Netanyahu, il "Bibi-sitter" coi pollici in su
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[Opinione]
Netanyahu vince le elezioni in Israele grazie a una compagna elettorale nazionalista e spregiudicata. La Palestina entra nella Corte Penale Internazionale mentre gli Usa firmano uno storico accordo sul nucleare con l'Iran. Quali le ripercussioni possibili?
Quando nel novembre 2014 è riuscito a far approvare dal suo Consiglio dei Ministri il disegno di legge che riconosceva Israele come "Stato della nazione ebraica", Benjamin Netanyahu ha posto il tema del nazionalismo al centro del dibattito politico e della campagna elettorale che avrebbe preso il via poche settimane dopo. Un linguaggio studiato a tavolino, quello del rieletto leader del governo israeliano e del partito conservatore Likud, che è riuscito a spostare i toni della campagna elettorale sulla distruzione non solo del sentimento antisemita - e antisionista - ma anche dell'idea che Israele potesse divenire "Stato Palestinese".
Un disegno di legge che sancisce l'apartheid
Il disegno di legge che il Consiglio dei ministri israeliano ha approvato lo scorso 23 novembre, infatti, sancisce che l'unico cittadino accettato da Israele sarà quello ebreo, le uniche festività nazionali quelle «comprese nel calendario ebraico», l'inno della nazione l'Hatikvah - la canzone con cui già nell'Ottocento si decantava il desiderio del popolo ebraico di ritornare nei territori palestinesi, nella "Terra santa" - e membro della Knesset, ovvero del parlamento israeliano, solo chi trae ispirazione morale e politica dalla legge giudea.
Una legge "razziale" quella voluta ed ostentata attraverso i media internazionali da Netanyahu, che ha proiettato sempre di più lo Stato israeliano come stato di Apartheid. Un'idea, questa, che trova fondamento nella famosa risoluzione 3379 delle Nazioni Unite che già 40 anni fa definiva il sionismo come una «forma di razzismo e di discriminazione razziale». Risoluzione che però non ha impedito agli Stati Uniti di continuare per anni a sostenere i governi israeliani, di maggioranza dichiaratamente sionista, e di definire "oscena" ed «ordinata dal blocco sovietico» la risoluzione che condannava il movimento ispiratore delle politiche di Netanyahu.
Netanyahu, su Herzog ha vinto la comunicazione
17 marzo 2015. Laburisti contro Conservatori. Lo storico leader israeliano, quel Benjamin Netanyahu che ha dettato la linea politica interna ed estera al suo governo per 9 anni, sembra pronto a dire addio alla sua carica. I sondaggi pre-elettorali lo danno indietro di 4 seggi rispetto allo sfidante di centrosinistra Yitzhak Herzog, con la lista araba al terzo posto a rappresentare, in Parlamento, quella minoranza di popolazione non ebrea e musulmana che ancora vive in Israele. Agli albori della tornata elettorale, un paventato apparentamento tra la fazione di Herzog e la lista Araba Unita avrebbe significato la completa morte politica - per lo meno interna - di Netanyahu e dei suoi. Necessario vincere. E allora "Bibi" si gioca il tutto per tutto spingendo all'estremo quella campagna di comunicazione mediatica fondata sullo spirito nazionalista degli israeliani, ostentata prima delle elezioni con l'approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge sulla nazione ebraica e conclusasi con la celebre frase del leader di Likud a due giorni dalla chiamata alle urne: «Con me mai uno stato palestinese».
E Netanyahu non si è scordato neppure quanto conta, oggi, in politica, il carisma di un leader. Oltre a definire attori e strategie della squadra che l'avrebbe condotto vincitore al governo, il Primo Ministro israeliano ha pensato bene di aprire la campagna elettorale con alcuni spot che lo ritraessero in vesti comuni, a fare da baby-sitter - o meglio, da Bibi-sitter - a dei piccoli israeliani e a consigliare al popolo ebreo di votare per chi «potrà prendersi cura dei propri bambini».
È guerra fredda col Grande Satana di Teheran
Il risultato è stato anch'esso studiato a tavolino: vittoria schiacciante, Bibi al suo quarto governo con Likud che conquista 29 seggi mentre al centrosinistra ne vanno 24. Netanyahu resta la figura centrale della politica nazionale e potrà portare a compimento il suo progetto con buona pace dell'Unione Sionista e soprattutto della lista Araba Unita. Ma non è tutto.
Le ripercussioni delle elezioni israeliane si sono fatte sentire - e lo faranno ancora per molto - in tutto il mondo. In primis in Europa ed in Occidente, dove l'Ue ha prima riconosciuto lo Stato della Palestina, facendo infuriare il governo di Tel Aviv, e poi concesso alla Palestina di divenire il 123esimo membro della Corte Penale Internazionale, riconoscimento che le consentirà di denunciare i crimini contro l'umanità commessi sul proprio territorio.
Più complesse le ripercussioni delle elezioni israeliane se si guarda verso Est, ovvero verso quel Medio Oriente che con Israele ha in comune soltanto il desiderio di affermazione della propria nazione. Per Netanyahu, infatti, diversamente da quanto sostengono i leader d'Occidente, l'ISIS non sarebbe il nemico numero uno da sconfiggere. Per l'affermazione dello stato d'Israele in Medio Oriente, i jihadisti non sembrano essere un pericolo, convinti fermamente che l'unico modo di far valere le proprie rivendicazioni nazionaliste sia l'affermazione su scala mondiale di uno Stato teocratico fondato sulla Sharia. Non c'è Stato Islamico che tenga se la minaccia viene dagli sciiti di Hezbollah e soprattutto dell'Iran. A ribadirlo è stata ancora una volta la strategia mediatica usata da Bibi e dal suo governo, che hanno recentemente definito «un errore storico» l'accordo sul nucleare iraniano, un accordo che «condurrà solamente alla bomba nucleare di Teheran». E mentre l'ISIS combatte la sua guerra al mondo con rudimentali strategie di un terrorismo non ancora ben definito, Israele ed Iran sembrano pronti ad inaugurare la seconda fase di un conflitto che odora di Guerra fredda. Ad arbitrare, ancora una volta, gli Stati Uniti. Chi favorire? Lo storico alleato israeliano o il Grande Satana, quell'Iran cui proprio gli Usa hanno recentemente concesso l'accordo per il nucleare?