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Minsk, la strada verso la perfezione. Di regime

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Ordinata, elegante e così pulita da far venire voglia di camminarci scalzi. Ecco come il regime di Lukashenko ama presentare la capitale della Bielorussia. Almeno quella che i turisti devono vedere.

«Hanno appena finito di ristrutturarla, non ti sembra perfetta?», mi chiede Andrey, giovane bielorusso che vive del business dei visti. «Per uno che normalmente costa 60 dollari, la commissione che prendo può arrivare fino a 100».

Sulla strada per l'albergo, Andrey sfiora i 130 km/h in una delle strade più belle che io abbia mai visto: asfalto perfetto, quattro corsie per senso di marcia separate da un prato degno del parco di Versailles, illuminazione impeccabile. Unico assente: le macchine.

«Perfetta anche perchè decisamente poco trafficata, no?», lo provoco. «A parte la sua bellezza, serviva davvero una strada così grande per arrivare in città?». Tenendo le mani fisse sul volante mi risponde con un velo di tristezza, come se avessi toccato il tasto sbagliato: «Forse no. Ormai ci sono solo una trentina di voli che atterrano qui a Minsk, non è più come ai tempi dell'Unione Sovietica. Anche l'aereoporto è troppo grande per come vanno le cose adesso: un tempo Minsk era ben più importante. Abbiamo persino una strada che porta direttamente a Mosca!».

«Una volta abbiamo accompagnato in città un giudice bielorusso di settant'anni. Era la prima volta che veniva a Minsk: è rimasto a bocca aperta. Non poteva credere che questa fosse la capitale del suo paese. Non poteva immaginare che un posto così perfetto fosse tanto vicino a quello dove lui aveva trascorso la vita».

"Loro" sanno tutto

Lino e Sandro sono italiani ed in Bielorussia ci vengono ormai da una vita.

La prima volta ci arrivarono in sella alle loro biciclette: «Un viaggio un po' lungo, è vero. Ma eravamo giovani». «Ora che siamo tutti e due in pensione, ci occupiamo di un'associazione che accompagna i bambini di Chernobyl in Italia in estate. È incredibile quanto il paese sia peggiorato». Sì, perché in vent'anni di Bielorussia ne hanno vista tanta. Prigioni comprese.

«È un'esperienza che ti segna. Impari che devi stare attento a tutto perché “loro” sanno tutto». Non scherza Lino: è finito dietro alle sbarre a causa di un articolo troppo critico verso il regime . «Pubblicato sul bollettino della nostra associazione! Quindi puoi immaginare quanti lettori abbia!».

Pasolini e De Sica

Troppo perfetto: il palazzo di Lukaschenko (Foto GA)

Ogni edificio, ogni finestra del centro è talmente illuminata che anche la Ville Lumiere impallidirebbe. «Chi paga? Noi è ovvio, con i soldi pubblici», mi dice Julia, giovane studentessa di filologia che, anche a causa delle sue posizioni non troppo tenere con chi governa il paese, continua a vedersi negare la possibilità di visitare quell'Italia che studia da tanto tempo. «Anche quest'anno hanno mandato qualcun altro che pure aveva voti più bassi dei miei», si lamenta con una sua professoressa usandomi come testimone.

La risposta? Una scrollata di spalle ed un rassegnato: «Sa anche lei che questi sono problemi complessi, che non dipendono solo da noi».

Julia parla correttamente italiano, usa il congiuntivo, critica Baricco, «gli salvo solo Oceano Mare», legge il Corriere della Sera, guarda i film di Pasolini ma snobba De Sica, «non ho tempo per guardare tutto», dice con un sorriso diplomatico. E non è molto ottimista sul futuro del proprio Paese. «Mia madre guadagna 100 euro al mese e la connessione ad internet ne costa 30: hai voglia a parlare di rivoluzione online!».

«Ogni volta che mio padre vede in televisione Lukashenko (il presidente-dittatore della Bielorussia, ndr), non riesce a trattenere la rabbia. Eppure quando io gli dico che non dovrebbe farlo soltanto in casa, lui stringe le spalle e mi dice che non può. E lo capisco, perchè perderebbe tutto: come si fa a mantenere una famiglia senza un lavoro?».

Lei continua a protestare. Ha partecipato alla marcia europea come a quelle precedenti, e lo farà anche in futuro.

«Sai, io non ho niente. Non possono togliermi nulla. Siamo noi giovani, noi che non abbiamo niente da perdere a dover lottare per cambiare il nostro paese». E lei, quando parla, le spalle non le stringe.