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Non è il momento

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La Turchia non è una candidata qualunque, come lo dimostra il dibattito in corso. Le priorità dell’Unione sono altre.

L’ipotesi di una prossima apertura dei negoziati, in vista dell’adesione della Repubblica Turca all’Unione Europea, suscita numerosi dissensi. Ciononostante, i diplomati hanno deciso di non fare alcuna distinzione per tale candidatura, mentre gli esperti della Commissione Europea compilano scrupolosamente la loro check list, verificando la conformità del paese ai criteri fissati dai governi dell’Unione nel 1993 a Copenhagen.

“Noi non aggreghiamo degli stati, uniamo dei popoli”

Tale approccio così fiscale sbaglia nel non considerare la candidatura turca come un caso particolare, particolarità dovuta all’ostilità da parte di una grande fetta della popolazione europea nei confronti di tale adesione. Il concetto di adesione all’Unione non può limitarsi al rispetto di criteri più o meno obiettivi, come lo può essere ad esempio l’accesso alla zona euro. La considerazione di Jean Monet, “noi non aggreghiamo degli stati, uniamo dei popoli”, esprime ancora oggi in modo efficace la filosofia originale dell’Europa. Non si tratta quindi di accogliere la Turchia in un’alleanza diplomatico-strategica o in qualche patto commerciale, è questione invece di condividere innanzitutto la nostra cittadinanza europea coi cittadini turchi.

La debolezza di tale sentimento di comunità è la principale causa di crisi nei paesi federali come nei casi di Canada e Belgio. Coloro che auspicano un’Europa ambiziosa e coerente, non possono ignorare questo fattore, anche se, individualmente, alcuni valori universali, all’esame obiettivo di determinati criteri, possono esortare un atteggiamento più accogliente.

La candidatura turca è diversa semplicemente in quanto considerata come tale dai nostri cittadini. Fatto essenziale da esaminare. Una delle prime cause di preoccupazione è sicuramente la poca conoscenza riguardo l’odierna Turchia da parte degli europei. Pure ai tempi dell’adesione dei 10 nuovi stati membri entrati a far parte della Ue nel 2004, le persone meno entusiaste non sapevano granché sulla Slovenia o la Slovacchia. Eppure la loro annessione non suscitò un’opposizione al pari di quella manifestata contro la Turchia.

Argomenti poco solidi

Ma le reticenze degli europei sono da prendere con serietà poiché riguardano l’identità e la politica. E visto che la maggioranza della popolazione turca è di fede musulmana, l’ignoranza si trasforma in diffidenza. Molti non sono al corrente del livello di laicizzazione dello Stato o della natura della pratica religiosa in Turchia.

Le nozioni generali che si hanno sulla Turchia consigliano invece prudenza: il paese è il candidato più popolato dai tempi dell’entrata del Regno Unito nell’Unione Europea, cosa che gli avvale un peso equivalente a quello della Germania all’interno dell’Unione. Inoltre l’esercito effettuava fino a poco tempo fa una grande influenza sul mondo della politica. Se inoltre menzioniamo la questione irrisolta della divisione di Cipro o le ambiguità sul genocidio armeno, il candidato deve darsi molto da fare per essere convincente. L’Europa è comunque un progetto politico. Escludiamo quindi i cosiddetti argomenti geopolitici e culturali dei partigiani di un’Europa europea. Malgrado ciò gli argomenti a favore dell’adesione della Turchia sono a volte lungi dall’essere solidi.

Il discorso che si sente dire di solito è il seguente: in Turchia la prospettiva di aderire all’Unione Europea incoraggia lo sviluppo dello stato di diritto e dei diritti umani; i criteri stabiliti a Copenaghen sono categorici in questo senso e gli attuali sforzi dovrebbero essere ricompensati. Ma l’argomento mi sembra particolarmente maldisposto. Chiedere oggigiorno ad uno stato di rispettare tali principi dovrebbe essere il presupposto di qualsiasi politica responsabile. Come giustificare una tale preoccupazione per lo stato di diritto in Turchia rispetto ad una minor attenzione a situazioni come quella russa?

Il rispetto dei diritti fondamentali, non dovrebbe riguardare unicamente l’adesione di nuovi paesi membri dell’Unione Europea, ma dovrebbe semplicemente essere considerato in qualsiasi politica estera responsabile.

Gli argomenti geostrategici sono altrettanto relativi. Proporre serie alternative all’adesione, come lo statuto di associato privilegiato all’Unione Europea, avrebbe di conseguenza uno sconvolgimento nella politica estera turca? Il paese è tuttora solidamente ancorato alla Nato e non possiede un valido interlocutore alle sue frontiere. L’Unione, non avendo oggi una vera e propria politica estera, non trarrebbe nessun beneficio in particolare dall’accogliere in grembo la Turchia. Ciò costituirebbe anzi un ostacolo aggiuntivo per la definizione, necessaria, di una politica comune.

Appuntamento tra dieci anni?

I governi europei vogliono essere sicuri riguardo la candidatura turca. Stimano che l’adesione definitiva non sarà concepibile prima di dieci o quindici anni, speculando a volte su un’eventuale verifica nel corso degli eventi. Eppure, i precedenti negoziati sono per lo più approdati ad un’adesione a data da destinarsi. Perché agire altrimenti, visto che si tratta di un processo diplomatico?

Se la scadenza è così lontana, è inutile agitare le acque già adesso, dal momento che l’Unione ha già in corso diverse battaglie difficili per il suo avvenire, a cominciare da quella relativa alla definitiva approvazione del Trattato Costituzionale. L’apertura delle trattative nel prossimo dicembre ribadisce ai cittadini europei la poca considerazione verso le loro preoccupazioni.

L’effetto boomerang sarà rapido e la decisione verrà presa nei mesi a venire, durante le consultazioni per la ratifica della “Costituzione”. Fin da adesso, è possibile scommettere che i pochi sforzi effettuati per informare e preparare i cittadini dei paesi dell’Europa dei 15 all’allargamento del 1° maggio 2004 avranno indubbiamente delle conseguenze al momento del voto nei paesi in cui sarà organizzato un referendum.

Questi due dibattiti, per essere condotti serenamente, devono prima di tutto essere separati. E oggi la vera priorità è il dibattito sul Trattato Costituzionale. I nostri dirigenti devono anche prendere coscienza che bruciare i tempi dell’adesione della Turchia sarà un danno sia per l’Unione, la quale perderà coerenza e ambizione, sia per la Turchia stessa.

Il favore di una parte ragionevole dei nostri concittadini è indispensabile, e l’ipotesi di fare in determinati paesi dei referendum a riguardo non deve essere scartata a priori. L’ingresso della Turchia impegna l’avvenire dell’Europa allo stesso modo, se non di più, del Trattato Costituzionale. Un’Unione offerta alla Turchia non avrà sicuramente la coerenza richiesta per continuare a progredire. Concetto che deve restare il nostro obiettivo.

Translated from Contre une adhésion au forceps