Polonia, rischio isolamento in Europa
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L’elezione del nazional-conservatore Lech Kaczynski a Presidente – insieme alla possibile alleanza del suo governo di minoranza con l’estrema destra – rischia di compromettere il futuro europeo della Polonia.
La Polonia è da secoli abituata al peggio: una specie di martirio cui si sottopone quasi automaticamente in vista delle eterne ricompense divine delle quali il suo popolo non dubita. Per questo motivo era quasi inevitabile che i polacchi sprofondassero in un buco nero politico ad appena un anno e mezzo dall’ingresso nell’Ue, la più importante chance per loro dopo mezzo secolo di socialismo reale. Ed ecco che domenica 23 ottobre il secondo turno delle elezioni presidenziali ha visto Lech Kaczyski del Partito Legge e Giustizia (PiS) – sindaco di Varsavia e leader di una coalizione tra centro-destra e destra populista, cattolica e xenofoba – prevalere su Donald Tusk del Partito Piattaforma Civica (Po) – candidato liberale e progressista. Risultato: 54.04% a 45.96%. E pensare che al primo turno Donald Tusk aveva conquistato più voti del rivale.
Il segreto del loro successo
Che cosa non ha funzionato al secondo turno? Nulla. Che cosa ha allora giocato a favore di Kaczyski? Il rastrellamento dei voti dell’estrema destra. Due gli artefici di questo successo: Andrzej Lepper, capo del Partito nazionalista Samoobrona (Autodifesa) e Padre Tadeusz Rydzyk, Direttore di Radio Maryja, una radio ultracattolica ascoltata da milioni di persone. Già, in Polonia Radio Maryja catalizza molti voti, e in particolare i voti dei cittadini delle campagne, del Sud-Est più arretrato: in genere anziani, di basso livello culturale, nazionalisti, antieuropeisti e, ovviamente, cattolici. Per Donald Tusk hanno invece votato gli abitanti delle città, delle regioni occidentali e baltiche più sviluppate e ricche: in genere giovani, di più alto livello culturale, riformisti, europeisti. Tale è l’analisi sociologica del voto per queste elezioni presidenziali.
Ritratto di Paese in un interno-esterno
L’analisi politica, invece, disegna il quadro della tragedia elettorale appena conclusasi. All’interno del Paese si rischia la paralisi: dopo le elezioni politiche di fine settembre, vinte dal PiS capitanato dal gemello di Kaczyski, Jarosaw, si va verso un governo di minoranza, oppure un’alleanza con l’estrema destra antieuropeista, oppure ancora una criticata alleanza con la sconfitta (di poco) Piattaforma Civica. Quest’ultima ipotesi è però improbabile, visto che comporterebbe un programma comune di governo che andrebbe contro i diktat di padre Rydzyk e di Radio Maryja, con il conseguente ritiro del suo sostegno mediatico e politico non incondizionato. Al contrario, se si decide di seguire la linea “mariana”, si dovrà anche sostenere la rinegoziazione di un Trattato di adesione all’Ue che resta osteggiato dall’euroscettico padre Rydzyk.
E in programma vi sono anche due referendum che minano l’integrazione europea: uno sulla ratifica del Trattato costituzionale europeo ed uno sull’introduzione dell’euro. In entrambi i casi il nuovo Presidente si batterà per il No. Se si aggiungono le proposte di introduzione della pena di morte e di una più stretta amicizia con Washington a discapito di Bruxelles, emerge tutto il dramma della futura politica estera di un Paese che rischia, almeno in Europa, l’isolamento. Ma in questo «aneddoto beffardo, chiamato Polonia, raccontato da Dio al mondo» – come ha definito la sua patria lo scrittore contemporaneo Andrzej Szczypiorski – vi è sempre un barlume di speranza. Il melanconico ottimismo slavo che pervade i polacchi si può sintetizzare nel ritornello di un motivo popolare: «Finché la Vistola [fiume di Varsavia] scorre, la Polonia vivrà!».
E noi incrociamo le dita perché la Vistola scorra presto nel senso giusto.