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Per uno statuto di associazione europea

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La Costituzione di Giscard ha dimenticato il cittadino e il suo diritto ad associarsi - oggi, più che mai - senza frontiere.

La Convenzione ha svolto un lavoro titanico e necessario di razionalizzazione del potere europeo. Non ha dimenticato niente e nessuno nei suoi dibattiti: dalle regioni ai sindacati, dalla tetra burocrazia di Bruxelles ai parlamenti nazionali, da Solana-Patten alle radici giudaico-cristiane. C’è solo un escluso dal dibattito e dagli esiti della Convenzione europeo: l’individuo, la persona, il cittadino. Tutti sanno che in una democrazia ogni individuo, in quanto persona, è titolare di diritti indispensabili al buon funzionamento del processo democratico ed alla stessa coerenza del potere decisionale. E tra tutti i diritti, il più indispensabile al buon funzionamento di un sistema democratico (lo sanno tutti dal secolo XVIII) è la libertà di associazione, di organizzarsi perseguendo qualunque scopo che non sia lucrativo.

I pionieri guidati da Fontaine

Ma la Convenzione che ha dimenticato l’individuo, che ha ignorato l’importanza di uno spazio di informazione europeo veramente libero, che ha sepolto la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica europea dietro le più astruse alchimie costituzionali, come poteva occuparsi del riconoscimento della libertà di associazione europea e dello statuto di associazione europea?

Gli unici, in realtà ad essersene occupati sono stati uno sparuto gruppo di eurodeputati di diversi gruppi politici guidati da Nicole Fontaine negli anni ’80 ed alcuni funzionari della Commissione, distolti dalle vitali questioni della concorrenza e del mercato interno da uno dei rari voti vincolanti del Parlamento europeo, nei primi anni ’90. Da dieci anni a questa parte si attende una decisione del Consiglio, impedita dai soliti veti incrociati e dal generale disinteresse per un provvedimento che si occupa di uno sconosciuto, del cittadino europeo e dei suoi diritti. Carneade, chi era costui?!

Eppure oggi la necessità di uno statuto di associazione europea è evidente e non si capisce come poter bloccare un provvedimento che da più parti viene considerato auspicabile.

Auspicabile innanzitutto per gli individui, i cittadini europei nel dispiegarsi della loro personalità, delle loro attività ludiche o politiche, nel loro desiderio di essere “europei” oltre le frontiere nazionali, oltre le obsolete strutture associative esistenti. E’ nei sistemi giuridici nazionali che lo Stato di diritto, la democrazia, le libertà individuali sono nate e si sono sviluppate negli ultimi brevissimi secoli di storia umana, ma gli scatoloni nazionali si trasformano, giorno dopo giorno, in gusci vuoti di ogni sostanza, incapaci di permettere l’esercizio della libertà di associazione, della libertà individuale di associarsi o non associarsi.

Da un punto di vista istituzionale, poi, la realizzazione di uno statuto europeo per le associazioni permetterebbe un esercizio più adeguato e completo degli altri diritti “associativi”, come quello di creare veri partiti politici e sindacati europei. Nell’Europa dei concetti collettivi e delle magnifiche sorti e progressive non c’è da stupirsi se il Parlamento europeo (o meglio, questo Parlamento europeo) sia riuscito ad occuparsi del caso particolare dello statuto dei partiti politici europei dimenticando il caso generale delle associazioni e del diritto alla libertà di associazione per ogni persona.

Segreti di Pulcinella

Auspicabile in secondo luogo, per le stesse associazioni, le organizzazioni non governative e le entità di vario tipo senza scopo di lucro, fondamentali in una società libera. Tutti questi soggetti così variegati hanno il diritto, proclamato dalla stessa Carta di Nizza, di agire al livello europeo e, quindi, di essere riconosciute ben al di là delle frontiere di Stato. Non esiste oggi una sola attività associativa che non rivesta una dimensione transnazionale e non c’è una sola associazione (con l’eccezione che conferma la regola della Croce Rossa Internazionale) che goda di uno status riconosciuto a livello internazionale. Ed è un segreto di Pulcinella il fatto che associazioni riconosciute nel solo paese di origine soffrono degli ostacoli frapposti alla loro partecipazione al grande gioco della vita sociale ed economica transnazionale.

Auspicabile anche per l’Europa istituzionale che non potrebbe che trarre benefici dallo statuto di associazione europea. La Commissione e le altre istituzioni comunitarie finanziano con una parte importante del loro bilancio progetti gestiti da organizzazioni senza scopo di lucro (in particolare nella cooperazione allo sviluppo, gli aiuti umanitari, l’educazione). Anche da questo punto di vista, lo statuto di associazione europea garantirebbe una maggiore trasparenza nella gestione dei denari del contribuente, oltre alla garanzia di un raggio di azione realmente “europeo”. Un sistema associativo europeo integrato ed organizzato in maniera giuridicamente trasparente non può che aumentare, in ultima analisi, la leggibilità del fenomeno associativo permettendo una governance agevole di quello che è il “mercato unico delle idee, della cultura e del futuro dell’Europa”.

Nessuno può negare la grande portata politica dello statuto di associazione europea, che potrebbe ridare un senso alla parola Europa. C’è qualcuno che tenta di organizzare il potere europeo dimenticando la persona. Ma c’è anche chi vuol ripartire dalla persona e dall’individuo sapendo che il cittadino europeo non è una monade, ma si organizza e si associa. Sarebbe giusto, almeno, riconoscerlo.