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Newsha Tavakolian, lo sguardo sull’Iran

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Il 4 settembre prende il via il XIX Festival Visa pour l’Image a Perpignan. Cui partecipa Newsha Tavakolian, venticinquenne fotoreporter iraniana. Che parla della situazione delle donne in Medio Oriente.

Newsha Tavakolian ha percorso Siria, Arabia Saudita, Pakistan, Libano, ha assistito all’invasione dell’Iraq e del suo stesso paese, fotografando un Medio Oriente che non appare nelle copertine dei media occidentali. Il suo ultimo lavoro, Madres de mártires (“Madri di martiri”), è una serie di ritratti di donne che tengono in mano le foto dei loro figli caduti durante la guerra tra Iran e Iraq. «Madri che, da allora, hanno trovato consolazione nell’orgoglio per la morte patriottica dei loro figli. Solo adesso che la rivoluzione si è incancrenita per diversi problemi, iniziano a chiedersi se queste morti siano servite a qualcosa». Diversa è l’altra sua opera Iran: foto di giovani iraniane con vestiti attillati e occhiali da sole, che mostrano i loro capelli sotto un velo che Newsha indossa solo nei paesi musulmani e quando il contesto lo richiede.

Newsha Tavakolian partecipa al Decimo Incontro Internazionale di Fotogiornalismo Ciudad de Gijón, in Spagna. Ci siamo incontrati nell’animato caffé di uno degli alberghi frequentati dai partecipanti a questo concorso, diretto dal premio Pulitzer Javier Bauluz, nell’ambito della “Semana Negra”, festival multiculturale che ogni anno richiama più di un milione di persone in questa città della Spagna del Nord.

Da telefonista a fotografa, tutta colpa di quella voce da bambina

Newsha ha scoperto la fotografia durante un corso frequentato a diciassette anni. «Fino ad allora volevo diventare una cantante». La sorprendo spesso a canticchiare qualche canzone e guardando le sue foto ho l’impressione che mentre fotografa componga anche la colonna sonora dei suoi protagonisti. Un giorno qualcuno le disse che poteva diventare una fotoreporter. «Per un mese sono andata ogni giorno al giornale a chiedere lavoro. Alla fine me lo hanno dato. Ero la loro nuova telefonista». Newsha ha un pungente sense of humour: si vede nei gesti e negli sguardi. All’improvviso esplode in una risata fragorosa. «Un mese dopo, mi dissero che avevo lavorato molto bene ma che la mia voce era troppo infantile». E così divenne la fotografa del giornale.

La battaglia per la libertà si combatte ogni giorno

Sono passati nove anni da quel giorno. Un periodo in cui il suo obiettivo ha fotografato gli sconvolgimenti del suo paese e della sua stessa vita. «Per quarant’anni in Iran non c’è stato nessun cambiamento. Ma anche se la strada da fare è ancora molto lunga, la situazione è migliorata notevolmente nell’ultimo decennio. Per esempio per le donne. Un miglioramento che non è venuto dal governo, ma da noi stesse. Non ci siamo conformate e abbiamo lottato ogni giorno per la nostra libertà. Ora siamo la maggioranza nelle università, nei giornali, ci sono donne tassiste, etc.». Newsha sceglie con cura le sue parole, tracciando nel frattempo delle linee sulla tovaglia di carta, come se volesse fare un disegno. Conosce bene la stampa occidentale. Ha pubblicato, tra i tanti, nel New York Times, in Stern, Le Figaro, Time Magazine, è stata premiata dal National Geographic ed è stata una delle nove “donne dell’anno” scelte dall’edizione nordamericana di Marie Claire.

Per questo dà alle sue risposte la responsabilità di rendere giustizia ad una realtà che questi media ignorano nelle loro pagine. «Ogni giorno, duecento persone manifestano in Iran contro gli Stati Uniti. Sono sempre gli stessi duecento, pagati e organizzati dal governo. Le persone normali non passano il tempo a bruciare bandiere americane. Facendo di queste immagini le loro copertine, i giornali fanno il gioco del governo e della tensione che sta creando».

Dialogo e unione

Alle domande di politica risponde in maniera chiara, puntualizzando però sempre: «Io però non faccio politica... ». Per questo, quando parliamo della questione del nucleare nel suo paese, sembra che ci tenga a mettere in chiaro un aspetto che un occidentale non troppo impegnato in politica trascurerebbe. «Ci sono due correnti nell’opinione pubblica: quelli che appoggiano il nucleare perchè pensano che noi abbiamo lo stesso diritto di averlo che hanno gli Stati Uniti, e quelli che pensano che sia un’opzione pericolosa, tenendo conto dell’instabilità del nostro governo. Siamo preoccupati per l’equilibrio tra libertà e sicurezza. Ma al di là di questo facciamo una vita normale: andiamo al cinema, a ballare, a bere un caffè... ». Uno stile di vita confermato dalle sue foto, che ritraggono persone anonime perchè «le possibilità di cambiamento stanno nell’unità tra i cittadini, e specialmente tra i giovani». Per questo motivo Newsha ha fondato, insieme ad altre cinque fotoreporter che vengono da Sudafrica, Georgia, Brasile, Thailandia e Spagna, EVE, «una piattaforma dalla quale possiamo far sentire la nostra voce e affrontare con le nostre fotografie i problemi delle donne nel mondo». Conoscere per capire e favorire il cambiamento. Un principio che sembra avere guidato tutta la sua traiettoria e che la ha portata a fotografare anche l’invasione dell’Iraq. «Mi sono ricordata della guerra tra Iran e Iraq, del risentimento che era rimasto. L’Iraq era un paese nel quale non potevamo andare. Ho pensato di dover fotografare quello che stava succedendo, conoscere quelle persone. E lì mi sono resa conto che gli iracheni mi piacevano, e che l’odio apparteneva al passato». Newsha è una donna che guarda al futuro con speranza, e si aspetta che l’Europa sia all’altezza. «Gli Iraniani la stimano molto. La vedono come un’alternativa al modello statunitense, come l’interlocutore occidentale con cui è possibile dialogare».

Translated from Newsha Tavakolian, contraportada de Irán