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Napoli, città dei beni comuni. Intervista a Luigi de Magistris

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Napoli

Il bene comune è al centro del dibattito tra sociologi, filosofi, giuristi e cittadini. Con il riconoscimento ufficiale della "Dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano" de l'Asilo, Napoli si candida a un ruolo di primo piano per l'affermazione di queste pratiche. Abbiamo discusso di come si è arrivati a questi risultati con il sindaco Luigi de Magistris.

Il termine "bene comune" attrae l’attenzione di sociologi, filosofi, giuristi presentandosi come tema fondamentale per uno sviluppo del pianeta sostenibile, partecipativo, giusto, in chiave autenticamente globale. Ma cos’è un bene comune? Considerato come «potenzialmente rivoluzionario» ed accuratamente descritto nel disegno in una legge deroga, purtroppo mai giunta a discussione parlamentare, proposta a seguito di una relazione realizzata nel 2007 da una commisione presieduta da Stefano Rodotà, il bene comune si svincola dalla contrapposizione classica tra proprietà pubblica e privata, presentandosi come un’alternativa ad entrambe. È il caso dell’acqua, a cui fu dedicato un referendum nel 2011: quando lo Stato cerca di privatizzarne l’erogazione, esso non dispone di ciò che è suo. Piuttosto dispone, o meglio sottrae, un bene imprescindibile per la vita della comunità, esattamente quanto accade per l’espropriazione ai privati ma senza indennizzo.

Un bene squisitamente comunitario atto a soddisfare le esigenze fondamentali dei cittadini, ai quali appartiene ugualmente per quota – quindi né pubblico, né privato. Qui risiede la portata rivoluzionaria del concetto: se sentiti come proprietà di tutti, poiché acqua, terra, suolo sono intrinsecamente legati alla vita, i beni comuni tendono naturalmente verso una gestione condivisa, sostenibile e non sfruttabile iniquamente da chi voglia trarne solo profitto. Nell’immaginario contemporaneo questa visione sembra destinata a rimanere solo sul piano teorico. Eppure, da cinque anni a questa parte, i cittadini di Napoli hanno intrapreso un processo di istituzionalizzazione dei beni comuni, un processo unico nel suo genere e senza precedenti. Di questo processo e dei passaggi che l’hanno portato dalla teoria alla pratica, abbiamo discusso con il sindaco, Luigi de Magistris.

Cafébabel Napoli: Napoli, città dei beni comuni. Primo comune italiano a dotarsi di un assessorato con delega ai beni comuni e di un regolamento volto a creare un percorso di democrazia partecipativa. Da dove nasce questa idea? In che modo si è sviluppata?

Luigi de Magistris: L’idea nasce dalla nostra sensibilità politica, manifestata durante l’ultima campagna elettorale. Abbiamo cercato fin da subito di mettere in atto una forte partecipazione collettiva degli abitanti di Napoli alla vita politica attraverso una serie di iniziative che coinvolgessero la cittadinanza. Ricordo in particolare il forum sui “beni comuni” del 2012 e la creazione dell’assessorato ad essi dedicato. Devo però riconoscere che l’affanno della vita amministrativa quotidiana, la drammaticità della situazione economico-finanziaria del comune di Napoli ed altri, mille problemi nella parte centrale della vita di questa amministrazione ci hanno fatto un po’ rallentare. Negli ultimi due anni c’è stata una fortissima ripresa sotto il profilo dei beni comuni e della democrazia partecipativa, abbiamo raggiunto due ulteriori obiettivi. La delibera sui beni comuni nel 2015, la prima in Italia dedicata all’argomento, sui luoghi della formazione dal basso delle politiche culturali cittadine, in particolare sull’ex-asilo Filangieri e la previsione del cosidetto regolamento sugli usi civici. Questo regolamento è una novità assoluta nel panorama italiano. Napoli si caratterizza, in qualche modo, dall’inizio alla fine del mio mandato, per essere una città in prima linea sui beni comuni. Non solo nella declamazione politica e verbale, ma anche negli atti amministrativi: l’assessorato ai beni comuni, la delibera sugli usi civici che riconosce l’utilizzo dei beni comuni culturali con politiche praticate dal basso con forme di autogestione e di autonomia.

Cafébabel Napoli: Un tema fondamentale riguardante i beni comuni è l’acqua pubblica. Nel manifesto dell’European Water Movement presentato il 18 marzo 2015 al parlamento europeo, si chiede il riconoscimento giuridico della nozione di bene comune. Nel documento sono citati gli sforzi compiuti dalle amministrazioni di Napoli e Parigi per la ri-municipalizzazione dell’acqua. A quattro anni dalla nascita dell’Acqua Bene Comune ritiene che l’acqua completamente pubblica sia una strada percorribile?

Luigi de Magistris: Assolutamente sì. Siamo particolarmente orgogliosi dello statuto, che potete vedere lì rilegato. Napoli è la prima e quasi l’unica città d’Italia, unica tra le metropoli medio-grandi, che ha attuato il referendum popolare del giugno 2011 – nel quale oltre 27 milioni di italiani votarono in favore dell’acqua pubblica. Noi abbiamo fatto, se possibile, ancora di più: abbiamo creato l’Abc in un momento di difficoltà economica e di crisi. Abbiamo avuto il coraggio e la forza di andare avanti trasformando una società per azioni, l’Arin, in un’azienda di diritto speciale. Un percorso molto difficile, che non si limita al solo statuto: sono state affrontate questioni economiche, finanziarie, di bilancio, previdenziali, lavorative ed amministrative. Abbiamo messo in sicurezza l’azienda che oggi è un modello che dovrebbe essere esportato, semmai è grave che ci siano altri che continuano a non far nulla o che vanno in direzione contraria - penso alla legge approvata dalla regione Campania che va verso il rafforzamento del ruolo delle multinazionali e di una logica del profitto economico legato all’acqua. L’acqua è un bene e dev’essere di tutti, credo che Napoli anche in questo dimostri di essere in prima linea.

Cafébabel Napoli: Parlando dell’Abc, in questi giorni la testata L’Espresso ha riproposto un reportage del 2013, “Bevi Napoli e poi muori”, a seguito della archiviazione della querela presentata dal comune. L’articolo riportava uno studio della United States Navy che avrebbe rilevato criticità sulla qualità e la manutenzione dell’acqua. Cosa ci dice al riguardo?

Luigi de Magistris: Innanzitutto l’articolo de L’Espresso continua ad essere diffamatorio, tanto è vero che ricorreremo in Cassazione. È un provvedimento che quasi non esiste quello del gip di Velletri perché, spiace dirlo, nella sintetica motivazione non si discute dell’acqua. Il giudice era distratto o si era un attimo confuso. Perciò ricorreremo in Cassazione e continueremo sulla strada dell’azione civile chiedendo un miliardo di euro di risarcimento. Aggiungo che l’articolo non riguardava Napoli, ma soprattutto altre aree. Riguardo il tema dell’acqua a Napoli: è tra le acque più controllate d’Europa, garantita da ripetuti esami quotidiani. L’acqua è monitorata ed è buona da bere. Poi c’è un tema complessivo: le manutenzioni pubbliche e private. Alcune parti delle condutture chiaramente sono private, dei condomini, che devono essere manutenute mentre le condotte pubbliche dell’Abc necessitano di investimenti per essere migliorate ed evitare e ridurre le formazioni, che a volte si verificano, di depositi di manganese o di calcare. Certamente c’è bisogno di ammodernamenti e manutenzione, ma non c’è nessuna preoccupazione perché i controlli sono molteplici e sono effettuati dall’Abc, dalle Asl e anche da altre strutture. All’epoca L’Espresso mise insieme varie cose - poteva pure esserci qualcosa di vero, ma non riguardava Napoli - ha prodotto un danno enorme e anche il 13 gennaio, riproponendo la notizia, ha continuato a propalare questo danno. Alla fine ne risponderà, perché il contenuto diffamatorio dell’articolo è evidente.

Cafébabel Napoli: Uno degli esempi di maggior successo tra i beni comuni è l’Asilo, dove «lavoratori e lavoratrici dell’immateriale» hanno, dal 2012, riunito una «moltitudine di artisti, operatori, ricercatori, studenti, lavoratori del settore culturale e liberi cittadini che ha occupato e rianimato con spettacoli, concerti, presentazioni di libri, assemblee e seminari quello che prima era un’enorme spazio vuoto e privo di identità» creando «un centro di produzione interdipendente che ruoti attorno a una comunità di riferimento che si autogestisce, i lavoratori dell’arte, della cultura e dello spettacolo, artisti, studiosi, nonché il pubblico che ne fruisce, dotato dei mezzi di produzioni necessari a produrre arte e cultura» (fonte: sezione "Chi siamo?", dal sito de l'Asilo). Crede che questa visione di autogestione possa essere un’alternativa alla moria di fondi pubblici per la cultura? Una sorta di welfare dal basso, se così possiamo chiamarlo? In che modo si è giunti alla delibera che riconosce il Regolamento d'uso civico di questo spazio?

Luigi de Magistris: Sicuramente sono iniziative che condividiamo, apprezziamo e sosteniamo. Le sosteniamo in modo diverso rispetto alle politiche del passato: rispettandone l’autonomia, non entrando in conflitto con loro e senza imporre alcun tipo di direzione politica o culturale dall’alto. L’Asilo è una bella esperienza il cui merito è chiaramente ascrivibile agli operatori culturali, artistici, sociali che hanno ivi operato; è bello vedere che questo è avvenuto non in conflitto con l’amministrazione comunale, anzi abbiamo fatto tante iniziative insieme. Anche la delibera, che citavo prima, la prima in Italia sulla procedimentalizzazione dell’uso civico nelle politiche culturali, è qualcosa di straordinariamente importante. È frutto di un dialogo, che ha portato ad essa  mantenendo l’autonomia di entrambe le realtà, tra gli operatori de l’Asilo e il comune di Napoli. Insieme abbiamo prodotto qualcosa che rende conoscibile, riconoscibile e istituzionalizzato questo percorso dal basso.

Cafébabel Napoli: Riguardo questo punto: negli ultimi due anni sono nate altre realtà simili a quella de l’Asilo come Je so’ pazzo e Scugnizzo Liberato. Ritiene che in futuro, qualora dovessero intrattenere un dialogo con il comune, sia possibile arrivare ad una delibera che ufficializzi queste realtà e le loro attività?

Luigi de Magistris: La delibera vale per tutti. Nasce da l’Asilo e si estende agli altri. Già siamo in dialogo con queste esperienze e potrei citarne anche altre, come villa Medusa a Bagnoli o Santa Fede Liberata nel centro storico. Abbiamo lavorato insieme a Je so’ pazzo dall’inizio, il comune è intervenuto per evitare lo sgombero militare di quelli che entrarono per liberare quegli spazi ed abbiamo dato anche un supporto per quanto riguarda alcune attività attinenti l’acqua e la luce. Vorrei ribadire un risultato importantissimo: acquisire al patrimonio comunale queste strutture, sia l’ex-carcere minorile che l’ex-ospedale psichiatrico giudiziario. Questo è un lavoro che ha fatto il comune, cioè sottrarre al demanio, allo stato questi beni per farli entrare nel patrimonio comunale e presentare dei progetti in base ai quali chiedere finanziamenti europei, progetti condivisi con queste esperienze che nascono dal basso. Questa è un’altra cosa molto affascinante: progetti non calati dall’alto, ma creati insieme alle esperienze che maturano dal basso per poi andare a chiedere i fondi europei. Questo tipo di metodologia politica, di lavoro, di delibere, non sono ad personam o intuitu personae, ma partono da alcune esperienze specifiche e diventano da emulare, in positivo, da chiunque ne voglia beneficiare e praticare.

Cafébabel Napoli: A settembre si è tenuto Shake Up Europe, un incontro tra le varie redazioni in cui i giovani giornalisti si sono confrontati sui temi più caldi che interessano l’Unione Europea. La sensazione più diffusa tra noi, per quanto riguardo l’Europa, è che vi sia un divario sempre più grande tra i cittadini e le istituzioni. Crede che la pratica dei beni comuni può ovviare a questo sentimento comune e divenire un fattore trainante per l’Europa?

Luigi de Magistris: Assolutamente sì. L’esperienza amministrativa e politica di Napoli sta dimostrando, pur tra mille difficoltà, che la distanza tra rappresentanti e rappresentati si è molto accorciata. Di quest’esperienza politico-amministrativa tutto si può dire tranne che ci sia un arroccamento della politica comunale nel palazzo. Proprio quello di cui abbiamo parlato finora dimostra che si è fatto di tutto per cercare, in qualche modo, di rendere un’unica agorà la polis politica cittadina - un luogo dove le decisioni vengono attuate attraverso il dialogo dal basso. Potrei fare tanti esempi: quello che sta accadendo in questi giorni su Bagnoli, quello che è accaduto con il progetto riguardo le Vele, gli argomenti di cui stiamo discutendo. Siamo convinti che le politiche dei beni comuni siano questo: un nuovo modo di fare politica dove anche la contrapposizione tra pubblico e privato si affievolisce, perché la nozione di bene comune include tutto. Ovviamente va declinata con concretezza, perché c’è anche chi parla di bene comune a sproposito o chi, pur parlandone, fa esattamente l’opposto.

Cafébabel Napoli: Nella delibera sui beni comuni sono inclusi anche “gli edifici di privati in disuso”. Una terminologia forte, che è stata definita da alcune parti ‘illegale’. Cosa risponde a tali critiche?

Luigi de Magistris: Credo che più che di illegalità si tratti proprio di andare in applicazione della costituzione repubblicana, tanto è vero che la conferenza stampa di presentazione di questa delibera di giunta fu fatta con un’ex-presidente della conte costituzionale, il professor Paolo Maddalena. La costituzione non tutela la proprietà privata in ogni caso: gli articoli 41 e seguenti hanno il loro baricentro nella tutela della proprietà privata, purché questa non sia in contrasto con una funzione, un’utilità sociale. La nostra delibera ha in oggetto non l’espropriazione o la requisizione della proprietà privata così intesa. È l’intervento pubblico, comunale e sociale nel caso dei beni privati abbandonati. Nel caso in cui questi beni siano abbandonati da tempo, si apre un procedimento amministrativo dove, garantendo il proprietario nei suoi diritti, si chiede che cosa egli intenda farne: se nulla viene fatto, il comune lo requisisce e lo affida al territorio che, con politiche diverse, non calate dall’alto, decide cosa farne. Se un luogo privato è diventato una discarica da anni, non riesco a capire perché ne vada tutelata la proprietà privata. In quel caso si apre un procedimento, si invita il proprietario a prendere provvedimenti e, se non vengono fatti, si interpella la cittadinanza che, attraverso politiche partecipative dal basso, decide in autonomia ed insieme all’amministrazione comunale cosa fare al posto della discarica: un centro sportivo, un teatro, un centro sociale, un parco. Credo che anche questa delibera rappresenti una novità assoluta nel panorama politico nazionale, cioè quello di indirizzare qualsiasi bene verso l’interesse collettivo e verso la realizzazione di proprietà collettive e democratiche. Laddove una proprietà privata è abbandonata, è una res derelicta che sta per diventare una res nullius, può diventare una proprietà collettiva abbandonata.

Cafébabel Napoli: Quindi ritiene che edifici ed aree abbandonate come l’ex-arsenale dell’esercito in via Campegna, il campo di pelota di viale Giulio Cesare o l’area in cui doveva sorgere il Palazzetto dello Sport in viale dei Giochi del Mediterraneo possano rientrare in questa delibera?

Luigi de Magistris: Adesso stiamo facendo proprio questo: siamo entrati nel vivo di un censimento di tutti i beni che, potenzialmente, possono rientrare all’interno della delibera. Il testo è molto chiaro ed indica con precisione i requisiti da soddisfare, se attraverso il censimento e il procedimento si verifica che il bene è abbandonato si attiva la procedura di cui ho detto prima. Non c’è un bene che non vi rientra per un qualche motivo. Vi può rientrare qualunque bene.

Cafébabel Napoli: Nell’intervista che ha fatto al magazine tedesco Stern ha parlato di un’evoluzione culturale. Svincolarsi, come ha detto prima, dal classico paradigma tra pubblico e privato per cercare una soluzione alternativa è una pratica nuova. Crede che un mutamento così grande di sensibilità sia davvero possibile? Non è forse utopico?

Luigi de Magistris: Non solo è possibile, ma stiamo cercando di realizzarlo. Perché la rivoluzione culturale passa soprattutto attraverso la nozione dei beni comuni, cioè la forte partecipazione dal basso e attraverso il fatto che bisogna ridurre le distanze nel conflitto ideologico tra bene pubblico e privato. Il bene comune non è sicuramente dei privati, ma non appartiene nemmeno a qualche proprietà pubblica – non è il bene del comune, della regione, dello stato – è comune a tutti e tutti ne possono fruire. Ciò che ne fa una rivoluzione culturale è che sia il popolo direttamente protagonista delle decisioni sulla fruizione, gestione, compartecipazione di tale bene. Che questa rivoluzione non sia un’utopia lo dimostrano le energie liberate che si sono messe in campo in questi anni nella nostra città e che abbiamo citato. Sono tutte esperienze che non nascono più come pratiche di occupazione. Con quest’amministrazione e questo modo di fare politica se uno si prende cura di un bene abbandonato, dismesso o rilancia beni che non prima non erano valorizzati, non si ragiona più nell’ottica dell’occupazione ma nell’ottica della liberazione. Anche nel linguaggio politico mi sembra che ci sia un cambiamento radicale. Mentre da altre parti queste pratiche vengono trattate come questioni di ordine pubblico e sono trattate con lo sgombero e metodi securitari e polizieschi, qui si ragiona in un’ottica culturale, politica, di mediazione e confronto. Ovviamente non si tollerano pratiche di tipo privatistico: ecco perché è importante il regolamento sugli usi civici, per evitare che qualcuno, un domani, imiti una delle iniziative di cui abbiamo parlato per farne un uso pro domo suo.

Cafébabel Napoli: Un’ultima domanda. Napoli, città europea: a nostro avviso ci sono stati passi avanti, emersi anche nel confronto con altri paesi europei. Sicuramente ci sono ancora delle criticità per definire Napoli completamente inserita nel contesto europeo. Cosa, secondo il sindaco, manca alla città per potersi proporre come protagonista in questo contesto?

Luigi de Magistris: Chiaramente bisogna fare ancora tanto. Partiamo dalla premessa della domanda. Anch’io credo che, negli ultimi tempo, Napoli abbia riacquisito un ruolo internazionale importante e finanche mai avuto sotto certe connotazioni – cultura, turismo, innovazioni, giovani. Credo che oggi per essere europea, anzi per essere tra le capitali del mondo, deve colmare il gap in alcuni servizi ed infrastrutture. Penso ai servizi che si offrono alle persone che vengono nella nostra città, ai trasporti, al porto. C’è da recuperare il tempo perso, i decenni persi per ragioni varie. Credo che quella sia la direzione per rendere Napoli definitivamente europea. Come visione di città, secondo me è una città molto glocal. Nel senso che sta creando una globalizzazione differente, fondata sull’umanità, sul dialogo, sull’abbattimento di pregiudizi, senza mura e filo spinato. Una vocazione di capitale del Mediterraneo: quindi città europea, però di sud Europa; nello stesso tempo di nord, nord Africa, vicina all’oriente. Capace di guardare ovunque e di non dover scegliere se essere filoamericana o filorussa, ma avere la stessa capacità di dialogare con entrambe. Credo che la città stia acquisendo questa dimensione politica sul piano laico e anche sul piano religioso, con l’incontro tra le fedi, sul piano culturale e sta puntando molto sulle relazioni umane; quindi un concetto di benessere individuale e collettivo non fondato sui tratti identitari delle politiche liberiste - l’avere, l’apparenza, il consumo, la materialità, il denaro - ma fondato sull’essere e sulla persona. La persona è al centro dell’azione della città. Secondo me il ruolo internazionale l’ha riacquistato, forse ha per certi aspetti un ruolo di guida su alcune tematiche mondiali. Su altre invece siamo indietro: sono, come detto, le infrastrutture ed i servizi dove francamente bisogna fare molto.