Presidente, "Du iu spik inglish"?
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Anche Matteo Renzi stecca la prova dell'inglese, se non è una bocciatura è comunque una rimandatura in un terreno dove tutti i predecessori non avevano fatto meglio. In realtà ancora oggi l'Italia è un paese allergico alle lingue straniere. Che fare? Qualche soluzione ci sarebbe.
Il discorso di Renzi a Strasburgo nel bene o nel male ha impressionato per il linguaggio utilizzato ed è figlio delle lezioni della moderna politica americana, modellata sui messaggi degli spin doctor o quella britannica di "blairiana" memoria (Alastair Campbell), rivisitata nella nuova epoca dei social network. Ma c’é una lezione del mondo anglosassone in cui l’alunno Matteo è bocciato come altri suoi colleghi e il sistema Italia in toto: si tratta della temuta prova d’inglese.
Da giorni impazza sul web un video in cui il Presidente del Consiglio si destreggia in modo comico (o tragico a seconda dei punti di vista) con un inglese improvvisato e in alcuni casi inedito, il cosidetto inglese "maccheronico", misto di espressioni, incertezze, neologismi e gestualità dell'italiano in difficoltà. Quello che è successo durante la kermesse internazionale "Digital Venice" ha suscitato le ilarità del pubblico degli internauti e non solo. Il presidente del Consiglio, di norma a suo agio con la prova della comunicazione, è apparso insicuro e balbettante. La parlantina fluente e disinvolta che lo ha sempre contraddistinto si é infranta contro lo scoglio più duro, la lingua inglese. E a poco sono serviti quegli inglesismi tanto incisivi e di moda quanto dannosi per la ricchezza della lingua italiana.
Ma quello che è accaduto a Matteo Renzi e tanti altri prima di lui da Berlusconi a Pittella, da Rutelli, a Fassino o La Russa non è altro che lo specchio della situazione di un paese ultimo in Europa per le abilità linguistiche. Questa volta, tuttavia, il dato è più preoccupante perchè a steccare è proprio quella "generazione Telemaco" che si dovrebbe riprendere il maltolto attraverso la sua preparazione o utilizzando un neologismo tanto in voga, la meritocrazia. Si continua a dire che la lingua di Shakespeare è indispensabile, è imprescindibile, eppure gli italiani continuano ad essere dei cattivi alunni. Gli abitanti della Penisola restano vivaci chiacchieroni nella lingua di Dante (nella migliore delle ipotesi) o nei dialetti locali, ma goffi comunicatori quando si tratta di esprimersi in inglese.
I peggiori alunni d'Europa
Secondo un recente studio di Education First condotto su un campione di 750mila adulti in 60 paesi del mondo, l'Italia risulterebbe agli ultimi posti e comunque maglia nera d'Europa. Un "gap", per utilizzare proprio un termine anglossassone, che comincia nell'educazione primaria e si trascina avanti nella formazione secondaria o alta come come quella universitaria, ma che di fatto si estende a diversi aspetti della vita quotidiana, dai palinsesti televisivi sino alla produzione cinematografica, mai in lingua originale e sempre doppiata.
Nel paese dove l'unificazione linguistica e le più grandi rivoluzioni politiche e culturali sono partite proprio dalla televisione, l'idea di concentrare i propri sforzi sul piccolo schermo non può che essere lungimirante. Qualche anno fa l'allora ministro dell'economia Giulio Tremonti, con una lettera pubblica al Corriere della Sera, esortava la RAI a trasmettere dei programmi interamente in inglese con i sottotitoli in italiano. Una scelta "a costo zero", motivata dal fatto che nel mondo globalizzato la competitività del paese sarebbe passata per l'apprendimento della lingua internazionale. Probabilmente il problema italiano è molto più complesso dello slogan delle 3 "I" (impresa, informatica, inglese) del governo Berlusconi di qualche anno fa (peraltro mai realizzato), ma si tratta davvero di un punto centrale nello sviluppo umano di un paese. Una breve esperienza con la tv scandinava testimonierebbe infatti come l'apprendimento della lingua di Sua Maestà non è soltanto frutto di una prossimità con il mondo anglosassone o di apertura culturale, ma il risultato di una vera e propria colonizzazione che inizia sin dalla tenera età in televisione. Non si contano i programmi, i telefilm, i cartoni animati o i film trasmessi in lingua originale. Ma il cane continua amordersi la coda: come dare l'esempio se il riformatore é il primo a sbagliare, o in questo caso é il cattivo alunno?
Caro Presidente del Consiglio, caro ex vice-presidente del Parlamento Europeo Pittella e altri che verranno, rivolgetevi ai tantissimi giovani italiani partiti all'estero con una valigia di spago o con una laurea in tasca per animare l'economie dei paesi che li accolgono. Questi, o ancora la generazione Erasmus, potrebbero dare una mano alle élites politiche economiche per imparare una volta per tutte la lingua globale. Fate come loro di necessità una virtù, oppure prendete semplicemente una vecchia cassetta di "Magic English", un dizionario Collins, o iscrivetevi alla miriade di corsi che proliferano negli istituti privati o su internet, per voo dovrebbero essere gratuiti o quasi. Insomma studiate! Altrimenti risulterà difficile parlare di modernità e meritocrazia e soprattutto parlare la lingua inglese.