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"Million Dollar Baby" a Istanbul, in palestra come gli uomini

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Noemi Noemi

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A queste olimpiadi di Londra sono più le donne (66) che gli uomini (48) a rappresentare la Turchia. "L'unica differenza consiste nel fatto che agli uomini turchi non piace realmente lo sport - a loro piace solo vincere", racconta il mio amico di Istanbul, città capitale dello sport nel 2012.

Le donne turche sono più "leali" nello sport rispetto agli uomini? Basta questo a spiegare il successo femminile in questo campo? Le donne fanno meglio "squadra"? Delle 66 atlete femminili presenti ai Giochi Olimpici di Londra, 24 di loro provengono da squadre di basketball e di pallavolo. "Di sicuro noi siamo molto più leali e obiettive degli uomini" dice Nursen, una 56enne fan della squadra di calcio Fenerbahce, presente alla partita contro il Manisaspor, vietata agli uomini adulti. "Non abbiamo pregiudizi. Non abbiamo intenzioni bellicose prima del gioco. A noi piace semplicemente guardare e tifare la nostra squadra e portare la gioia di vivere mentre siamo allo stadio". Ma anche alle donne piace vincere. Come potrebbe esserci competizione, senza la voglia di lottare e vincere?

La lottatrice

Salto su una barca mi dirigo con il bus verso Kavacik, verso la palestra MMA Corvos. "Molti ragazzi mi hanno chiamato al telefono, ripetendo per ore quanto desiderassero diventare lottatori, ma quando gli dico dove si trova la palestra dicono che è troppo lontana", dice il fondatore Burak Deger Bicer, che mi accoglie a braccia aperte e con una deliziosa tazza di caffé. "Magari vivono solo a tre chilometri dal ponte. Suzan, al contrario, deve percorrerne trenta con i mezzi pubblici". Suzan Özen è una lottatrice che ha trovato online tutte le informazioni sulla palestra. Come nel film Million Dollar Baby (2004), la 28enne ha messo piede nella palestra dicendo: "voglio diventare una lottatrice".

Nessuno sembra far caso a lei, mentre combatte e si rotola sul tappeto, poco prima dell'ingresso del gruppo maschile di ju-jitsu brasiliano. Truccata come d'abitudine, Suzan ha tatuato sul braccio il logo a forma di corvo della palestra, come tutti gli altri, d'altronde. Sfoggia un grande, bellissimo sorriso, mentre Burak mi traduce quello che dice: "ho sempre cercato qualcosa nella mia vita ed ora l'ho trovato - mi dice - [il ju-jitsu] è un tipo di felicità per la quale ho atteso per molto tempo. Il mio obiettivo ora è farne una professione, ma è difficile trovare sponsor e soldi per competere a livello internazionale. I miei famigliari, anche se vengono dall'est e vivono tuttora in una piccola cittadina, approvano la mia scelta. Mio padre ripete sempre: 'quando mia figlia fa qualcosa, lei sa benissimo cosa sta facendo'".

"Alcuni ragazzi accettano di combattere con Suzan, perché amano lo sport e l'allenamento. Altri invece non lo accettano e mollano. Purtroppo è così"

"Le arti marziali in Turchia sono circondate da una marea di pregiudizi - aggiunge Burak - Specialmente se sei una donna e se lo sport include prese e contatto ravvicinato. Ma non giudichiamo la gente. Non ci interessa se sei ricco, povero, un ragazzo o una ragazza, a noi interessa solo la tecnica. Non pensiamo al seno di Suzan, al massimo ci interessa se ha le gambe corte e cose del genere. Spesso sono i principianti gli unici a sentirsi a disagio. A volte lascio combattere dei ragazzi con Suzan, per mostrare cosa noi facciamo per davvero, lei può combattere con un ragazzo il doppio della sua taglia e batterlo. Alcuni accettano questa situazione, amano lo sport e l'allenamento. Altri invece non lo accettano e mollano. Purtroppo è così".

L'escursionista col velo

Nella Foresta di Belgrado (Belgrad Ormani), 15km a nord-ovest di Istanbul, Reyhan e Nergiz gentilmente mi invitano a colazione. Le due insegnanti, una di tedesco e l'altra di inglese, ogni giorno fanno escursioni a piedi o in bici. "I nostri amici pensano che siamo pazze - ridono - la maggior parte di loro passa il tempo girando tra bar. Pensano che noi siamo strane". Quando faccio un giro in bici assieme a loro, non capisco se la gente che ci guarda sia divertita o confusa. So solo che continuano a fissarci. Reyhan ha imparato ad andare in bici due anni fa: "sono cresciuta in un piccolo villaggio in Turchia e non avevamo abbastanza soldi per una bici", spiega lei. Sulla via del ritorno, guardo dal finestrino del bus Piazza Taksim: due sommozzatori si gettano nelle acque del Bosforo in una calda giornata di Luglio, e due donne velate con lohijab li osservano dalla riva. Per chi è cresciuto in una famiglia tradizionale il velo potrebbe essere un ostacolo in più nello sport, anche se Suzan sembra sia stata fortunata.

La dottoressa Emma Tarlo, autrice di Visibly Muslim: Fashion, Politics, Faith, ha dimostrato che molte donne abbandonano lo sport a causa dello hijab. Cindy Baygin van der Bremen, che vive in Olanda ed è sposata con un uomo turco, è la prova di come tutto questo sia solo un pregiudizio. Lei è la designer e fondatrice di Capster: una marca di veli sportivi, basati sulla tecnica Velcro; grazie al suo design, la Fifa ha permesso l'uso dello hijab in cooperazione con il principe di Giordania Ali Bin Al-Hussein. "Quello che è importante, in materia di sport e di hijab, è laresponsabilizzazionedelle donne - spiega lei - Le donne nei paesi islamici devono affrontare molte difficoltà prima di poter praticare uno sport. E' importante che vi siano dei modelli da seguire per altre donne: sono la prova che è possibile allenarsi, con o senza lo hijab. Come Capsters, non siamo contro il velo, ma sosteniamo il diritto alla scelta".

A disturbare il tutto, l'immagine delle donne velate sulle rive del Bosforo.

Un velo non significa oppressione di per sé, e un "vestito moderno" non si associa sempre a una mente progredita. Per molte donne, sport e hijab non sono un modo per uscire dal destino di casalinga, mentre per altre si tratta di una scelta deliberata. Hijab o meno, c'è ancora molto da fare per superare la visione tradizionale dei ruoli femminili nella società turca. Una mente da lottatrice può tornare sempre utile. La campionessa atletica Nevin Yanit lo ha detto molto chiaramente: "quando una ragazza inizia a fare sport, molte persone si chiedono se una donna ha il diritto di farlo". Ma quando ha vinto una medaglia d'oro agli Europei di Barcellona, ​​i funzionari dalla sua città, vedendo che aveva lavorato duro, hanno deciso di dare il suo nome al nuovo campo di atletica di Mersin. Lo stesso dove continua ad allenarsi.

Questo articolo fa parte dekka quinta edizione del progetto Orient Express Reporter II, di cafebabel.com, destinato a inviare giornalisti balcani nelle città dell'Unione Europea e viceversa. Si ringrazia Burcu Baykurt, Cansu Ekemekcioglu, Recai Yuksel e tutto lo staff della palestra MMA Corvos.

Foto di copertina: © cortesia di London Olympics 2012; nel testo: © Carole Viaene.

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Translated from ‘Million Dollar Baby’ Istanbul - no hurdle to being a woman in sport