Participate Translate Blank profile picture
Image for Oggi ho un diavolo per capello!

Oggi ho un diavolo per capello!

Published on

Torre di Babelesocietà

Nella comunicazione con gli altri esseri umani è molto importante saper esternare le proprie emozioni in tempo, prima che le conseguenze diventino irreparabili. Ancor più se si tratta di prevenire qualcuno, che non parla la vostra lingua, che siete davvero furiosi.

Una mattinata uggiosa, la lavatrice che perde acqua, i Titoli di Stato greci che vi fanno perdere 400 euro o la fila agli esami: tutti buoni motivi per sentire tra i capelli un prurito che non se ne va. E’ quello che gli italiani chiamano “avere un diavolo per capello”, espressione popolare che mischia sapientemente credenze nell’aldilà e pruriti irresistibili nei punti focali dell’autocontrollo. Come Dante e Virgilio nella Divina Commedia passarono il centro del mondo aggrappandosi ai peli di Lucifero, così nell’immaginazione popolare il demonio rende la pariglia al genere umano, tirando i capelli e manovrando a piacere chi si lascia prendere dall’ira.

La tradizione religiosa italiana, pervasiva in ogni ambito della vita culturale, non si ritrova spesso nelle altre lingue. In questo caso, tuttavia, abbiamo gli spagnoli che si trovano “de un humor de mil demonios”. La stessa personificazione del “Genio del male” ritorna presso gli inglesi, che dicono “she had hair like the devil”. Meno religione, più fantasia negli altri paesi: "fuchsteufelswild sein", un termine tedesco composto che indica qualcuno di diabolicamente furioso come una volpe (“fuchs”), una specie di diavolo (“teufel”) in miniatura. Man mano che ci si sposta nell’Europa continentale, le emozioni si fanno meno violente, e strappano quasi un sorriso: in Francia è comune il detto “voir rouge”, ma si usa "chier une pendule" (“cagare una pendola”) per chi si arrabbia per un nonnulla. Un’espressione in grado di mettere a tacere anche il più furioso degli indignati, un po’ come il polacco "wściekły jak osa" , letteralmente “matto come un ape”.

Foto di copertina: (cc) Vicente Alfonso/flickr