Perché danesi e svedesi se la passano meglio
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Lorenzo MorselliIn nessun’altro posto come in Scandinavia le donne possono conciliare così bene lavoro e famiglia.
La morte del Ministro degli Esteri Anna Lindh nella tarda estate del 2003, che ha dato agli svedesi il loro 11 settembre, non ha provocato solo discussioni sull’apertura delle società nordiche e il terrorismo domestico, ma ha anche dimostrato al resto dell’Europa, se mai ce ne fosse bisogno, l’esempio delle donne scandinave. Anna, come tutti la chiamavano, madre di due figli, David (13 anni) e Filip (8 anni), non solo era riuscita a diventare una politica di primo piano, ma sapeva pure collegare il suo mestiere con le sue obbligazioni materne: una rarità negli altri paesi europei.
I numeri sono noti: la proporzione di deputati di sesso femminile nel Parlamento svedese ruota attorno al 44%, in Danimarca attorno al 38, quando la media per i paesi dell’UE è del 23% (con Francia ed Italia a rispettivamente a 10 e 11 %). La metà dei membri del governo in Svezia sono donne, il doppio della media UE.
Tasso di occupazione e fertilità
Anche al di fuori del mondo politico, le cifre parlano per sé: nel 2001, il 70,4% delle donne svedesi fra i 15 e i 64 anni lavorava – appena meno degli uomini (73%). In Danimarca, si saliva addirittura al 72%. In media, l’occupazione femminile nell’Unione Europea era allora del 54,9% (contro il 73% per gli uomini), con tassi ancora pessimi in Spagna (41,9%), Italia (41,1%) e Grecia (40,9%).
Malgrado il fatto che in altri paesi la situazione, sia in termini di formazione che di occupazione, sia migliorata, in questi paesi, il tasso di natalità è in declino. Quando in Germania, nel 2002, le nascite ammontavano a 8,8 per 1000 abitanti, in Danimarca lo stesso indice era del 11,9 per 1000, ed in Svezia del 10,6. Secondo uno studio dell’Istituto dell’Economia Tedesca di Cologna, pubblicato nell’agosto 2003, le settantenni di oggi hanno dato vita in media a 2,2 bambini. All’epoca, neanche la metà aveva lavorato fra i 30 e i 40 anni. Trent’anni dopo, quasi i tre quarti hanno un lavoro, a costo però di far precipitare le nascite a una media dell’1,5 per donna.
Scandinavia, paradiso dei genitori ?
Quali sono i motivi che rendono il mondo del lavoro scandinavo più favorevole a bambini, famiglie e donne? Inchieste dell’OCSE dimostrano Stato e imprese fanno il possibile per impedire che il lavoro diventi un impedimento alla procreazione. In questo, è determinante l’esistenza di un sistema di custodia dei bambini bene organizzato. Lo stato svedese mette a disposizione delle famiglie un sistema di custodia di giorno per bambini di 1-12 anni nell’ambito delle cosiddette “prescuole” (förskolo), di centri specializzati detti familjedaghem (“case di giorno per le famiglie”) e delle scuole ordinarie. Circa il 78% dei bambini di 2 anni, e l’86% di quelli di 4 anni, sono tenuti da educatori pagati dallo Stato, sia in istituzioni che a domicilio.
A rendere la decisione di avere figli più facile sono anche i generosi sistemi di congedo maternità. In Danimarca il congedo maternità pagato è stato allungato da 30 a 52 settimane. La legislazione svedese offre 480 giorni di congedo, dei quali 60 sono dedicati al padre. Per 390 di questi giorni, si riceve l’80% del salario.
Il peso delle mentalità
Non sono però le sole iniziative statali e disposizioni legislative a rendere possibile alle donne scandinave la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare. Dipende anche tanto dalla buona volontà dei datori di lavoro, dei colleghi, e dei padri. E questa disposizione della società verso i bambini non può certo essere fissata da una legge. I bambini, nelle società scandinave, hanno un valore e un posto diverso rispetto a altri paesi europei. E questo non si manifesta solo tramite i giochi di costruzione danesi, Pippi Calzelunghe, o il “paradiso del gioco” da IKEA. Nelle imprese danesi o svedesi, è ammesso come ovvio che gli impiegati hanno figli, dei quali si devono occupare. Ove possibile, in caso di malattia dei bambini o sospensione della scuola, i genitori possono rimanere a casa e lavorare da lì. Quando poi gran parte dei collaboratori hanno bambini anche loro, si sviluppa una certa solidarietà fra colleghi. Altra cosa legata alle mentalità, il fatto che venga accettato o no che gli uomini si prendano il loro congedo parentale senza passare per una pappa molle, o temere di rischiarsi la carriera. In Svezia, inchieste hanno mostrato che il 43% dei giorni presi per malattia dei bambini vengono presi dai padri. E l’80 % degli svedesi di sesso maschile prendono il loro congedo di paternità immediatamente dopo la nascita di un figlio. Bisogna vedere se, a parità di legislazione, si verificherebbe la stessa cosa in paesi di mentalità mediterranea.
Ciononostante, sta diventando imperativo per le società europee sviluppare un sistema di tempo parziale parentale, al posto dell’attuale sistema di prepensionamento e tempo parziale per lavoratori più anziani. Questo permetterebbe a giovani coppie di lavorare a tempo parziale per più tempo, senza ottenere un compenso salariale ma rimanendo nella vita attiva. Anche se vi sarebbero costi a breve termine, questo modello avrebbe nel lungo termine un doppio effetto benefico su mercato del lavoro e evoluzione demografica: le donne entrerebbero nel mercato del lavoro, o potrebbero continuare la loro attività, e questo aumenterebbe il tasso di occupazione. Allo stesso tempo, garantirebbe il rinnovo della popolazione e un azione efficace contro l’invecchiamento della società, preservando anche una certa equità sociale.
Translated from Karriere und Kinder – warum es Däninnen und Schwedinnen besser haben