Padre Pino Puglisi: un insegnante di libertà
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Questa volta raccontiamo la storia di un prete di periferia, che portò a Brancaccio, quartiere roccaforte della mafia palermitana, un nuovo vento di libertà. Chi era padre Pino Puglisi, il parroco che non temeva la parola dei violenti ma il silenzio degli innocenti?
"Don Pino sorride. Un sorriso strano, quieto, come emerso dal profondo del mare quando la superficie è in tempesta. Mi ricordo ancora la prima lezione con lui. Si era presentato con una scatola di cartone. L'aveva messa al centro dell'aula e aveva chiesto cosa ci fosse dentro. Nessuno aveva azzeccato la risposta. Poi era saltato sulla scatola e l'aveva sfondata. «Non c'è niente. Ci sono io. Che sono un rompiscatole.» Ed era vero. Uno che rompe le scatole in cui ti nascondi, le scatole in cui ti ingabbiano, le scatole dei luoghi comuni, le scatole delle parole vuote, le scatole che separano un uomo da un altro uomo." (A. D'Avenia, "Ciò che inferno non è")
15 settembre 1993, padre Pino Puglisi, "3P" come lo chiamavano i suoi ragazzi, sorride ai suoi killer, riceve un colpo alla testa, rimane a terra, agonizzante in una pozza di sangue, e muore all'ospedale Buccheri La Ferla nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno. La maggior parte dei giornalisti che in quel periodo affollavano Palermo, quando arrivarono in ospedale non sapevano chi fosse questo prete morto ammazzato a Brancaccio. Non lo conosceva il grande pubblico. Il giorno dopo i giornali titolarono: "Ucciso prete antimafia", ma in quella definizione Padre Pino non ci si sarebbe riconosciuto.
Come aveva fatto un prete piccolo piccolo a meritarsi questa fine? Che cosa aveva portato la mafia a quella decisione, uccidere per la prima volta un prete solo per il suo operato sacerdotale? Chi era Don Pino?
Chi era Don Pino
"Puglisi è innanzitutto un prete.", dice Vincenzo Ceruso, autore del libro A Mani Nude e grande conoscitore della figura di 3P. Era un insegnante di preghiera, un uomo attento alla sofferenza degli altri che non concepiva la fede fine a se stessa, ma che si rimboccava le maniche, perché credeva in chi fa qualcosa per gli altri, qualcosa di concreto.
Giuseppe Puglisi nasce a Brancaccio, ma la sua storia resta lontana da questo quartiere periferico fino al 1990, anno in cui viene nominato sacerdote della parrocchia di San Gaetano, nel cuore del feudo di Bagarella e dei fratelli Graviano. Non si può capire a fondo la figura di Padre Puglisi se non la si contestualizza. Sono gli anni delle stragi, che smuovono le coscienze della città, ma non delle periferie. Non a Brancaccio. La mafia è nel bel mezzo di un attacco violentissimo allo società civile. Attacca lo Stato da una parte e la Chiesa dall'altra: dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio, due bombe esplodono a quattro minuti l'una dall'altra, davanti alle chiese di S. Giorgio al Velabro e S. Giovanni in Laterano. Questi attacchi partono anche da Brancaccio.
Lì Padre Pino fa il sacerdote. Inizia sin da subito a fare capire che lui era diverso, che non accetta che in un quartiere povero e disperato si spendano milioni di lire per la festa di San Gaetano. Non accetta alcuna donazione da ambienti vicini alla politica, non si piega mai ad alcuna richiesta che non risponda a fini di preghiera, carità e bene dei suoi ragazzi e parrocchiani. Era il segno vivente di una Chiesa che finalmente prendeva una posizione chiara dopo le parole pronunciate da Papa Giovanni Paolo II alla Valle dei Templi nel maggio del 1993.
La libertà nasce dai ragazzi
I ragazzi. Un capitolo senza il quale non si può raccontare quello che fece Don Puglisi. I bambini di un quartiere come Brancaccio diventano adulti molto presto, crescono con la violenza come unico modello possibile, credono che il più forte sia colui che riesce meglio a sopraffare gli altri. Conoscono la povertà e sono la miglior preda per diventare la manovalanza della mafia. I ragazzi di un liceo, quello in cui insegnava Padre Pino, che vengono dai quartieri "bene" di Palermo queste realtà non le conoscevano. Puglisi fa incontrare questi due mondi, porta forze nuove nel quartiere, abbatte le barriere. Ragazzi che aiutano altri ragazzi. Insegna a giocare, insegna a chiedersi scusa l'un l'altro, gli dà la possibilità di studiare, gli fa capire che un'alternativa è possibile.
Quel centro costuito con un mutuo e le donazioni della gente di Brancaccio
"L'apertura di questo centro è anche per noi segno di una esplicita fiducia nella solidarietà degli uomini" (Padre Pino Puglisi in occasione dell'apertura del Centro Padre Nostro).
Don Pino compra i locali per il suo centro di accoglienza Padre Nostro con un mutuo da sostenere con il suo piccolo stipendio da insegnante di religione. Rosaria Cascio, presidente dell'associazione Padre Puglisi. Si ma verso dove? racconta in un'intervista rilasciata alla Rai, che quando in banca gli chiesero un anticipo, il piccolo prete di provincia frugò le sue tasche e diede all'impiegato della banca cinquecento lire. Fu così che nacque il Centro Padre Nostro. Non accettò soldi dalle istituzioni, ma soltanto le offerte degli abitanti di Brancaccio, perchè il centro sarebbe stato loro, della gente. Un luogo di incontro, di dialogo, di pace, di fratellanza, di assistenza alle famiglie, un centro in cui ciascuno poteva sentirsi a casa. Il centro infatti divenne una seconda casa per i bimbi di Brancaccio e molti di loro lì cominciarono un'altra vita.
Il prete disarmato che faceva paura
«La mafia si fa intimidire, vede come un pericolo un piccolo prete che non aveva altre armi che la parola per colpirla - continua Ceruso - «l'attività che Puglisi svolgeva a Brancaccio veniva vista come un pericolo perchè sottraeva consenso alla mafia».
Oggi Don Pino è stato beatificato, considerato martire, perchè morto in odium fidei. Ancora una volta è lo studioso palermitano a osservare un parallelismo che ci riporta in avanti di 23 anni. È la storia di Padre Hamel, prete francese di Rouen sgozzato dai giovani terroristi lo scorso 26 luglio. «Padre Hamel ha rifiutato di inginocchiarsi davanti ai terroristi dell'ISIS, come Puglisi non si inginocchiò davanti alla mafia». Il parroco di Brancaccio non si fermò davanti alle intimidazioni o alle porte delle istituzioni che gli si chiudevano in faccia ogni volta che chiedeva la restituzione alla comunità degli scantinati di via Hazon, luogo di spaccio e di malaffare in cui lui sognava di aprire la scuola media che mancava in un quartiere di più di 10mila abitanti.
Don Pino era anche un professore e pagò con la vita una lezione semplice che diede ai suoi alunni, ai suoi bambini di Brancaccio e a tutti quelli che lo conobbero. Insegnò l'amore, il dialogo, ma soprattutto la libertà. Mostrò a tutti che esisteva un'alternativa concreta alla mafia e al male in genere, costruita con la fatica e col lavoro, ma anche con un grande sorriso sulle labbra di un piccolo prete e della sua comunità.