Nuova e vecchia femminilità
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Valentina TurraPerspectives, festival franco-tedesco delle arti di scena, tenta di giocare con gli stereotipi femminili. Ma senza superarli. Un panorama degli spettacoli in scena.
Perspectives è un festival franco-tedesco delle arti di scena che si tiene a Saarbrücken, nella Germania sud orientale. Una buona occasione per fare piazza pulita di ruoli, figure e stereotipi (sessuali) predefiniti. Il programma prometteva la discussione di problematiche legate all‘identità femminile nella danza, nel teatro e nel circo. Nonostante le aspettative siano promettenti, uno sguardo più approfondito ci riporta ai soliti stereotipi sulla donna e sul suo corpo.
Donna, ma con la barba
La performer francese Jeanne Mordoj si presenta in scena con la barba, enormi mutande da nonna, ascelle pelose e sudore copioso. Tutte caratteristiche lontane da quelle tipicamente di genere. Nella sua pièce, Eloge du poil (Ode al pelo) Mordoj è ventriloqua, giocoliera, acrobata, ballerina e fachira. Salta da un ruolo all'altro, senza che nessuno di questi corrisponde a comportamenti femminili socialmente riconosciuti. Sin dall'inizio crea un'atmosfera pericolosa e affascinante: lancia coltelli, con il ventriloquismo riporta alla vita teschi animali, tiene in equilibrio sul suo corpo tuorli d'uovo e finisce seppellendosi con della terra nascosta sotto al palco. Chiaro, durante la rappresentazione, il rapporto dell’artista con la morte. E, infatti, alla fine domanda al pubblico: «Vi faccio paura?»
Nell' incontro con l‘artista, a cui presenzia solamente un uomo, Jeanne Mordoj sottolinea come voglia affrontare il tema della femminilità in modi non convenzionali. Racconta che lei, nonostante la barba, desidera essere «bella e misteriosa», dimostrando però di essere ancora dentro gli stereotipi. Già Aristotele e Sigmund Freud avevano riconosciuto che la femminilità è misteriosa e al contempo attraente.
Madre e prostituta
Il coreografo algerino-egiziano Abou Lagraa non si muove esattamente nel campo delle conflittualità tra le identità femminili. Si serve dei cliché comuni per la sua coreografia, Matri(k)is: otto ballerine con corpi perfetti e lunghi capelli che vengono agitati in maniera sincronizzata ad abiti dai colori cangianti offrono un'immagine visivamente attraente ma carica di cliché sulla femminilità.
Sulle note delle nenie africane, che Abou Lagraa rivela di aver sentito cantare alla madre, le ballerine si muovono, si contorcono in preda a crampi (da parto) e si toccano i seni, simbolizzando così la scoperta del proprio desiderio. Sulle danzatrici troneggia un telo triangolare teso verso l'alto, che dovrebbe rappresentare una vagina. Davanti a questa generalizzazione dell'identità femminile è rassicurante sapere che Abou Lagraa voleva dare a ciascuna delle sei ragazze almeno una caratteristica individuale. Purtroppo ad ognuna resta solo la scelta tra "madre" e "prostituta", due gabbie dell’identità femminile.
Umanità e non genere
Per la tedesca-svedese Eva Meyer-Keller gli stereotipi sulla femminilità nascono dall'età della pietra. La performance che ha concepito Death is certain indaga la nostra ricezione della violenza portandola all'estremo. La performer Irina Müller, gracile e poco appariscente, decapita, affoga e avvelena... delle ciliegie. Le sue armi sono semplici: schiaccianoci, grattugie, phon o macchinine giocattolo, che diventano strumenti di morte che rimandano alle persecuzioni di sistemi dominati da maschi come l'Inquisizione o il Terzo Reich.
I piccoli, fragili frutti, vengono bruciati con precisione certosina su di un rogo di fiammiferi, lacerati su strumenti di tortura fatti in casa o gasati con il fumo di sigaretta dentro bicchieri di plastica. Irina Müller in questa performance assume il ruolo della carnefice priva di scrupoli, giocando con la capacità di tolleranza del pubblico. Il legame con le torture, la pena di morte e i crimini di guerra, sebbene le "vittime" siano solo delle ciliegie, è evidente. "Death is certain" si interroga sull'umanità, non sul genere. La scena teatrale e delle arti franco-tedesche ha bisogno di più Eva Meyer-Kellers.
Translated from Neue alte Weiblichkeit