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Prima le conclusioni, poi i dati

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Le politiche linguistiche

Cari amici,

forse la notizia è passata inosservata, ma è invece succulenta. In aprile la Commissione europea "ha adottato una comunicazione nella quale presenta un'indagine destinata a misurare le competenze degli studenti dell'UE nella prima e nella seconda lingua straniera apprese a scuola". Potete leggere il comunicato qui.

L'obiettivo dell'indagine sulle competenze linguistiche fatta nella maggior parte dei paesi membri è di valutare "le conoscenze degli studenti al termine della scuola dell'obbligo. Nel primo ciclo di test, che dovrebbe svolgersi nel 2009, saranno misurate tre competenze (comprensione scritta, comprensione orale ed espressione scritta) nelle due lingue maggiormente insegnate in ciascuno Stato membro, scelte fra le cinque lingue ufficiali complessivamente più insegnate a livello comunitario, ossia inglese, francese, tedesco, spagnolo e italiano".

Per gli economisti delle lingue è un'occasione ghiottissima: nel 2009 si potrà usufruire di una banca dati fresca per divertirsi a fare calcoli e stime. Ma c'è un trucco. Leggete bene: i dati verranno raccolti solo per le "due lingue maggiormente insegnate in ciascuno Stato membro". Cosa significa questo? Non sarà che lo scopo dell'inchiesta è di fornire un supporto per la politica linguistica implicita della Commissione, ovvero promuovere l'oligarchia inglese-francese-tedesco? Notate, lapsus, che nella comunicazione le lingue sono messe proprio in quest'ordine, non in ordine alfabetico.

Basta infatti dare un'occhiata ai dati Eurydice per rendersi conto che inglese, francese e tedesco sono già le tre lingue più insegnate nella maggioranza dei casi (con l'eccezione importante della Francia, se non sbaglio, dove lo spagnolo è secondo). Limitare la raccolta dati alle prime due lingue fra le 5 menzionate, quindi, significa di fatto raccogliere dati solo per inglese, francese e tedesco. Quale sostegno empirico migliore per sostenere la tesi che il modello dell'oligarchia linguistica è la politica linguistica più in linea con le "reali" competenze dei giovani cittadini europei? Che sia uno di quei casi in cui le indagini sono state concepite e condotte per trovare i dati necessari a giustificare politiche già pianificate prima che la raccolta dei dati avvenga? Vi sono dei paesi dove il russo o l'olandese sono lingue straniere importanti nell'insegnamento, ma essi per l'appunto sono esclusi dalla lista delle 5 lingue... Nella nota a piè di pagina, per fortuna, si dice: "Lo strumento di valutazione sarà messo a disposizione di tutti i paesi che desiderino misurare le competenze linguistiche in lingue diverse dalle cinque menzionate". Ma perché metterlo a piè di pagina? Perché non rendere obbligatoria in ogni caso la raccolta dati per tutte le lingue? Sarebbe una base dati più completa. È una cosa importante. Che dire se si scoprisse, ad esempio, che i bulgari che imparano il russo hanno in media risultati molto più alti di quelli che imparano il tedesco?

Vi è poi un secondo punto che va considerato. Le lingue straniere sono generalmente insegnate in modo sfasato, per peridi di tempo diversi. E poiché la lingua straniera insegnata per prima e più a lungo è spesso l'inglese, non ci stupiremo di constatare che la competenza media in questa lingua sarà più alta delle altre. L'obiettivo della Commissione (lingua madre + 2) non è ancora la prassi, dato che, cito a memoria, gli stati dell'Unione insegnano in media 1,4 lingue straniere. Si tratta quindi di un obiettivo di lungo termine. Qui sta un potenziale effetto boomerang che la Commissione sottovaluta: se i dati non vengono ponderati per il numero di anni d'insegnamento, gli apostoli dell'anglofonia faranno di tutto per leggerci un bilinguismo di fatto (o quantomeno tendenziale) delle giovani generazioni di europei, e predicheranno a maggior ragione l'inutilità del multilinguismo.