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Omicidio di Fermo: "Noi siamo anche questo paese"

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società

(Opinione) Nel 2016 in Italia si muore ancora di razzismo. Perché è innegabile che, volontario o preterintenzionale che sia, quello di Fermo rimane un omicidio causato prevalentemente (se non esclusivamente) dal colore della pelle e dalla stupidità di un singolo. Forse "non siamo questo paese", ma il nostro paese è anche questo.

Il fatto

Il pomeriggio dello scorso 5 luglio Emmanuel e la sua compagna Chinyere si trovavano in pieno centro a Fermo, nelle Marche. Sono stati avvicinati e infastiditi da un personaggio, Amedeo Mancini, noto in paese per il suo temperamento violento e le sue idee di estrema destra. Secondo le ricostruzioni Emmanuel ha provato a difendere la moglie dagli insulti xenofobi e razzisti dell'uomo, prima di cadere a terra privo di sensi, colpito probabilmente da un palo della segnaletica stradale. Da lì il coma irreversibile e poi la morte nella giornata del 6 luglio.

Fuggivano entrambi da una tragedia, dalle sofferenze e dalla paura. Una paura chiamata Boko Haram, che in Nigeria aveva ucciso la loro figlia di due anni. Avevano attraversato un deserto grande come il Sahara, il mare e mezza Italia, per arrivare infine a Fermo, nella struttura di accoglienza gestita dalla Fondazione Caritas in Veritate di don Vinicio Albanesi. Avevano superato l’aborto subito da Chinyere durante la traversata del Mediterraneo, a causa delle violenze subite dei trafficanti di uomini. Avevano sognato un futuro migliore qui in Italia, una nuova occasione per ricominciare. Emmanuel ci ha rimesso la propria vita per difendere dall’ennesimo sopruso una compagna che ha avuto comunque la forza di acconsentire alla donazione degli organi del suo uomo, fossero anche destinati ai connazionali di quel mostro che ha distrutto la sua vita. Un insegnamento a tutti quelli che vedono nella differente nazionalità di un essere vivente un movente per distruggerne la sua umanità.

"Noi siamo anche questo paese"

"Noi non siamo questo paese" titola il 7 luglio il Corriere della SeraSiamo anche questo, invece. Non tutti certo, ma siamo anche l’odio e il razzismo che a Fermo hanno ucciso Emmanuel Chidi Namdi, un 36enne nigeriano fuggito dalla sua terra e dal fondamentalismo di Boko Haram per trovare la morte in Italia. Perché quell’estremista di destra, quell'ultrà, quel razzista o in qualunque altro modo si preferisca chiamarlo, è il frutto dell’ignoranza, della paura del diverso e della bieca ottusità di una parte della popolazione e di una classe dirigente politica che ne cavalca l’emotività a caccia di voti o consensi. Un atteggiamento terrorista, di psicologia e opportunità, che alla riflessione preferisce l’impeto e l’insensata semplicità di insensate soluzioni. Immigrazione, razzismo e diritti umani diventano semplici parole strumentalizzate, nascoste o dimenticate a seconda della situazione, dell’opportunità politica e dell’interlocutore. Perché siamo quel paese in cui servono storie come quelle di Emmanuel e Chinyere per ricordare a molti (troppi) che gli immigrati sono persone, che il razzismo esiste e che è una piaga sociale concreta, da combattere sempre e comunque. Gli uni contro gli altri, tutti contro il diverso, lo straniero. Un gioco al massacro che ci riporta indietro di 70-80 anni, come se non avessimo memoria di certi orrori, come se la storia si ripetesse e noi non potessimo fare altro che restare a guardarla, come inermi ed impassibili spettatori. O forse è una storia che non è mai cambiata. La storia di Emmanuel si lega a quella dei due ragazzi uccisi dalla polizia negli Stati Uniti la scorsa settimana, come si lega alla sparatoria di Dallas avvenuta pochi giorni dopo. Odio che chiama altro odio, in una spirale di violenza senza alcun senso o logica. Il tutto sotto un velo di paura che permea le nostre vite, le condiziona, le limita. Perché la paura blocca il cervello, il progresso, la civiltà. A volte anche l’umanità. Come quella che è mancata a quel mostro che ha ucciso per il colore della pelle, a qualche esponente politico nello strumentalizzare la vicenda o addirittura minimizzandola. Ecco, appunto. Noi non vogliamo essere quel paese.