Merkel e Sarkozy: Europa, dietrofront!
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Elena MeinekeDopo le numerose dissonanze emerse negli anni passati, la ritrovata intesa sull’asse franco-tedesco dovrebbe essere motivo di compiacimento. Ma nell’era Merkel-Sarkozy resta ben poco di quello che un tempo veniva definito ‘il motore dell’integrazione europea’.
Dal pacchetto di provvedimenti presentato dalla cancelliera tedesca sotto il titolo ‘Patto per la competitività’, fortemente appoggiato dall’Eliseo, emergono invece una perdita di consapevolezza a livello comunitario nell’ambito della solidarietà sociale e una profonda sfiducia nei confronti delle istituzioni europee.
A margine del Consiglio Europeo tenutosi a Bruxelles il 4 febbraio scorso, la cancelliera tedesca e il presidente francese hanno lavorato alacremente per pubblicizzare il Patto per la competitività proposto dalla Germania, che prevede un meccanismo anticrisi per la moneta unica e un coordinamento politico-economico maggiore fra i 17 Stati dell’Eurozona. Certo, così facendo anche Berlino, che finora si era opposta con fermezza all’idea francese di un governo europeo dell’economia, sembra finalmente riconoscere che l’unione monetaria non può funzionare senza una più stretta collaborazione sul piano politico-economico. Ma guardiamo al di là delle apparenze: la proposta tedesca non sostiene in alcun modo una maggiore integrazione europea. Auspica al contrario il ritorno a processi decisionali intergovernativi che escludano dalla consultazione le istituzioni europee a questo preposte. Inoltre, nel trattare temi politici particolarmente sensibili diventerebbe possibile aggirare il controllo democratico dell’esecutivo da parte dei parlamenti nazionali e del Parlamento Europeo (PE).
Più potere ai capi di governo
Secondo le intenzioni della Merkel e di Sarkozy, per mettere l’Euro al riparo da ulteriori crisi gli stati dell’Eurogruppo dovrebbero in futuro sottostare a obiettivi comuni in materia di salari, pensioni e fisco. Ma tali obiettivi non verrebbero definiti attraverso una procedura legislativa ordinaria a livello europeo che preveda la partecipazione del PE, bensì discussi all’interno del circolo esclusivo dei 17 capi di stato e di governo. I quali potrebbero assumere direttive in merito a questioni politiche di primaria importanza – come la politica finanziaria o quella sociale – senza interpellare i parlamenti nazionali e l’Unione Europea (UE) e senza coinvolgere nel dibattito la società civile nazionale. Ciò equivarrebbe ad un netto rifiuto del metodo comunitario che fino ad oggi ha contraddistinto l’UE come organizzazione sovranazionale.
Livellamento degli standard sociali verso il basso
Appare significativo il fatto che le critiche più aspre nei confronti dell’iniziativa franco-tedesca provengano proprio dal presidente dell’Eurogruppo, il primo ministro lussemburghese Jean-Claude Junker, che senza ombra di dubbio può essere indicato come uno degli ultimi europeisti convinti fra i capi di stato e di governo in carica. Ma Junker non è solo infastidito dall’elusione del metodo comunitario – al pari, fra l’altro, degli euro-parlamentari di tutte le maggiori fazioni. Egli sembra anche non gradire il significato concreto che i governi di Parigi e Berlino attribuiscono all’espressione ‘Eurozona competitiva’. Infatti, forte della sua nuova supremazia economica all’interno dell’UE, la Germania torna ad esigere ancora una volta in maniera preventiva un’ampia estensione della sua politica del risparmio – in particolar modo attraverso ‘un ravvicinamento degli standard sociali’.
In concreto ciò significa che stati come il Lussemburgo o il Belgio dovrebbero rinunciare al proprio modello di collaborazione fra imprese e lavoratori, in base al quale i salari vengono adeguati automaticamente all’inflazione, e che tutti gli stati dovrebbero impegnarsi a portare gradualmente l’età pensionabile ai 67 anni previsti dalla Germania.
Questione particolarmente spinosa in Francia, dove già da tempo il presidente Sarkozy si scontra con i sindacati e l’opinione pubblica nel tentativo di far passare un aumento dell’età pensionabile. Per questo motivo i progetti franco-tedeschi e la futura possibilità di richiamarsi ‘a direttive vincolanti imposte da Bruxelles in materia pensionistica sembrano interessare particolarmente Sarkozy, il cui consenso popolare è sceso di recente ai minimi storici. Dunque, secondo la leadership franco-tedesca, in futuro ancor più che in passato saranno i capi di stato e di governo nazionali a contare a Bruxelles.
Un precedente per la disintegrazione europea?
È del tutto fuori discussione che di fronte a una pesante crisi del sistema economico l’Europa debba trovare soluzioni europee a problemi che non sarà più possibile risolvere a livello nazionale. Proprio tale considerazione in merito ai periodi di crisi è sempre stata decisiva nel favorire l’avanzamento del processo d'integrazione europea e il trasferimento delle competenze nazionali da parte degli stati membri in cambio di una migliore gestione democratica dell’UE.
Dunque, anche questa volta un simile trasferimento di competenze sarebbe giustificato da un aumento della democrazia a livello europeo, ad esempio con una maggior legittimazione democratica della Commissione Europea. Ma piuttosto che elaborare un seppur minimo tentativo di sviluppo del progetto europeista, la Merkel e Sarkozy preferiscono impegnarsi per accrescere il loro proprio potere legislativo. Qualora la procedura semplificata auspicata da Francia e Germania per la modifica del Trattato di Lisbona divenisse operativa, permettendo così di evitare la votazione in seno al Parlamento Europeo, si tratterebbe senza dubbio di un passo storico. Il primo passo indietro nella storia dell’integrazione europea: Europa, dietrofront!
Foto: (cc)Junge Union Deutschlands/flickr
Translated from Europa: Merkel und Sarkozy zurück in die Zukunft