Non alla crociata, non al jihad, né al cielo. Ribadire il banale
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Contrastare l’equivalenza tra ISIS e Islam non è solo una forma di rispetto per la maggioranza dei musulmani, ugualmente inorriditi e spaventati per le azioni dei jihadisti. Combattere l’islamofobia è soprattutto la strada più efficace per "non ammalarsi di terrore".
Prima di scrivere questo pezzo ho provato a confrontarmi con alcuni interrogativi. E ho continuato a farlo durante. Vorrei ristabilire qui alcune basi interpretative riguardo la narrazione islamofobica, che ha assunto nuova linfa dopo gli attentati di Parigi di venerdì scorso.
Persone che stimo, molte delle quali ritengo essere evidentemente più autorevoli di me, invitano a non scrivere nulla riguardo, a non aggiungersi al marasma di analisi avventate, di foto profilo con il tricolore francese. Non aggiungere caos al caos, non fondersi con il flusso tumultuoso di persone che "prendono posizione". Aspettare che passi la tempesta, chiudendosi nel silenzio, astraendosi dall’arena dei social, barricandosi nella metabolizzazione del lutto. Mi assumo il rischio di dissentire.
Ristabilire l’ovvio
Nell’era della ricerca spasmodica del like e della condivisione su Facebook, che attestino quanto siamo brillanti, scrivere un pezzo del genere significa, credo, attirarsi una pletora di accuse di protagonismo, di sciacallaggio, di scarsa competenza. È nella piena consapevolezza di questo che sto scrivendo ora. Ma, se ne sto scrivendo, è perché credo che qualcosa vada detto, e vada detto proprio in questo momento.
Può rendere tristi, ma è nei momenti caldi, emotivamente coinvolgenti per il pubblico, che si può provare a far passare delle categorie interpretative che provino a restituire la complessità di quello che succede. In questo caso: inserire gli attentati di Parigi all’interno di un frame che provi a contrastare, in primis sul terreno comunicativo, i tentativi di diffondere un messaggio islamofobico. Il silenzio è una scelta personale che rispetto, ma ritengo che sia controproducente dal punto di vista politico. Anche solo perché gli araldi di una nuova crociata, anche su giornali ritenuti moderati, non si concedono questo lusso.
Io studio e leggo di Islam da due anni, specialmente di Islam politico, ovvero come questa ideologia religiosa si declina nell’arena politica. Quello che scrivo qui sotto non per forza deve risultare originale, mi accontento di pensare che possa risultare sensato, funzionale a non dover ogni volta ripartire da zero nel contestare la narrazione di chi sembra avere sempre pronto sul comodino La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci.
ISIS is not Islam
L’ISIS è alla disperata ricerca di nuovi militanti. Una delle strategie comunicative più efficaci che utilizza è il franchising del terrore: rivendica la paternità di attentati a sfondo jihadista, non sempre commessi da suoi affiliati, e concentra molti dei suoi sforzi nel colpire – o nel minacciare – luoghi e simboli identitari dell'Occidente.
Il terrorismo si basa su questa pratica: diffondere insicurezza, mandare il terrore in metastasi. La finalità è doppia: il nemico si sente accerchiato e perennemente in pericolo, e, in un clima dove si riesce a rendere le identità religiose come l’unica discriminante dell’identità di una persona, si richiamano alle armi tutti quelli che dovrebbero sentirsi "veri musulmani". L’ISIS punta ad eliminare la zona grigia, quella amplissima maggioranza di musulmani che non si rispecchia nella violenza, nel terrorismo, vive e convive in Europa e rivendica la differenza tra sé e i predicatori dell’Isis.
L'isteria collettiva islamofobica crea un paradosso inquietante: subiscono le rappresaglie e le vendette proprio coloro che da questi terroristi stanno scappando. Gli appelli per un’intensificazione dei bombardamenti in Siria provengono dagli stessi soggetti politici che vogliono chiudere le frontiere a chi scappa da questi scenari di guerra.
La jihad apre anche ai crociati
L’equivalenza "Islam uguale ISIS" è necessaria ai jihadisti. Possono sopravvivere solo se riescono a diventare gli unici portavoce riconosciuti della eterogenea e multiforme comunità musulmana globale. Una comunità dove non solo gli integralisti sono una minoranza, ma sono anche frazionati al loro interno, hanno agende geopolitiche che non convergono.
L'autoproclamato Califfato è "nemico dei nemici". Per diventare egemoni all'interno del fronte jihadista lo Stato islamico chiede la sponda – e la trova – nelle destre europee che invocano lo scontro di civiltà, uno scenario in cui la "cultura europea" tout court sarebbe sott'attacco e andrebbe difesa con una nuova ondata securitaria in politica interna, neo-imperialista in politica estera. L’account Twitter vicino all’ISIS che condivide la prima pagina di Libero per alimentare la sua propaganda anti-occidentale è un esempio auto-evidente. Sono "alleati", dalle due parti della barricata condividono ed alimentano la stessa interpretazione del mondo.
Pacifismo o barbarie
L’inglese distingue tra i termini security, intesa come sicurezza fisica, sensazione di non essere in pericolo, e safety, legata a fattori sociali, economici, politici. Sono concetti collegati. Disagi ed emarginazioni economici e sociali creano l’humus perfetto per il richiamo identitario propagato dall’ISIS: non è la religione, ma la politica, a creare il terrorismo.
Una definizione a-religiosa dello Stato islamico è fondamentale per disinnescare la bomba a orologeria dello scontro tra civiltà: l’ISIS è un soggetto politico fascista in politica interna e neo-imperialista in politica estera, peculiarità assolutamente non coraniche. «Due giorni fa, a Beirut, l'Isis ha ucciso 50 musulmani sciiti e ne ha feriti circa 200. I peshmerga curdi, che da mesi e mesi combattono l'ISIS in solitudine, sono a maggioranza islamica. Sin dalla sua nascita, l'ISIS ha ucciso per lo più altri arabi: sciiti, atei, gay, minoranze religiose»: si può parlare di guerra tra religioni, quando la maggior parte delle vittime delle violenze jihadiste sono musulmane?
La sicurezza è un concetto necessariamente bidirezionale: non si può blindare una parte del mondo e allo stesso tempo lasciare l’altra nel caos, pretendendo pure di mantenerne il controllo sulle risorse energetiche e finanziarie. Il neo-imperialismo, la retorica della "guerra umanitaria", della "lotta al terrore" iniziata da Bush nel 2001, presentano il conto. Lo spodestamento (riuscito) di Gheddafi in Libia e quello (tentato) di Assad in Siria hanno gettato queste regioni nel caos. Rispondere agli stessi problemi con le stesse soluzioni fallimentari ha l’esito, logicamente ineccepibile, di riproporre gli stessi problemi. Qualsiasi tentativo di analisi accurata, credo, deve partire da questa evidenza.
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