiantato la propria casa in mezzo alle teorie dell’Europa occidentale e la cultura popolare USA e che non sarà messo a tacere. Destre Eurocentriche, state in guardia!
(1) Polonia, Ungheria e Repubblica ceca firmarono la lettera, mentre almeno tre altri paesi che entreranno nell’UE manifestarono il loro appoggio, inclusa la Slovenia.
(2) Naomi Klein, No Logo.
(3) Zizek, "Il Giappone attraverso uno specchietto sloveno. Riflessioni su media, politica e cinema." InterCommunication no. 14. 1995.
(4) Zizek, Dal sintomo Joyce al Sintomo del Potere.
Translated from Slavoj Zizek: great European export or sell-out to US cultural hegemony?