Polis Blog: Schengen, confinati senza confini?
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Veronica Monti“Il sogno di Schengen per un'Europa senza confini è una cosa che appartiene al passato?", si è chiesto il britannico The Guardian all'inizio dell'anno. Molti giovani europei pensano di no: vogliono continuare non solo a sognare, ma a vivere in una "Europa senza confini". Un'introduzione al dossier Polis Blog, presentato da Sophie Pornschlegel.
di Sophie Pornschlegel
Schengen è sotto pressione. Sono sempre di più i cittadini e i politici che mettono in discussione il futuro di un'Europa senza frontiere. Invece della pace e della sicurezza auspicate, filo spinato e barriere fanno ormai parte di questa (non così) nuova realtà europea. La Germania è tornata a controllare le sue frontiere con l'Austria, la Svezia quelle con la Danimarca e la Francia tutte quelle con i Paesi confinanti. E intanto, a Bruxelles, gli Stati membri dell'Unione Europea si scervellano inutilmente per trovare la soluzione ad una crisi che si estende ben oltre i confini europei. Ma soprattutto tra gli europei vediamo risorgere un sentimento che sembrava essere stato superato, e che inquina i loro rapporti: la paura e la diffidenza nei confronti dell'Altro. Oggi, trent'anni dopo la sua nascita, Schengen è ancora un traguardo lontano.
Una sfida audace ma sensata
Nel 1985 gli Stati europei ed i capi di Governo riuniti nella cittadina di Schengen, in Lussemburgo, annunciarono l'apertura delle proprie frontiere interne e l'inaugurazione di uno spazio comune. Con questa proclamazione, i conflitti secolari sulle carte geografiche d'Europa diventarono un ricordo del passato: «La rimozione delle frontiere all'interno del Continente europeo comporta il riconoscimento del fatto che i cittadini degli Stati membri appartengono ad uno stesso Paese, e condividono un'identità comune».
Schengen è stata una sfida audace all'interno di una realtà – in cui del resto ancora viviamo – permeata dal nazionalismo. Eppure è stato un passo sensato. Si tratta di un'idea basata sulla consapevolezza che l'Europa è riuscita a crescere solo in quanto comunità. Migrazione, commercio, terrorismo: da tempo tutte questi fenomeni avevano reso obsoleti e porosi i confini dei vecchi Stati nazionali.
Schengen scandaglia i confini nazionali
«Una nazione che non è in grado di controllare le proprie frontiere non è una nazione». Anche Ronald Reagan avrebbe perfettamente compreso che l'idea di Schengen comporta necessariamente una riconsiderazione di ciò che si trova all'interno e all'esterno, di cosa è nazionale e di cosa non lo è. La frontiera rappresenta il diritto e l'ordine, ma anche la protezione dell'identità nazionale e delle strutture statali. Schengen al contrario mette in discussione il principio dello Stato nazionale.
La domanda che Schengen pone, e a cui cerca contemporaneamente di dare una risposta, è questa: gli Stati nazionali sono ancora attuali di fronte alle nuove sfide politiche transnazionali e a volte persino globali? Il mondo del 21esimo secolo si confronta con nuove sfide, che necessitano di strumenti innovativi come Schengen. Restare ancorati alla linea del "si è sempre fatto così" non funziona più a questo stadio (sempre che abbia mai funzionato).
Un'utopia impossibile?
L'attuale situazione di Schengen mette dolorosamente in evidenza, d'altro canto, alcune divergenze interne al nostro Continente, che non possono essere semplicemente ignorate. Nonostante Schengen, nonostante il mercato unico, nonostante l'unione monetaria, sussistono delle barriere sociali, religiose ed economiche. Nella stessa Germania – uno dei Paesi tradizionalmente più favorevoli alla politica d'integrazione comunitaria – molti cittadini sono dell'idea che "l'identità comune" abbia e debba avere dei limiti definiti: pensiamo solo all'onnipresente crisi della Grecia degli ultimi anni. Ed è vero: i 26 Paesi che hanno sottoscritto l'accordo sono molto diversi tra loro.
Oltre a tutto ciò, la maturazione di una fiducia reciproca, che possa portare ad un'istituzione di questo tipo, non è soltanto una sfida. Alcuni sostengono che tutto questo sia semplicemente irrealizzabile. Quindi solamente Paesi "uguali" possono sopravvivere senza che dei confini si interpongano tra loro? Schengen dovrebbe corrispondere solo ad un "ammasso uniforme"?
Schengen come mentalità
Questa ed altre domande, che ultimamente ci poniamo circa le preoccupanti condizioni di Schengen, saranno l'oggetto di una serie di articoli pubblicati ogni martedì da cafébabel in collaborazione con Polis Blog. Nelle prossime sei settimane, i membri del think tank Polis180 esploreranno i diversi punti di vista sul universo Schengen, che siano di natura economica, culturale, giudiziaria o sociale. Il 20 febbraio 2016, a Berlino, Polis180 condurrà un'intera giornata di conferenze sul tema "Schengen, confinati senza confini?", durante la quale i giovani europei si potranno confrontare con l'idea di un'Europa senza frontiere.
Perché Schengen rappresenta anche una mentalità, quella della nostra gioventù europea. Tolleranza, apertura, comprensione reciproca: sono valori che entrano "in testa" vivendo in un mondo senza confini, gli unici strumenti a lungo termine in grado di evitare i conflitti. Certo, sembra un sogno ideale. Eppure i confini esistono solo per essere superati. (Continua.)
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Cafébabel in collaborazione con Polis Blog pubblica una serie di contributi del think tank Polis180, tutti incentrati sui diversi aspetti e interrogativi di Schengen e sull'idea di un'Europa senza confini. Natalie Welfens inaugura il dibattito con una "intervista" sul 30esimo compleanno di Schengen.
Translated from Polis Blog-Serie: Schengen - begrenzt grenzenlos?