Moldova, la rivoluzione arancione non passa di qua
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I moldavi non hanno tempo per aspettare che la Moldavia entri in Europa. Sempre più numerosi imboccano la via dell’occidente. Con ogni mezzo. Reportage.
Nikolaj ha 23 anni ed una laurea in economia in tasca. Parla inglese e, come molti suoi coetanei, non vede l’ora di lasciare la sua regione, la turcofona Gagauzia ed il suo paese, la Moldavia. Ha ricevuto una proposta di lavoro: raccoglierà insalata in Inghilterra. Al consolato britannico, dopo mesi di attesa per ottenere un visto britannico, viene interrogato: “quale città ospita la sede della Banca Centrale Europea?”.
Un ragazzo gagauzo deve sapere che a Francoforte c’è la Bce per entrare legalmente in Europa, ma non sempre lo sa. E così niente visto per Nikolaj, che proverà a lasciare la Moldavia con altri mezzi: da clandestino oppure con un bel passaporto bulgaro nuovo di zecca. La libertà di circolazione costa qualche centinaio di euro (una piccola fortuna) nella povera Moldavia.
Un miraggio tinto d’arancione
A due passi da Bucarest ed Odessa, la piazza arancione di Kiev sembra lontanissima dalla capitale moldava Chisinau. Nikolaj sogna l’Inghilterra, ma (come il 47% dei moldavi) ha votato per il partito comunista moldavo (PCM), vincitore finale grazie al suo ultimo cambio di linea politica: no alla Russia, sì all’Occidente.
Nonostante la vicinanza della Romania, che si appresta ad entrare nell’Ue, e dell’Ucraina sconvolta dal ciclone Yushenko, la primavera che ha accompagnato le elezioni dello scorso 6 marzo non è colorata d’arancione.
Non c’è traccia di seguaci dei movimenti che hanno facilitato la transizione democratica in Serbia, Georgia ed Ucraina. Non si trovano copie dei manuali del teorico della nonviolenza, Gene Sharp. Non ci sono accampamenti colorati. Non c’è stampa internazionale. Non ci sono i russi. E nessuno ha prenotato le piazze per manifestazioni in caso di brogli elettorali. La
“rivoluzione arancione” non abita a Chisinau.
La Transnistria
Le strade di Chisinau erano piene di gente dopo le elezioni. Si festeggia la tradizionale festa dell’ingresso della primavera, consapevoli che le elezioni del 6 marzo non hanno cambiato nulla e che tutti i problemi del paese restano sul tavolo. Innanzitutto, la questione Transnistria, la regione separatista non riconosciuta controllata da una gruppo para-criminale, nella quale sono stazionati oltre 1500 soldati russi. Un paese nel paese, con la sua moneta (il rublo di Trasnistria), una sua polizia, una capitale (Tiraspol), frontiere, visti e passaporti. Un avamposto usato da Mosca per minacciare la potenziale destabilizzazione di una regione attraverso la quale continuano a transitare la maggior parte dei traffici illeciti diretti in Europa. L’Ucraina di Kuchma permetteva il transito verso la regione separatista, ma se il nuovo corso a Kiev decidesse di chiudere le frontiere, quelli di Tiraspol avrebbero i giorni contati.
Ma i moldavi sanno che la soluzione del conflitto tra Chisinau e Tiraspol dipende molto di più da Washington e Mosca che dalle capacità della propria diplomazia. E ci si preoccupa soprattutto di come sbarcare il lunario con un salario medio che difficilmente supera i 50 euro mensili.
Donne e uomini in fuga
Il partito Comunista ha vinto le elezioni promettendo di triplicare i salari in un anno. Ma la situazione economica moldava non si risolverà con la bacchetta magica. Saranno necessarie riforme drastiche ed un passaggio sempre più deciso all’economia di mercato. Tutte cose difficili da realizzare per il governo comunista di Voronin. E quindi tutti lasciano
o vogliono lasciare il paese. Se l’Europa, con il suo stato di diritto, la sua economia di mercato e il suo modello democratico non arriva in Moldavia, i moldavi vanno in Europa. La diaspora moldava in Europa è impressionante. Come nell’Italietta del primo Novecento non c’è famiglia che non abbia un parente a Monaco, a Patrasso o a Milano. Famiglie divise, a volte per anni, separate da un permesso di soggiorno impossibile da ottenere e da chilometri colmati solo dalle carte telefoniche internazionali. E la Moldavia invecchia, orfana dei suoi giovani in cerca di lavoro e di Europa. Le rimesse degli emigrati servono a poco se non esiste un tessuto produttivo autoctono.
C’era tanta speranza a Kiev durante la “rivoluzione arancione” quanto disillusione ed oblio due mesi dopo a Chisinau. Dopo Georgia ed Ucraina è difficile continuare il domino dell’Est in un paese che sembra dimenticato dai nonviolenti, dall’Europa, dai Russi e dagli americani. Un paese che, senza cambiamenti radicali, anche i moldavi hanno soltanto voglia di lasciare, temendo di dimenticarlo e dimenticarsi.