Pierre Moscovici: "L’Europa deve passare all’attacco"
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Cristina ColellaQuando Pierre Moscovici entrò in Commissione Europea, si disse che cercava di recuperare. Ma a poco più di due anni dal suo insediamento, il Commissario Europeo per gli Affari Economici ed ex Ministro delle Finanze in Francia, dice di divertirsi molto a Bruxelles. Abbiamo parlato con un uomo che è riuscito a farsi strada tra la fine dell’austerity, gli scandali finanziari e il crescente populismo.
Cafébabel: In cosa la vita del Commissario è diversa da quella di un ministro a Parigi?
Pierre Moscovici: Iniziamo dalle somiglianze. L’oggetto del mio lavoro è spesso uguale a quello del mio precedente incarico come Ministro dell’Economia e delle Finanze in Francia. La differenza sta nel fatto che in alcuni ambiti la Commissione è più forte. La Commissione ha più potere sulle questioni relative all’Europa e alla finanza internazionale. In altre parole, un Commissario esercita più influenza di un ministro.
Cafébabel: E lei preferisce questo?
Pierre Moscovici: Certamente! Inizio ad avere un’età in cui si comincia a guardare al passato e agli obiettivi raggiunti. È un po' triste, ma è vero. Avrò 60 anni a breve, il che vuol dire che sono in politica da 25. Sin dal mio primo mandato come membro del Parlamento europeo sono consapevole che l’Europa è stata il filo conduttore della mia vita. Essere un Commissario europeo è una sorta di traguardo. Ora penso di essere nel cuore della macchina: essere un Commissario ti da maggiore libertà rispetto ad un ministro. Quindi mi sto divertendo. È il miglior incarico che io abbia mai avuto.
Cafébabel: Quando ha preso il suo posto in Commissione, la sua nomina non è avvenuta all’unanimità. Si è parlato persino di un Commissario che volesse mettersi in pari. Ora, dopo due anni di questo incarico, come valuta il suo operato?
Pierre Moscovici: In realtà non è stato un mettersi in pari. È che da Commissario ero ostaggio di complesse transazioni tra i due grandi gruppi in Parlamento: i conservatori e i socialdemocratici. Personalmente, sono stato ben accolto. Non sta a me giudicare, ma a due anni dalla mia nomina credo di essere tra i 4 o 5 Commissari con il portfolio più grande.
Cafébabel: Lei è motivato dall’orgoglio?
Pierre Moscovici: L’impostazione di bilancio è molto più favorevole alla crescita, e quindi meno austera. In termini di lotta all’evasione, la Commissione di Juncker è un campione indiscusso. Stamo facendo grandi passi in avanti, in particolare grazie alla fine del segreto bancario e agli scambi tra le Amministrazioni Finanziarie delle grandi imprese: è quello che chiamiamo "country-by-country reporting". Inoltre mi sto impegnando per assicurare che nel 2017 venga pubblicata una lista dei paradisi fiscali europei, cosa che non è mai stata fatta prima. Infine, per quanto riguarda la Grecia, la Commissione si è comportata nella giusta maniera. Siamo alla ricerca di soluzioni che permettano al paese di riprendersi. Quando penso a questo, mi ripeto che ciò che ho fatto non è stato completamente inutile.
Cafébabel: Pochi giorni dopo il suo insediamento è scoppiato lo scandalo Luxleaks che ha coinvolto il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. In quale ambiente ha lavorato?
Pierre Moscovici: Innanzitutto, non mi aspettavo di essere nominato Commissario per la Fiscalità e l'Unione Doganale. Pensavo piuttosto che sarei diventato Commissario dell’Economia e della Finanza, non che avrei ottenuto entrambe le cariche. Ho scoperto tutto nel corso di una conferenza stampa del presidente. Conoscendo Jean-Claude Juncker da più di 20 anni, penso che sia una persona che non lascia mai nulla al caso. Se mi ha scelto è perché voleva prevenzione e aggressività in questo settore. Nominare un socialdemocratico per le tasse non è come nominare un conservatore, per cui non è naturale contrastare certe pratiche delle multinazionali. Juncker è un politico molto bravo. Quando scoppia uno scandalo come quello di Luxleaks si hanno due possibilità. La prima è di negare tutto, nascondere la testa sotto la sabbia e aspettare che tutto passi. E questa sarebbe la fine. La reazione di Jean-Claude Juncker è stata quella di un buon judoka: se c’è un problema, anziché negarne l’esistenza, si passa all’attacco.
Cafébabel: Sia quel che sia, questo scandalo, come quello di Bahama Leaks che ha coinvolto il Commissario Neelie Kroes, ha dato ancora più problemi a un’istituzione già associata al potere delle lobby, alle negoziazioni, alle stanze del potere…
Pierre Moscovici: Penso che sia esattamente il contrario. Innanzitutto, nessuna lobby può entrare a Bruxelles, salvo che non sia stata inserita in un registro e tutti gli incontri sono pubblici. Lo stesso non vale per i ministri, i parlamentari europei e nazionali. Le informazioni sui miei incontri sono di dominio pubblico. Non sono influenzato da alcuna lobby. Non ci sono visitatori notturni, in Commissione europea. Nessuno entra da ingressi nascosti. Non siamo freddi e opachi. Qui c’è molta più trasparenza che in altre istituzioni. Sono sicuro di poter affermare che il Commissario e il Ministro delle Finanze (francese, ndr) sono come il giorno e la notte. Quando ero al Bercy (l’ufficio del Ministro delle Finanze in Francia, ndr), nessuno poteva sapere quando qualcuno sarebbe venuto a farmi visita. Nella politica francese ci sono visitatori notturni a tutti i livelli. E questo a Bruxelles non succede.
Cafébabel: Perché la gente trova ancora difficile crederle? Perché esiste ancora l’immagine dell’UE come un castello di carte?
Pierre Moscovici: È una bugia. Si sa che le falsità nei confronti dell’Europa sono la norma. Per quanto riguarda l’Europa, credo che la storia sia semplice: se vuoi annegare il tuo cane basta dire che ha la rabbia. La quantità di sporche assurdità e di bugie che si legge sull’Europa è significativa. E rispondere è come svuotare il mare con un cucchiaino. In realtà, c’è una tendenza a gettare discredito sull’Europa poiché è una risposta comune ai problemi collettivi. Molta gente preferirebbe ritornare al sistema degli stati nazionali, ma io direi loro di spazzare davanti alla propria porta! Sono stato un ministro per 7 anni, e un parlamentare per 20. Posso dire che quando si tratta di prevenire conflitti d’interesse, di trasparenza o dell’importanza delle regole, non c’è paragone: la Commissione Europea lavora meglio dei singoli stati.
Cafébabel: Lei è contro l’austerità, preferisce complimentarsi piuttosto che punire e nel suo ultimo libro - S'il est minuit en Europe (Se in Europa è mezzanotte, ndt)– critica la globalizzazione. Come vede i movimenti cittadini come Nuit Debout?
Pierre Moscovici: Mi interessano molto. Un Commissario deve anche mantenere contatti con la realtà. Nuit Debout, come anche altri movimenti cittadini, mi interessa perché rappresenta sia un sogno che una protesta. D’altra parte non ho una visione ingenua della globalizzazione come quella di alcuni antiglobalisti, per cui il fenomeno è interamente negativo. La globalizzazione ha portato il progresso scientifico, ha incrementato gli scambi, ha creato nuove opportunità. Ma non è nemmeno un fenomeno del tutto positivo. Molti uomini e molte donne si sentono abbandonati. Pensano che il loro futuro sarà più difficile di quello dei loro genitori. Ma queste persone non partecipano agli incontri di Nuit Debout. La loro forza più grande è nella capacità di sognare, e la loro debolezza risiede nella difficoltà di trovare spazio in politica.
Cafébabel: Più di 4 milioni di giovani europei sono disoccupati: il 18% ha meno di 25 anni. I giovani sono convinti di essere costretti a pagare per gli errori degli altri. Che risposta può dare loro l’Europa?
Pierre Moscovici: In alcuni paesi, le cifre sono persino più alte, come in Francia, in Grecia è al 50%, in Spagna quasi al 50%. Stiamo affrontando la minaccia e il pericolo di creare una generazione persa. Ma i giovani hanno un atteggiamento paradossale verso l’Europa. Naturalmente, vogliono aderire ai valori di una società aperta. I giovani intuiscono che gli scambi con l’estero sono molto importanti per trovare lavoro. Ed è per questo che progetti come l’Erasmus+ hanno così tanto successo. Le statistiche mostrano che l’83% delle persone che hanno vissuto esperienze Erasmus ha un’identità europea. Ma voglio che l’Erasmus vada oltre, che non si fermi agli scambi tra università. Dovremmo invece andare verso un Erasmus pro, aperto ai tirocinanti.
Inoltre, si diffonde l’idea per cui "l’Europa è bella ma non è per me". La sfida per i politici è quella di rendere l’Europa accessibile ai giovani, per far sì che credano di avere un futuro. E per farlo, abbiamo bisogno di apportare dei cambiamenti. Il budget europeo è fin troppo orientato al passato. Spero che nel futuro avremo un budget indirizzato maggiormente all’istruzione e al capitale umano. Bisogna investire sulla tecnologia digitale, sui trasporti, sull’energia e sulle università. Infine, abbiamo bisogno di politiche appositamente dedicate ai giovani. Ad esempio, il Corpo Europeo di Solidarietà, che permette a 100.000 giovani di lavorare per autorità locali, una NGO o enti benefici. Rappresenta nello stesso tempo un modo per aumentare le conoscenze culturali e per trovare un impiego.
Cafébabel: Se si parla in questo modo ai diciottenni, potrebbero non capire…
Pierre Moscovici: Ma se gli si dice che potranno ricavare benefici da un Erasmus+, non importa quali siano i loro obiettivi, loro capiranno. Un ultima cosa che direi a dei diciottenni è: non siate passivi. Siate partecipi, esprimetevi e soprattutto votate. Non siate remissivi. Penso che i giovani siano perfettamente in grado di capire questo linguaggio.
Cafébabel: L’Erasmus esiste da circa 30 anni e nessuno ha mai sentito parlare del Corpo Europeo di Solidarietà. Perché nessun giovane oggi è in grado di enunciare una sola misura concreta presa dall’Europa negli ultimi 10 anni?
Pierre Moscovici: Penso che l’Europa abbia problemi di comunicazione. L’Unione Europea viene vista come un gigante, ma in realtà è un’organizzazione piuttosto piccola. L’UE conta 33.000 impiegati statali. Quando ero Ministro delle Finanze in Francia, solo a Bercy, c’erano 163.000 impiegati statali. Per la gente l’UE è un mostro della burocrazia, ma in realtà è piccola. Aggiungerei che dispone di un budget limitato: l’1% del PIL europeo. E queste poche risorse non sono sufficienti per il futuro e la comunicazione. Non abbiamo i mezzi per comunicare su larga scala quello che facciamo. Sono i singoli stati a doverlo fare.
Cafébabel: Qual è stato il suo primo contatto con l’Europa?
Pierre Moscovici: Penso che fosse destino! È nella storia della mia vita ed è quello che i miei genitori mi hanno lasciato. Sono nato nel 1957, l’anno dei Trattati di Roma. Mio padre era di origine romena, e mia madre di origine polacca. Ho sempre pensato che la Francia fosse un ideale, un paese che le persone scelgono. Ho sempre avuto la stessa visione del mondo – del mondo europeo – dei miei genitori. Mio padre, ora deceduto, ha scritto le sue memorie, che sono quelle di un europeo che ha scelto la Francia. Il suo libro finisce con il suo arrivo in Francia nel 1947, come rifugiato: «Arriverò a Parigi, ho scelto Parigi, ho scelto la Francia». Si tratta di uno stile di scrittura che mi è molto familiare, ha fatto parte delle mie letture durante l’infanzia e l’adolescenza. Stefan Zweig, che era un grande sostenitore dell’Europa, mi ha segnato profondamente. Impegni politici di un certo tipo si uniscono nei suoi scritti: è di sinistra, ma sempre sinistra europea.
Cafébabel: Nel suo libro, lei non è molto indulgente con quella sinistra. L’accusa di aver abbandonato l’Europa con la sua pigrizia intellettuale. Cosa è successo?
Pierre Moscovici: Credo che prima di abbandonare l’Europa, la sinistra abbia perso molta gente. Ed è proprio per questo che ha perso l’Europa. Ed è un grave errore. Io sono un europeo, un parigino di origini ebraiche. Per 20 anni sono stato un parlamentare in un quartiere industriale di provincia in cui la gente votava contro l’Europa, e il razzismo era diffuso. Gli elettori mi hanno sempre seguito. E sapete perché? Perché non gli ho mai nascosto nulla e ho difeso le mie convinzioni. Non mi nascondo dietro le opinioni altrui.
Cafébabel: E tutto ciò cosa vuol dire?
Pierre Moscovici: Vuol dire che se la sinistra rinuncia alla propria identità e, in particolare, alla propria identità europea, perché in questo modo crede di poter vincere contro il Front National, si sbaglia. La gente preferirà sempre l’originale alla copia. Quando si tratta di Europa, dobbiamo passare all’offensiva.
Cafébabel: Attualmente la politica europea è monopolizzata dai partiti di estrema destra mentre i partiti tradizionali, che propongono argomenti in difesa dell’Europa, sembrano avere sempre meno peso. Cosa si può fare al riguardo?
Pierre Moscovici: Dobbiamo assumerci delle responsabilità nei confronti dell’Europa, e agire concretamente. Sono convivnto che se lotteremo per l’Europa riusciremo a vincere. Prendiamo ad esempio le elezioni presidenziali austriache. Fino a ieri tutti davano per certa la vittoria dell’estrema destra. I miei amici austriaci erano veramente pessimisti. Alla fine, il candidato pro-Europa ha vinto con un margine di 30.000 voti. E cosa ha fatto Alexander Van Der Bellen per riuscirci? Non ha ceduto e non si è allontanato dalle sue convinzioni.
Cafébabel: Ciò nonostante, si pensa che le elezioni in Austria abbiano dato all’Europa semplicemente una tregua…
Pierre Moscovici: Non la penso in questo modo. Credo che gli europei debbano passare all’attacco
Cafébabel: Ma non è questo il caso. L’Europa è assente dal dibattito politico
Pierre Moscovici: Il messaggio che cerco di comunicare nel mio libro è che se gli europei cedono, se la sinistra rinuncia alla sua identità europea, è la fine. Si può vincere soltanto in un modo, ovvero riprendendo il testimone. Non dico che la battaglia è già vinta ma una battaglia che non si combatte è già persa in partenza. È tardi ma non troppo. Ai miei amici di sinistra direi di risollevarsi, andare avanti e tenere alta la loro fiaccola. Il mio candidato alle primarie, così come alle elezioni presidenziali, sarà un candidato di sinistra. Avrà un nome questo candidato? Verdremo, lo spero.
Cafébabel: Nel 2015, lei ha dichiarato che «se in 4 anni non ci sarà alcun miglioramento sul fronte economico e sociale, significa che l’Europa è stata respinta». Ora siamo a due anni dalla scadenza. È preoccupato?
Pierre Moscovici: Penso che la minaccia sia significativa, che la battaglia non è stata vinta e che il populismo sta vivendo un momento difficile. Questo è un momento in cui c’è resistenza. Abbiamo parlato dell’Austria ma potremmo parlare anche della Francia, della Germania… non dobbiamo soltanto combattere il populismo qui e ora ma dobbiamo spingerlo a battere in ritirata. E per farlo dobbiamo passare all’offensiva. Le condizioni economiche lo permettono? Si, l’Europa sta riemergendo dalla crisi. È abbastanza? No. Dobbiamo agire più rapidamente e dare nuove prospettive, soprattutto ai giovani. Per questo è importante che l’Europa non si fermi. Sta vivendo molte difficoltà, è attaccata da Trump e messa alla prova dalla Brexit. La Commissione Europea continua ad andare avanti e a dare nuove proposte. Siamo a metà strada e penso che i risultati arriveranno. Dobbiamo continuare. Fino alla fine.
Translated from Pierre Moscovici : « Je prends mon pied à Bruxelles »