Pasolini, pensatore europeo
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Grazie alla collaborazione tra 4 dei più importanti poli culturali d'Europa (Barcellona, Parigi, Roma, Berlino) arriva in Italia la mostra dedicata al rapporto amore-odio tra la Capitale e Pier Paolo Pasolini capace di far riflettere sull'universalità del pensiero dell'intellettuale friulano.
Approda finalmente a Roma, dopo l'ottimo riscontro ottenuto a Barcellona e Parigi, la mostra dedicata al rapporto amore-odio alternatosi nel corso di tre decenni, dal 1950 al 1975, tra Pierpaolo Pasolini e la città di Capitolina. Per tre mesi, dal 15 aprile al 20 luglio a Palazzo delle Esposizioni, il pubblico italiano avrà quindi l'opportunità di ripercorrere, grazie ad una scrupolosa ricostruzione cronologica, l'attività artistica e intellettuale di Pasolini dal giorno del suo arrivo a Roma, il 28 gennaio 1950, fino a quello della sua tragica scomparsa, datata 2 novembre 1975.
Oltre al binomio Pasolini – Roma è però importante soffermarsi sulla risonanza e il successo che la mostra - curata da Jordi Ballò, Alain Bergala e il nostro Gianni Borgna (scomparso lo scorso febbraio) - è riuscita ad ottenere nel resto d'Europa. Successo che, come gli stessi Ballò e Bergala hanno tenuto ad evidenziare nel corso dell'incontro "Pasolini, pensatore europeo", ha il merito di “riflettere la dimensione europea non solo del progetto, ma anche del pensiero pasoliniano, non circoscrivibile esclusivamente all'Italia, ma adattabile e applicabile a gran parte dei paesi europei del dopoguerra”.
IL CONTROVERSO RAPPORTO CON GLI INTELLETTUALI FRANCESI
Con l'inizio degli anni sessanta Parigi divenne l'epicentro culturale più attivo e prolifico d'Europa. Pasolini non poté che rimanerne affascinato. La nascita e l'affermazione della Nouvelle Vogue diede quindi modo allo scrittore friulano di potersi avvicinare alla realtà artistica e intellettuale d'Oltralpe. Tuttavia l'ammirazione di Pasolini per l'estetica del nuovo cinema francese e in particolar modo per i lavori di Godard non fu mai del tutto corrisposta. Come l'ex direttore dei Cahiers du Cinema, Alain Bergala, sottolinea “i semiologi francesi in quei giorni consideravano Pasolini un semplice amatore naif, non riconoscendone mai del tutto la sua dimensione artistica”. Difatti molti degli intellettuali francesi dell'epoca, tra cui Barthes e Metz, quando sentivano parlare di Pasolini spesso storcevano il naso. Quasi tutti, tranne due: Jean-Paul Sartre e Michel Foucault. Il primo, nel corso degli anni sessanta e in più di un'occasione, ebbe modo di prendere le parti dell'intellettuale italiano difendendolo dalle aspre critiche ora della sinistra marxista francese – “cercò più volte di ricomporre le fratture venutesi a creare tra lui [Pasolini] e l'intellighenzia intellettuale d'Oltralpe” - ora dall'opinione spesso pregiudizievole dei critici del Cahiers du Cinema, fermi nella convinzione che i canoni estetici di Pasolini non potessero rientrare nei criteri del nuovo cinema. Il secondo, invece, arrivò a condividerne i tratti del pensiero scomodo e anti-potere e ad elogiarne alcune opere cinematografiche, tra le quali Comizi d'Amore, che ebbe modo definire, come ricorda Bergala, come “un film assolutamente straordinario”.
A quasi mezzo secolo di distanza, tuttavia, il pensiero e il patrimonio artistico di Pasolini sono stati rivalutati e oggi sono oggetto di studio, di dibattito e discussione nelle università e nei luoghi in cui la cultura francesi.
PASOLINI E LA SPAGNA. CONTRO L'OMOLOGAZIONE LINGUISTICA
Se la "settima arte", come accennavamo in precedenza, stava alla base del controverso rapporto tra Pasolini e la Francia, ciò che legava l'intellettuale alla penisola iberica era in prima battuta il tema dell'omologazione linguistica. Sia Italia che Spagna ebbero a che fare con due regimi che di fatto avevano cercato, facendo forza sui i loro principi nazionalisti, di scoraggiare o proibire l'uso delle lingue che non fossero quelle ufficialmente riconosciute (in Spagna vennero inibiti il catalano, il basco, il galiziano). Pasolini, che faceva dell'eterogeneità culturale uno dei fondamenti del proprio pensiero legato "all'acculturazione", non poté che condividere con gli intellettuali spagnoli la lotta contro l'omogeneità linguistica, che Franco cercava loro di imporre. Al contrario di quello che venne a crearsi con gli intellettuali francesi quindi, il rapporto con i pensatori spagnoli fu molto più trasparente e basato sulla stima reciproca, il che portò Pasolini a visitare la Spagna in più di un'occasione sposando le cause degli intellettuali iberici.
Come ricorda Jordi Ballò “in quei tempi il concetto pasoliniano secondo il quale solo a poeti ed artisti poteva essere affidato il compito di tenere in vita le differenze linguistiche” trovava terreno fertile tra gli intellettuali della Spagna franchista. Anche per questo, ma non solo, osserva Ballò, va quindi riconosciuto a Pasolini il merito di essere riuscito a “costruire una coscienza europea diffusa, che ha avuto la forza di opporsi, se non altro moralmente, ai poteri forti. La sua morte", conclude, "non può che essere considerata una cicatrice germinale da cui tutt'oggi possono continuare a prendere vita gli spiriti di attivismo, partecipazione e criticità con cui poter smascherare i poteri forti”.