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Nessuna tassazione senza traduzione

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Le politiche linguistiche

Cari amici,

Farà sicuramente discutere la Sentenza del Tribunale dell'Unione europea in merito al regime linguistico per i bandi di concorso comunitari adottato dalla Commissione europea.

I fatti

Il 28 febbraio 2007 l’Ufficio di selezione del personale delle Comunità europee (EPSO) pubblicava dei bandi di concorso ai fini della costituzione, da un lato, di un elenco di riserva destinato a coprire posti vacanti all’interno delle istituzioni per amministratori nel settore dell’informazione, della comunicazione e dei media e, dall’altro, di un elenco di riserva destinato a coprire posti vacanti all’interno delle istituzioni per assistenti nel settore della comunicazione e dell’informazione. Questi bandi erano stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea solo in lingua francese, inglese e tedesca.

L’Italia aveva chiesto l'annullamento di questi bandi, ricevendo pronunciamento positivo nel 2008. La sentenza del 13 settembre, però, capovolge la decisione del 2008.

Effetti

La sentenza del Tribunale, contro cui l’Italia ha già annunciato ricorso, potrebbe avere gravi ripercussioni sul regime linguistico comunitario. Senza entrare nei dettagli tecnici della sentenza, emergono almeno tre punti chiave.

1. Essa rafforza la politica deliberata della Commissione europea di imporre un’oligarchia linguistica nella comunicazione europea, in assenza di ogni esplicito dibattito pubblico e senza che vi sia alcuna chiara scelta politica degli stati membri in tal senso. Si tratta della politica del fatto compiuto. Esempi recenti della rotta seguita dalla Commissione sono il bando dell'EPSO del 2010 e il brevetto comunitario. Si tratta di una tendenza che si è rafforzata dopo l’allargamento del 2004 e che mirerebbe, in teoria, a contrastare l’egemonia dell’inglese. L’effetto ottenuto, tuttavia, è opposto, perché i paesi esclusi (il più delle volte per ripicca) tendono ad appoggiare un regime anglofono piuttosto che uno trilingue. È una guerra che, a termine, avvantaggia anzitutto gli stati membri anglofoni.

2. La sentenza mina in profondità la legittimità della prassi multilingue nell’Unione. Al punto 73, infatti, si sostiene che “i numerosi riferimenti nel Trattato CE all’uso delle lingue non possono essere considerati come la manifestazione di un principio generale di diritto comunitario che garantisca a ogni cittadino il diritto a che tutto quello che potrebbe incidere sui suoi interessi sia redatto nella sua lingua in qualunque circostanza". Questa conclusione legittima in generale l’adozione di un regime linguistico asimmetrico, in cui alcune lingue sono più uguali delle altre, senza prevedere nessun tipo di compensazione per le comunità linguistiche escluse. Il Tribunale serve alla Commissione una giustificazione d’oro per perseguire con una politica linguistica oligarchica o monarchica.

3. Al punto 79, inoltre, il Tribunale sentenzia che “la giurisprudenza secondo la quale la circostanza che documenti indirizzati dall’amministrazione ad uno dei suoi funzionari siano redatti in una lingua diversa dalla lingua madre di tale funzionario o dalla prima lingua straniera scelta dallo stesso non costituisce alcuna violazione dei diritti di tale funzionario, se egli possiede una padronanza della lingua utilizzata dall’amministrazione tale da consentirgli di acquisire effettivamente e facilmente conoscenza del contenuto dei documenti in questione. Tale conclusione è parimenti valida riguardo ad un atto indirizzato all’insieme dei funzionari o dei candidati a una procedura di selezione, quale un bando di concorso".

In altre parole, lo studio, l'apprendimento e la conoscenza di una lingua straniera giustifica la negazione del diritto ad essere informato nella propria lingua. È questo forse l’effetto più perverso della sentenza. Mentre la conoscenza di una lingua straniera dovrebbe essere qualcosa che si aggiunge alla padronanza della propria lingua materna, essa diventa sostitutiva. Come dire: poiché hai imparato l’inglese, allora non serve più che ti forniamo informazioni in spagnolo. Una evidente assurdità.

Conclusioni

Di fronte a queste violazioni così palesi del semplice buon senso, i cittadini comunitari non possono restare passivi. Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge e alle istituzioni, e tutti pagano le tasse allo stesso modo.

Risulta quindi difficilmente comprensibile perché la maggioranza degli europei dovrebbe accettare passivamente che una minoranza della popolazione europea goda del privilegio di accedere ai documenti europei nella propria lingua, mentre la maggioranza ne resta esclusa. Inoltre, non è ammissibile che una minoranza abbia il privilegio di poter sentirsi esente dall’obbligo di studiare le lingue straniere, mentre quest’obbligo si applica per la maggioranza. Infine, è assurdo che l'apprendimento di una lingua seconda diventi un valido motivo per privare le persone dell’accesso alla documentazione della propria lingua madre.

Se le istituzioni europee attuano una discriminazione fra cittadini/contribuenti sulla base della lingua, è giusto chiedersi se gli esclusi abbiano ancora il dovere di contribuire al loro finanziamento. È legittimo quindi chiedersi se non sia il caso che la maggioranza degli europei inizi a rifiutarsi di pagare le tasse necessarie al funzionamento delle istituzioni europee, seguendo il principio "nessuna tassazione senza traduzione".