Palermo può mangiare con la cultura
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Dopo l'annuncio di Palermo Capitale della Cultura 2018, c'è una sola certezza con la cultura si mangia e questa può essere l'economia del futuro. [Opinione]
Un osservatore straniero, dopo un reportage, ha descritto Palermo come l’anello mancante tra Oriente e Occidente. Quando, in un pomeriggio anonimo di fine gennaio, una commissione lontana, l’ha nominata capitale italiana della cultura 2018, questa definizione calza a pennello. Come si potrebbe descrivere altrimenti la città delle stratificazioni storiche e culturali, con una grande tradizione di accoglienza? È chiaro che ha vinto la Palermo dei fenici dei greci, degli arabi, dei bizantini, svevi, normanni, aragonesi e tutti quelli che sono venuti qui e hanno lasciato qualcosa in un posto che non avevano solo conquistato, ma da cui erano stati conquistati. Meriti acquisiti? No, perchè questa è anche la città che accoglierà la biennale itinerante di arte contemporanea Manifesta 2018, la città del Festival delle Letterature Migranti, di Una Marina dei Libri, delle Vie dei Tesori, del Pride, del Teatro Massimo che strapazza il Renzo Barbera. E dove i network di giovani, tra le mille difficoltà di una città lenta e poco gentile con chi vuole realizzarsi, portano avanti progetti con rabbia e con amore, progetti che poi possono trasformarsi in sogni come il riconoscimento della Capitale dei Giovani 2017.
Ma è anche la vittoria della capitale di una Sicilia che, come porta di ingresso dei rifugiati che sognano l'Europa, non tradisce la sua storia di accoglienza pur tra mille difficoltà. A Palermo, quell'isola di accoglienza è un quartiere come Ballarò, ecosistema di multiculturalità tutt'altro che perfetto, ma tale da lasciare a bocca aperta qualsiasi forestiero che lo visita. Ed è infine innegabile anche la scelta politica del Ministero di premiare gli sforzi di una delle capitali del Mezzogiorno, che ha perso il suo già modesto tessuto produttivo e molti suoi giovani.
Ma adesso? In molti in questo momento si chiedono cosa comporti, oltre agli allori, ai festeggiamenti sui social e al senso di orgoglio e di appartenenza dei palermitani vicini e lontani, questa vittoria. La risposta è un finanziamento pubblico-privato di 6,5 milioni di euro. Ma tra le righe se ne legge un altro, il più importante: che con la cultura si mangia. Anzi la cultura, in una città della desertificazione produttiva, dell’emorragia dei giovani e dell’impoverimento sociale è l’unica economia possibile. Lo diciamo a chi continua a sostenere il contrario e anche e i disfattisti, (da queste parti i famosi "nemici della contentezza"), quelli, in particolare i giovani, che si chiedono cosa cambierà per loro con Palermo capitale italiana della cultura. Perché le difficoltà di trovare un lavoro e realizzarsi sono innegabili, ma questo traguardo può essere un trampolino di lancio e un punto di partenza. Per non dire più, ad esempio, che i turisti vengono a Palermo solo perché le mete mediterranee concorrenti sono minacciate dal terrorismo, che i musei chiudono durante le feste lasciando fuori i visitatori affamati di cultura, che non si può creare un indotto giovane e qualificato di occupazione attorno ai beni culturali che da soli valgono quanto il patrimonio di interi Stati. Altrimenti, come dice il critico d’arte Tomaso Montanari in un’intervista per “Repubblica Palermo”, questo riconoscimento rischia di essere una mera autocelebrazione o un'operazione di marketing fine a se stessa. Chi ama veramente questo posto, nonostante tutto, sa che non deve finire così.