Nuovi soggetti migranti: nasce la prima assemblea gambiana a Palermo
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Si è tenuta nella serata di venerdì 19 febbraio la prima assemblea aperta organizzata da un gruppo di migranti provenienti dal Gambia, residenti a Palermo da alcuni mesi. Nei locali del circolo ARCI Porco Rosso, nel quartiere di Ballarò, alcuni portavoce hanno presentato il progetto e raccontato la loro storia.
Un paese da cui si è obbligati a fuggire, viaggi difficili alle spalle e la doccia fredda di un sistema di accoglienza quasi inaccessibile. Sono questi i temi principali delle storie che venerdì scorso, 19 febbraio, un gruppo di giovani migranti gambiani ha raccontato nel corso di un’assemblea aperta, tenutasi al circolo ARCI Porco Rosso di Ballarò. Un primo incontro di quello che i ragazzi sperano diventi un progetto a lungo termine, volto a sensibilizzare il pubblico sui motivi che li hanno spinti a partire e ad organizzarsi per rivendicare i propri diritti, interagendo in prima persona con la comunità e le istituzioni. Un esperimento innovativo, che merita di essere compreso ed approfondito.
I ragazzi e le loro storie
È stato un numeroso gruppo di migranti gambiani il motore che ha mosso l’organizzazione dell’evento: per la maggior parte giovanissimi, ventenni o poco più, giunti in Italia tra novembre ed oggi. Provengono da uno dei paesi più piccoli dell’Africa, che conta solamente due milioni approssimativi di abitanti. Un paese considerato dalla comunità internazionale come una delle poche repubbliche democratiche del continente, libero da guerre e conflitti tribali, e che fino a pochi anni fa costituiva una percentuale marginale degli arrivi migratori nel nostro paese. Eppure, le storie che i ragazzi raccontano dipingono una realtà ben diversa, quella di uno stato che pur conservando il nome di Repubblica si presenta, di fatto, come una dittatura del presidente in carica, Yahya Jammeh, caratterizzata da elezioni truccate, censura e repressione durissime.
«Alle ultime elezioni», racconta Butch, uno dei giovani portavoce, «c’è stato un totale di più di tre milioni di voti, sommando quelli di tutti i partiti. Ma nel nostro paese ci sono soltanto due milioni di abitanti! Malgrado ciò, nessuno ha avuto il coraggio di chiedere il perché ad alta voce: fare una cosa del genere equivale a scomparire per sempre».
«I ragazzi che arrivano qui», aggiunge Yusfa, che in Italia vive da quattro anni e attualmente lavora come mediatore linguistico alla prefettura di Palermo, «lo fanno perché hanno avuto problemi con il governo, e fuggire è l’unico modo per salvarsi la vita. Le loro famiglie vengono spesso ricattate a seguito di questa loro scelta, è una situazione difficile: tutti amano il proprio paese e vorrebbero poterci tornare, ma perché questo accada si deve prima porre fine alla dittatura».
L’arrivo in Italia e il sistema di (non) accoglienza
E così comincia un viaggio che per la maggior parte di questi ragazzi sarà lunghissimo, dove i nomi dei paesi attraversati sono sempre gli stessi e sembrano comporre una lista infinita: Gambia, Senegal, Mali, Burkina Faso, Benin, Nigeria, Niger. Per chi ce la fa, la meta finale sono i terribili barconi libici diretti a Lampedusa. Eppure, l’agognato arrivo sul territorio europeo si trasforma in molti casi in una falsa vittoria. Anche questa una storia che si ripete: trasportati ad Agrigento, nel centro di accoglienza che costituisce la cellula locale del nuovo sistema degli hotspots, ai ragazzi viene fatto firmare un provvedimento di respingimento differito, in molti casi senza nemmeno fornirne traduzione dall’italiano. Poi sono portati a piedi in posti distanti fino a trenta chilometri dal centro cittadino, e lì abbandonati con un foglio di via che impone di lasciare il paese entro sette giorni.
«Il problema principale», spiega Fausto Melluso, referente ARCI per il sostegno ai rifugiati a Palermo, «è che l’aumento di arrivi da questo paese ha coinciso con un cambio di politica da parte delle questure, che senza procedere ad alcun accertamento attribuiscono a priori a queste persone lo status di migrante economico. Si verifica una produzione in massa di respingimenti differiti, pratica che tra l’altro è stata giudicata più volte illegittima in sede di ricorso. In questo modo, invece, si ottiene la clandestinizzazione di una vasta parte degli arrivi, tutti quelli che non sono intercettati da associazioni locali, e che pertanto diventano parte di un enorme “sommerso”, che di fatto rende poi molto difficile riuscire a rientrare nei canali delle forme di accoglienza istituzionali».
«Noi tutti avvocati dobbiamo impegnarci perché queste pratiche cessino immediatamente», ha dichiarato all’assemblea Fulvio Vassallo Paleologo, specializzato in diritto d’asilo e attivo nella CLEDU (Clinica Legale per i Diritti Umani) di Palermo e su tutto il territorio siciliano. «Abbiamo denunciato queste prassi della polizia e della questura di Agrigento e abbiamo richiesto incontri alla questura e alla prefettura. Inoltre ne discuteremo la prossima settimana in una commissione parlamentare a Roma, che si occupa di indagare le pratiche dei centri di accoglienza».
L’esperienza di Palermo e la nascita del progetto
Abbandonati a loro stessi, molti dei ragazzi decidono di raggiungere a piedi o in treno la città di Palermo. Grazie al numero verde nazionale dato loro da un’operatrice locale dell’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) riescono ad entrare nel sistema ARCI di sostegno ai rifugiati, che si attiva prontamente. Davanti all’impossibilità di affidarli al sistema di accoglienza istituzionale, e in attesa dell’esito del ricorso per annullare il procedimento di respingimento e poter avanzare domanda di asilo, la soluzione è quella di utilizzare circuiti alternativi: donazioni di vestiti, centri di volontariato. In particolare, tutti i ragazzi si trovano a doversi appoggiare per l’alloggio all’unico dormitorio della città disponibile ad accoglierli: la Missione di Speranza e Carità di Biagio Conte, che versa però in condizioni critiche.
«Noi ringraziamo Biagio Conte che ci ha accolti, ma le situazioni di convivenza sono al limite del sopportabile», sottolinea Butch.
Spiegano nel volantino scritto per l’assemblea: «Le condizioni di vita al centro di accoglienza di Biagio Conte, dove abitiamo adesso, sono insopportabili. Ci sono più di un centinaio di persone in ogni stanza. A causa del sovraffollamento le condizioni sanitarie sono spesso inadeguate, il cibo insufficiente e tante persone si sono ammalate. Diverse associazioni locali hanno già scritto al Prefetto per chiedere che risponda al suo obbligo di garantire ospitalità e protezione a coloro che cercano asilo politico come noi».
Il progetto e le aspettative future
Nel frattempo, i ragazzi approdano al circolo ARCI Porco Rosso di Ballarò, che diviene per loro un centro diurno dove trovarsi a discutere e lavorare assieme. Nasce così un gruppo unito che vuole raccontare la propria esperienza alla comunità e presentare le proprie richieste alle istituzioni.
Seguiti dall’avvocato Gabriele Lipani, responsabile dello sportello legale gestito dalla parrocchia di Santa Chiara a Ballarò e aperto ogni mercoledì, i ragazzi sono ora in attesa dell’esito dei loro ricorsi per poter fare domanda di asilo. Intanto, hanno scelto di cominciare questo percorso finalizzato a far conoscere la propria storia:
«Raccontare la loro esperienza è il contributo più grande che ci possono dare. Gli arrivi dal Gambia sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi anni, indicando che qualcosa deve essere cambiato nel paese, anche se non è chiaro che cosa», spiega Gabriele Lipani.
«Quella dell’assemblea è un’idea che abbiamo avuto tutti insieme, anche aiutati dalle persone che abbiamo incontrato sul nostro cammino qui a Palermo», ci racconta ancora Butch. «Ognuno di noi proviene da esperienze diverse, abbiamo rappresentanti da ognuna delle realtà etniche presenti in Gambia, ma siamo tutti egualmente partecipi ed impegnati a fare funzionare questo progetto. L’idea ha ricevuto un seguito pressoché unanime nella comunità che vive da Biagio Conte. Prendiamo le decisioni assieme, e speriamo di poter continuare con altri incontri in futuro».
Un progetto innovativo, che potrebbe aiutare la situazione dei ragazzi e allo stesso tempo fornire un importante terreno di sperimentazione per la costituzione di realtà alternative, dove i migranti possano proporsi come soggetti attivi a livello civico, sociale, e politico.
«Questo progetto potrebbe essere un’importante occasione per impostare un nuovo discorso politico sull’accoglienza», suggerisce Fausto Melluso, «in parte in relazione alla situazione in Gambia ed al recente accordo diplomatico firmato col nostro paese, ma anche e soprattutto in relazione al concetto di rifugiato in generale: chi sono i rifugiati? Chi determina chi può rientrare o meno in questa categoria? Si può considerare come discriminante una definizione che dipende in ultima analisi da scelte politiche contingenti, e che quindi può cambiare e cambia dipendentemente da queste?»