Partire o restare? Lo strano caso delle università italiane
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Dopo l’Erasmus a Parigi, la laurea triennale a Roma e uno stage a Bruxelles sono tornata a casa per un mini viaggio nel Nord Italia. Obiettivo: curiosare tra le vite di studenti - amici e non - rimasti in Italia, per vedere cosa c’è qui, cosa cambia e cosa resta immobile, per indagare un po’ le motivazioni di chi, tra un fuggi fuggi generale all’estero, ha deciso di rimanere nel Bel Paese.
In due anni di peregrinazioni mi sono scontrata con realtà così diverse le une dalle altre da farmi credere di sapere quale fosse l’università migliore, la più costosa, la più scarsa, per poi ribaltare ogni mia molle credenza all’incontro con uno studente dell’università concorrente. Ho messo il naso da turista nelle imponenti Columbia, NYU, Harvard e Cornell University, nell’affascinante Sorbonne e nella sobria ULB di Bruxelles, per poi tornare in Italia e fare capolino nella staticità della Sapienza, un po’ per nostalgia un po’ perché in quella staticità ci ho passato quattro anni. E in questo anno di pausa mi sono chiesta: come se la passano i miei amici che hanno scelto di restare in Italia?
Career day
Al Festival del Giornalismo di Perugia conosco alcuni studenti della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi, dove si vive un po’ come in una bolla, nel polo di Comunicazione, non a Milano ma a Sesto San Giovanni. C’erano quasi tutti i 30 eletti, e i più con un bilancio positivo di questo primo anno, nonostante le attrezzature tecniche insufficienti, questione comune a tante università italiane pubbliche. Da Roma salgo su un Freccia Rossa, direzione Milano, per curiosare nella nuova vita della mia amica romana Gaia, laureata in Economia a Roma Tre e ora impegnatissima nel suo Master in marketing management alla Bocconi. Si divide tra una quantità inimmaginabile di lavori di gruppo e i suoi compagni sono il revival di una classe di liceo ristretta. Si vive in simbiosi per indagare nuove strategie di vendita dal nuovo spazzolino da denti allo shampoo più competitivo.
Arrivo a Milano proprio nei giorni di Bocconi and Jobs: dalle pareti di vetro sbircio gli studenti vestiti di tutto punto per la consegna dei curricula ai rappresentanti di questa e quell’altra azienda. I bar della zona sono intasati: tra un panino e un menu sushi si continua con i lavori di gruppo, senza soluzione di continuità tra il week-end e il resto della settimana. Meno teoria più pratica alla Bocconi. Mi offro per un’intervista sulle mie abitudini alimentari, tassello fondamentale per andare a caccia dello yogurt più innovativo prossimamente negli scaffali dei supermercati.
Dalla Bocconi ai portici bolognesi
Il Freccia Bianca mi porta a Bologna: lì c’è Silvia che, dopo la Sapienza, da quasi un anno ha iniziato una magistrale in Lettere Classiche. Sembra che in via Zamboni, dove seguono una dietro l’altra tante delle facoltà dell’Alma Mater, un mercoledì mattina di inizio maggio ci sia una festa. Entro nella Facoltà di Lettere, in una biblioteca caldissima dove il wi-fi funziona che è una meraviglia e inizio a scrivere sul mio blog accanto a due ragazze che leggono in greco. Il sottofondo dei Black eyes peas mi fa ridere, ma capisco il disappunto dei classicisti alle 10 di mattina. “È un evento organizzato da CL", mi dicono. Uno dei coinquilini di Silvia mi informa della Contro festa CL, un po’ di strade più in là. I portici di Palazzo Malvezzi accolgono una Giurisprudenza imponente. Non saprei quale più affascinante, se quel cortile o quello dell’Accademia di Brera a Milano. Lo stacco Milano-Bologna si fa sentire: Anna, l’altra coinquilina di Silvia, vuole fare l’attrice, è di Napoli ed è iscritta al Dams, dove hanno tolto qualsiasi tipo di laboratorio teatrale. “Chi studia cinema almeno ha la possibilità di mettere in pratica qualche progetto poi proiettato dall’Università. Noi non abbiamo più niente di pratico”. Da anni attiva in compagnie teatrali, a Napoli come in quella del Teatro del Sole di Bologna, Anna aspetta la laurea per partire, forse in Svizzera.
Intanto Silvia studia tedesco in vista di un Erasmus Placement in Germania. Alla Bocconi ci si arrovella per un anno fuori: l’Asia va per la maggiore, Shangai va fortissimo. Nell’attesa si resta in Italia. Silvia mi racconta di corsi idilliaci con pochi studenti. La differenza con la Sapienza si sente: si invoglia alla ricerca, alla partecipazione attiva.
A qualcuno piace calmo
"Respiro l’atmosfera di una calma universitaria a me sconosciuta. Tutti si conoscono e l’accento del mio amico romano suona quasi esotico qui".
Lorenzo è finito a Padova: interessato alla Linguistica indoeuropea ha poi scelto Linguistica generale. Padova il sabato è silenziosissima: la città è piena di studenti pendolari ma spesso il fine settimana si svuota. Piste ciclabili interminabili, ma di ciclisti, forse perché è sabato, ne vedo pochi. Palazzo Bo, sede storica dell’Università di Padova, è maestoso e bellissimo, anche se parzialmente incartato da impalcature. Per una beffa del destino Lorenzo mi fa notare che la facoltà di Lettere si trova in uno dei pochi palazzi di architettura fascista della città, reminescenza della nostra città universitaria di Piazzale Aldo Moro, con i suoi palazzoni quadrati e di marmo. Torno a Bologna con un treno notte affollatissimo. Sbarco in Stazione Centrale alle due e mezza, in un vortice di studenti in modalità fine settimana. Il giorno dopo, in venti minuti di treno, sono a Modena che mi sembra piccolissima. In un attimo dalla stazione sono nella Facoltà di Giurisprudenza dove studia un amico. C’è talmente tanto silenzio da sembrare un afoso primo pomeriggio d’agosto romano. Invece è periodo d’esami: respiro l’atmosfera di una calma universitaria a me sconosciuta. Tutti si conoscono e l’accento del mio amico romano suona quasi esotico qui.
A Natale ero a Venezia a trovare due amici: uno che da Genova studia Economia, l’altro da Roma che studia Conservazione dei Beni Culturali. In quel periodo ero a Bruxelles, presissima dalle pratiche di candidatura all’Ecole de journalisme di Sciences Po a Parigi. Sentirmi dire da loro, compagni di un Erasmus parigino, che avevano scelto Venezia per restare in Italia mi aveva un po’ scosso. E io? Io, alla fine, a un anno scarso dalla mia partenza lontano da Mamma Roma, ho capito che in Italia voglio restare.
Foto: copertina (cc) Raphaël Chekroun/flickr; nel testo © Benedetta Michelangeli