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Perché i giovani polacchi scendono in miniera

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Translation by:

Veronica Monti

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Inquina e in più non è redditizio. L'Europa intera punta il dito contro il carbone polacco, che continua a scaldare e illuminare il Paese. Nonostante le critiche e un avvenire incerto, ci sono giovani polacchi che non vogliono credere ai discorsi di Bruxelles e continuano a presentarsi ai cancelli delle miniere.

Michal si siede in un anfiteatro surriscaldato dell'AGH, un campus vicinissimo al centro di Cracovia. A fine anno otterrà il suo diploma di ingegnere e, come suo padre prima di lui, andrà a cercare lavoro nelle miniere. A 24 anni, questo giovane polacco intende continuare la tradizionale attività estrattiva del sud della Polonia passando per i banchi della Scuola mineraria e di metallurgia, una delle migliori del Paese. Ma a differenza dei suoi genitori, il timido Michal non è sicuro di trovare lavoro o di riuscire a tenerselo finché il carbone non avrà consumato il suo corpo. Perché il carbone non frutta molto, alcune miniere rischiano di chiudere e l'Europa fa pressioni su Varsavia affinché smetta di investire in una fonte energetica così inquinante.

Certe volte quando si accendono le caldaie, la cima del castello di Wawel, l'ultima dimora dei re di Polonia, non riesce nemmeno a bucare la coltre di nebbia. A Cracovia, queste nebbie a bassa quota non sono soltanto il prodotto del rigido inverno polacco. Con il suo sottile odore di zolfo, il carbone è trasportato nelle vie della città e, col tempo, impregna i muri di nero. Un tempo città dei sovrani polacchi, Cracovia troneggia anche sul podio europeo dell'inquinamento da polveri sottili. Il carbone è nel cuore e nei polmoni della Piccola Polonia (la regione di Cracovia, Małopolska in polacco, n.d.r.).

Il carbone nel sangue

Sono sempre più numerosi i ciclisti e gli addetti al volantinaggio che portano una mascherina bianca sul naso, sperando di limitare i danni di quest'aria sporca e fredda, che a volte brucia i polmoni. In Polonia ogni anno muoiono prematuramente 3.500 persone a causa dell'inquinamento da carbone, secondo l'ONG Health. Lo scorso ottobre la municipalità di Cracovia ha inflitto un duro colpo a questo settore: agli abitanti della città è stato vietato di scaldare le proprie case con stufe a carbone. L'anno scorso quattro delle 14 miniere appartenenti alla principale industria mineraria sono state sul punto di chiudere. L'opposizione dei sindacati è riuscita a salvarle nonostante l'offensiva dell'allora Governo di centrodestra, in linea con le direttive dell'Unione Europea. Un'azione che sicuramente gli è costata più di un voto alle ultime elezioni presidenziali, che hanno visto il ritorno al potere di Diritto e giustizia (PiS), un partito conservatore, euroscettico e pro-carbone. Dalla fine del 2015, quindi, si è riaperto uno spiraglio per questo settore in crisi. Niente ferma i giovani, che continuano a presentarsi ai cancelli delle miniere, con la speranza di portarsi a casa un contratto dai 2 ai 3 mila zloti al mese (tra i 450 e i 680 euro circa, n.d.r.). 

Non basta vietare il carbone nelle stufe perché la gente non lo utilizzi più nelle proprie case. Attraversando le città e le campagne in pianura si vedono spesse colonne di fumo che escono dai camini. E nella Piccola Polonia sono poche le famiglie che non hanno una "faccia nera" in mezzo a loro. «Quando ho finito il liceo non sapevo bene cosa fare,» racconta Michal, lo studente di ingegneria mineraria. «L'industria del carbone mi è sembrata la scelta più ovvia, visto che mio padre era un minatore». Quindi è sotto terra che farà carriera. Come per incoraggiarsi, dice che la quasi totalità dei futuri ingegneri è cresciuta in una famiglia di minatori.

Niente e nessuno scappa dalla miniera

Eppure, qui, la tradizione di famiglia raramente è accompagnata dall'approvazione paterna. Il padre di Michal non è stato molto contento quando il figlio ha fatto i suoi primi passi nei sotterranei di Janina, la miniera di Libiaz, ad una cinquantina di chilometri da Cracovia. Paweł lavora in questo posto da due anni. Anche questo 28enne, figlio di minatore, spera in un avvenire diverso per il proprio figlio. «Detto questo, nemmeno mio padre mi voleva sottoterra, eppure eccomi qua,» dice con un sorriso rassegnato.

A Libiaz è impossibile far finta che la miniera non esista. L'odore acre aggredisce naso e gola. C'è un movimento ininterrotto di mezzi in direzione della piccola collina su cui si trova la grande Janina. Anche la squadra di calcio locale ha preso il suo nome dalla miniera: il Górniczy Klub Sportowy Janina. A poche centinaia di metri dai pozzi di aerazione e dai camini dell'impianto, i giocatori calciano la palla su un manto erboso pagato coi soldi della Tauron (grande azienda energetica polacca, n.d.r.). I giovani che vogliono rimanere a Libiaz e imparare un mestiere non hanno che una possibilità: la formazione professionale presso la Tauron. Ogni anno 20 apprendisti imparano a forza di colpi di martello come consolidare le gallerie. L'impresa proprietaria della miniera nutre, riscalda, diverte e permette loro di vivere. E la Municipalità intasca circa 3 milioni di zloti all'anno (circa 700 mila euron.d.r.) grazie alle tasse pagate dall'azienda.

Le promesse della Tauron

Insieme ai soldi, queste speranze che sanno di propaganda provengono anche dalla stessa Tauron. Il Sindaco, i sindacalisti e i minatori sono certi che Janina e il suo immenso giacimento di carbone abbiano ancora molti anni davanti a sé. La stessa frase si ripete, con le stesse identiche parole, su ogni bocca: «Abbiamo la fortuna di far parte di una grande compagnia energetica». Gli investimenti della Tauron nel settore del gas compenseranno il basso prezzo del carbone e manterranno in vita la miniera.

Ma cosa può fare davvero la Tauron? Il Governo potrà continuare ad investire per sempre in questo settore? Sì, certo, tutti vogliono crederci. Ma nonostante le loro certezze proclamate, i dubbi restano. Per continuare ad essere economicamente sostenibile, negli ultimi anni la manodopera nelle miniere è stata ridotta del 30%. La città inizia ad investire in altre aziende. Il sindacalista Krzysztof Kozik, militante tra le fila dei conservatori oggi al potere, è scettico riguardo le manovre politiche del suo partito per aiutare l'industria del carbone: «Il Governo polacco non può investire se l'Unione europea ha stabilito delle direttive,» constata amaramente. Ciononostante vuole credere che gli uomini di Diritto e giustizia non avranno paura di ribellarsi a Bruxelles. Dopo i suoi studi a Cracovia, il giovanissimo Michal è meno ottimista. Ne è certo: un giorno dovrà andare all'estero a lavorare. Ma mentre aspetta, porta avanti la tradizione di famiglia. 

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Questo articolo fa parte della serie di reportage EUtoo 2015, un progetto che cerca di raccontare la disillusione dei giovani europei, finanziato dalla Commissione europea.

Translated from Pourquoi les jeunes polonais vont-ils au charbon ?