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Pompei, la bella abbandonata 

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Napoli

Un privato fa rinascere Ercolano mentre Pompei crolla nonostante i fondi stanziati dall'Unione. La soluzione? En francais s'il vous plait.

In Campania si compie un miracolo: due continenti all'interno della stessa Regione. La distanza? Quella che intercorre tra gli scavi di Ercolano e quelli di Pompei: 11 chilometri. Distrutte insieme la notte del 24 agosto del 79 d.C., riportate alla luce prima dagli Scavi dei Borboni e poi da illustri archeologi italiani, come Amedeo Maiuri. Le due città, dichiarate dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità, sembrano luoghi di continenti diversi. Se a Pompei crolli, difficoltà nella spesa dei fondi e proteste dei lavoratori minano la fruibilità e l'immagine del sito, Ercolano è oggetto di studio come "best practise" nella gestione di aree archeologiche.

Ercolano, un modello grazie al mecenate. La chiave è il privato?

Tutto inizia nel 2002 con il concepimento dell'Herculanem Conservation Project: la Soprintendenza, il Packard Humanities Institute e l'Accademia Britannica siglano una partnership che dà lavoro a un gruppo interdisciplinare di specialisti e a imprese prevalentemente italiane. Dopo 12 anni e 20 milioni di euro investiti l'impatto è tangibile: il 65% dell'area è visitabile, è stata ripristinata l'antica rete fognaria in modo da prevenire il dissesto idro-geologico (secondo gli archeologi, prima causa dei crolli verificatisi negli scavi di Pompei), le strade e i marciapiedi sono stati ripuliti, gli affreschi restaurati, le domus coperte. In tutto ciò, il nome Packard è presente solo su una targa che riporta cosa è stato fatto fin'ora e i futuri progetti. "What we're doing", recita. Intanto Pompei è in situazione d'emergenza: dal crollo della Casa dei Gladiatori nel 2011 al "record" dei tre crolli in tre giorni dello scorso marzo, fino a finire ai famosi 105 milioni di euro di fondi comunitari dei quali, fino a luglio 2014, ne erano stati spesi soltanto l'1 % per poi salire vertiginosamente al 46% in 3 mesi insinuando il legittimo dubbio dell'ennesima dissipazione di danaro pubblico e che la "svolta" sia stata dettata dalle continue sollecitazioni degli organi europei e la minaccia della restituzione dei finanziamenti.

Come si spiega questo disallineamento tra due aree che, lo ricordiamo ancora  distano tra loro solo 11 chilometri? Innanzitutto Pompei ed Ercolano differiscono per estensione (gli Scavi pompeiani sono circa 5 volte più grandi) e per tipologia d'interventi richiesti. Gli scavi di Ercolano sono stati improvvisamente travolti da un fiume di lava che, sigillando la città, ha offerto una conservazione dellla strutture senza pari. A Pompei invece sono caduti lapilli e cenere che hanno soffocato la città, rendendo la manutenzione delicata e gli interventi bisognosi di quella flessibilità della quale Ercolano gode grazie all'intervento privatistico, e che la macchina pubblica sembra non poter assicurare. La soluzione è quindi da ricercarsi nell'intervento privato? Forse. Ma si possono ripercorrere altre strade vista la difficoltà di trovare un mecenate che non chieda come contropartita un ritorno d'immagine. Le parole d'ordine devono essere efficacia e velocità. Come assicurarle?

All'estero il pubblico funziona. E parla francese

In Francia, più precisamente nella Valle della Loira, dal 2000 vi è un virtuoso esempio di come pubblico e privato collaborino lealmente per la conservazione e lo sviluppo del patrimonio artistico e culturale. La Mission Val de Loire, commissione che offre un lavoro di mediazione tra imprese ed enti. Viene dato in concessione un marchio, che dà prestigio alle aziende, a patto che ci si impegni a mettere in campo azioni che contribuiscono alla valorizzazione, anche economica tendente all'auto-finanziamento, e alla conoscenza del paesaggio culturale della valle della Loira. Tutto ciò con il patrocinio dell'Unesco

Collaborazione, prima che crolli tutto

Un regime di funzionamento simile è auspicabile se promosso dall'Unione Europea. Questa negli anni si è preoccupata soprattutto di azioni d'ispettorato e sanzionatorie in vista della grande emissione di finanziamenti al sito pompeiano. I fondi ingenti però hanno paradossalmente sottratto interesse alla gestione e manutenzione ordinaria focalizzando gli interventi sulla straordinarietà cagionando, vista la situazione, un danno. La soluzione quindi è, ancora una volta, l'Europa. Un'Europa  non solo di fondi, ultimatum ed ispettori ma ispirata a criteri di efficacia, un'Europa dell'unità, e della collaborazione. Insomma, che sia capace di mettere insieme lo Stato Italiano, gli enti locali e gli eventuali privati intorno a un tavolo. La creazione di un marchio, sull'esempio francese, permetterebbe di non dover più sperare in un "principe" come David Packard, ma di poter riportare la "bella abbandonata" nel posto che merita: nel continente europeo. Magari prima che crolli tutto (secondo l'osservatorio dei beni culturali l'80% dell'area è a rischio deterioramento e distruzione) e con essa crolli anche una buona parte dell'identità del vecchio continente.