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Oltre la “turismofobia”: nel 2020, a Barcellona è emergenza climatica

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Barcellona è il porto crocieristico più grande del Vecchio Continente. Dal mare, arrivano una quantità inautdita di turisti. Sono anni che la città prova a combattere contro le visite mordi e fuggi con risultati altalenanti. In tutto ciò, i residenti del centro storico sono spinti sempre più in periferia. Come se non bastasse, nel 2020, la città dichiarerà anche lo stato di emergenza climatica.

«Una volta un crocierista mi chiese dove stava la Tour Eiffel», peccato che il porto di sbarco fosse Barcellona. A raccontare l’aneddoto è Eli, guida ufficiale della città, mentre indica il molo delle grandi navi dal ponte Porta d’Europa. Con oltre 3 milioni di passeggeri all’anno, Barcellona è il porto crocieristico più grande del Vecchio Continente. «Se sei fortunata ti capitano le navi più facoltose, dove i gruppi sono da 25 persone e i passeggeri sono in media più colti e interessati. Quando la crociera è low cost, invece, la logica è quella dei grandi numeri».

Onda dopo onda

I turisti si muovono in compagini da 40-50 persone e vengono accolti e raggruppati direttamente ai piedi della crociera dove gli viene anche assegnato un numero per non perdersi, riconoscere il bus di ritorno, sapere quale guida seguire. Del resto le crociere arrivano insieme e confondersi è facile. Poi, dalla statua di Cristoforo Colombo sul lungomare, inizia il conto alla rovescia per vedere la città: un quarto d’ora per arrivare al Barrio Gotico nel centro storico, un’ora e 15 minuti per visitarlo; circa mezz’ora per arrivare alla Sagrada Familia, un’ora per osservarla (dall’esterno); circa 20 minuti per giungere a Montjuïc e 30 minuti di visita. I passeggeri “mordi e fuggi” delle crociere, in realtà, sono meno della metà dei crocieristi totali e non pernottano (contro l’80 per cento degli arrivi via aereo che invece alloggiano). Ma proprio perché si fermano poco, spendono meno. Inoltre, arrivano a ondate e vengono, quindi, percepiti dagli abitanti come la categoria di turisti più invasiva e irritante.

«Non di rado la gente gli urla contro, li insulta», dice Eli. Lei è una libera professionista ed è una delle 100mila persone impiegate nell’industria del turismo (40mila delle quali direttamente), un giro d’affari che rappresenta il circa il 15 per cento del PIL della città. Solo il settore alberghiero fattura circa 1,6 miliardi di euro all’anno. «Amo fare la guida, ma quando porto in giro gruppi di persone che neanche mi ascoltano, che usano la città come un parco giochi, quando vedo una parte di Barcellona stravolta da un turismo di massa e di movida, vorrei cambiare lavoro. E lo farò», ammette, prima di dichiarare di essere anche ambientalista.

Nel giugno 2019, Barcellona è stata nominata la città europea con il maggior livello di inquinamento relativo al consumo di carburante delle navi da crociera. Secondo i dati di Transport & Environment, un’ong di Bruxelles, la capitale catalana primeggia nella classifica delle emissioni di NOx, SOx, (ossidi di azoto e zolfo) e Pm10. Ma dal porto assicurano di essere responsabili per meno del 10 per cento dell’inquinamento dell’aria della città per Nox e PM10. E se, da un lato, la situazione migliorerà da gennaio 2020 perché l’IMO, l’Organizzazione marittima internazionale, ha vietato l’uso di carburante con contenuto di zolfo oltre lo 0,5 per cento (invece del 3,5 attuale), dall’altro, quella ambientale, è solo una delle dimensioni dello strappo del tessuto sociale provocato dal turismo di massa.

La dimensione economico sociale del turismo di massa

La Rambla è il corso principale di Barcellona. Qui una bottiglia d’acqua può costare anche 2,50 euro, ma le mappe della città sono offerte da ragazzi che distribuiscono piccoli kit turistici: buste con depliant di eventi, sconti per attrazioni, indicazioni per il shopping bus. Daniel, 43 anni, uno degli attivisti di ¡Ciutat Vella no está en venta!, (“La Ciutat Vella non è in vendita”), traccia una linea su un foglio: «Questo è il flusso di persone lungo La Rambla». Poi segna una serie di linee perpendicolari: «È la strada che fanno gli abitanti del centro storico per evitare il fiume di turisti». Secondo uno studio, su 10 persone che attraversano la Rambla, solo 2 sono barcellonesi.

La Negreta del Gòtic, nel centro storico, è uno spazio sociale condiviso da diversi collettivi. Daniel racconta di far parte dell’Assemblea de Barris pel Decreixement Turístic (“Assemblea dei distretti per il turismo decrescente”). «Perché decrescimento turistico? Non ci raccontiamo più la favola del "turismo sostenibile": quello di massa non lo è». Una posizione forte la sua: «L’attuale pressione turistica non è conciliabile con una vivibilità urbana, sociale e ambientale. Abbiamo assistito all’espulsione di massa di vicini e amici che vivevano nel centro storico da una vita». La speculazione immobiliare ha stravolto l'esistenza di Laura, 32 anni, due figlie e una storia di precariato e lavori in nero alle spalle: «Sono stata costretta ad andare via dal centro storico perché hanno aumentato l’affitto da 500 a 800 euro: adesso vivo in periferia», racconta.

In effetti, c’è poco da godere per chi abita nella Ciutat Vella . «Se per prendere la metro devi attraversare un muro di visitatori, sul bus non c’è mai posto, mentre sotto casa non hai più un negozio che non sia turistico: non chiudi occhio per la movida, la tua vita cambia», confessa la signora Carla che alla finestra ha esposto uno striscione in catalano: “Volem un barri digne!” (“Vogliamo un quartiere dignitoso”). Fuori dal centro storico, dopo la linea ideale che può essere tracciata dalla Sagrada Familia in poi, la sensazione di invasione è molto meno forte, anche se c’è consapevolezza del livello di saturazione: la progressiva migrazione dei residenti dal centro alla periferia, l'ondata di ricollocamento, si scarica proprio nei quartieri più esterni dove gli affitti sono in aumento.

Turisti a Barcellona  (cc) Roberta Benvenuto
Turisti a Barcellona © Roberta Benvenuto

Secondo uno studio del Comune condotto nel 2017, 4 barcellonesi su 5 pensano che il turismo apporti benefici. Ma quasi il 60 per cento afferma che la città è arrivata al limite delle sue capacità di accoglienza. Dal 1990 il numero di turisti che alloggiano in città è quadruplicato, arrivando agli oltre 8 milioni del 2019 (nei primi 8 mesi dell'anno). Il volàno iniziale sono state le Olimpiadi del 1992. A seguire: un incremento esponenziale per una città che non è grande come altre mete europee. Stretta tra il mare, l’altura Serra di Collserola e i fiumi Llobregat e Besos, Barcellona non ha spazio per crescere.

Quale futuro per Barcellona?

La sindaca Ada Colau ha costruito la sua immagine (e i consensi) sulla promozione del diritto all’abitare e il turismo sostenibile. L'amministrazione ha imposto un tetto massimo di case affittabili per fini commerciali regolato dal PEUAT, il Plan urbanístico de alojamientos turísticos (“Piano urbanistico per gli alloggi turistici”). I permessi sono dunque stati congelati a un numero di poco inferiore a 10mila. Ma il fenomeno recente degli affitti illegali sembra difficile da contrastare (nonostante siano state individuate oltre 2mila irregolarità). Ci sono vere e proprie bande organizzate che affittano a finti residenti, per poi subaffittare a turisti ignari. In questo modo, vengono aggirati i controlli che, ad ogni modo, risultano difficili, anche a causa dei pochi mezzi di contrasto in mano alla polizia municipale, come riportano i giornali locali.

«Congestione degli spazi pubblici, uno squilibrio tra il numero di abitanti e visitatori, inondazione di case airbnb a scapito di quelle per residenti, aumento dei prezzi immobiliari, perdita del potere d'acquisto, gentrificazione commerciale, degrado ambientale»: è il prezzo che Barcellona paga per il turismo di massa secondo Simone Moretti, lettore in Management del turismo, presso l’Università di scienze applicate HZ nei Paesi Bassi e autore del primo report richiesto dalla commissione Trasporto e turismo del Parlamento europeo, Overtourism: impact and possible policy responses.

In questo scenario non è difficile capire perché la parola “turismofobia” attraversi i vicoli della città vecchia. Ad ogni notizia di aumento dei flussi, la popolazione reagisce in maniera negativa. Dal 1 gennaio 2020, il Comune dichiarerà lo stato di emergenza climatica. E la sindaca ha da poco detto di voler porre dei limiti alle crociere e ai voli low cost: un’azione difficile se non impossibile, come conferma Mar Campins Eritja, professoressa Jean Monnet in Diritto ambientale europeo presso l’Università di Barcellona (l'azione Jean Monnet finanzia la ricerca e l'insegnamento inrenenti l'Unione europea): «Ci sono differenti livelli di competenza, da quella nazionale (sui porti) a quella internazionale relativa alla Convenzione del diritto sul mare. Quello che può e dovrebbe fare l’amministrazione locale è stabilire che tipo di turismo vuole per la sua città».


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30 anni di programma Jean Monnet © Programma Jean Monnet

La serie AcadeMy è stata realizzata nel quadro della celebrazioni dei 30 anni del programma Jean Monnet con il sostegno della Commissione europea. L'azione Jean Monnet finanzia la ricerca e l'insegnamento inrenenti l'Unione europea. Per maggiori informazioni sugli obiettivi e il ruolo del programma Jean Monnet si rimanda al sito ufficiale dell'Unione europea.