L’Unione Europea contro la direttiva Bolkenstein
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michela zanottiL'Europa sta per aprire le porte al mercato del lavoro. Ma senza una legge-quadro che garantisca il rispetto dei diritti dei lavoratori tali misure potrebbero essere sfruttate a danno dei cittadini.
Negli ultimi cinquant’anni si è assistito ad un processo di unificazione del mercato finanziario mondiale. Questo cambiamento non si è però verificato nel mercato del lavoro. Mentre la circolazione dei capitali è diventata più libera, sono state introdotte ai confini europei restrizioni sempre maggiori sulla mobilità delle persone.
Ma c'è aria di novità, almeno in Europa.
Mani bucate...
Lo scorso mese Finlandia, Spagna e Portogallo hanno annunciato l'intenzione di aprire da maggio 2006 i propri confini a lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri. Al contrario molti paesi, tra i quali Germania e Austria, sono ancora in fase di transizione. Ma diventerà anche per loro inevitabile un'apertura ai lavoratori provenienti dagli Stati di ultima adesione. Anche la Francia, tradizionalmente protezionista, si sta preparando alla svolta. Un recente studio dell'Ocse ha dimostrato che l'apertura dei mercati del lavoro non porterà a massicci flussi migratori. E che le economie dei Paesi che hanno già aperto le loro frontiere (come ad esempio Svezia, Gran Bretagna e Irlanda) hanno tratto beneficio dalla nuova forza lavoro.
…e portafogli vuoti?
Il discorso legato ai periodi di transizione riveste tuttavia un'importanza marginale. Risulta di maggiore interesse la questione relativa alla tutela dei lavoratori all'interno di un mercato comune del lavoro. Un problema che mette i sindacati di fronte a nuove sfide. La Confederazione europea dei sindacati (Ces), ovvero l'organizzazione europea che riunisce i sindacati di tutta Europa, propone una soluzione.
In una recente intervista Tom Jenkins, responsabile alla Ces per le questioni relative all’allargamento, ha accolto di buon grado la notizia che sempre più Paesi si apprestano ad aprire i propri mercati del lavoro: «sarebbe preferibile evitare i periodi di transizione. Le restrizioni temporanee si sono sempre rivelate dannose e hanno portato all'aumento del lavoro nero, dello sfruttamento e della discriminazione». In Europa occidentale si continuerà comunque ad avere carenza di forza lavoro e l'apertura dei confini, piuttosto che il lavoro illegale, potrebbe risultare la miglior soluzione al problema.
Tuttavia la Ces pone una condizione all’apertura del mercato del lavoro. Esige un'uguale retribuzione per tutti coloro che lavorano nello stesso territorio in modo che, come dichiara Tom Jenkins «l'apertura dei mercati del lavoro non funga da espediente per aumentare la concorrenza». E proprio il principio dell'uguale trattamento è divenuto una delle principali questioni d'interesse della Ces.
La Ces si difende
Questo principio è stato notevolmente ridimensionato nella proposta di Direttiva, che poneva i diritti dei lavoratori e il diritto del lavoro al centro del mercato comune. Ed è stata soppiantata nel 2004 dalla Direttiva sui servizi nel mercato interno, meglio nota come Direttiva Bolkestein che ha sostenuto un'ampia liberalizzazione dei servizi europei.
Il nocciolo della questione era costituito dal "principio del paese di origine", che prevedeva per le imprese di servizi "di essere soggette solamente alle disposizioni nazionali dello Stato d'origine". La Ces teme che ciò possa portare ad una rovinosa spirale causata dalla delocalizzazione di molte imprese in Paesi con salari più bassi e normative ambientali meno rigide.
La reazione a questa direttiva è stata una forte protesta condotta principalmente dalla Ces. Nel febbraio scorso il Parlamento Europeo ha approvato con 319 voti favorevoli e 213 contrari i cambiamenti fondamentali apportati alla Direttiva sui Servizi, in modo da salvaguardare tutti gli elementi previsti dalla proposta di Direttiva. Le imprese di servizi saranno quindi obbligate a conformarsi ai salari e alle condizioni di lavoro del paese in cui è fornito il servizio. La nuova bozza è stata presentata al Parlamento e verrà messa al voto entro la fine dell’anno.
Una direttiva libera tutti?
La "nuova" direttiva Bolkestein prevede dei grossi limiti per quanto riguarda la tipologia di servizi per i quali vige la liberalizzazione. Secondo la Ces i Servizi di interesse generale (Sig) dovrebbero rientrare in un diverso contesto rispetto ai Servizi di interesse economico generale (Sieg). Alcuni criticano la direttiva sostenendo che permette a paesi come la Francia di continuare la sua politica protezionistica e che limita in modo sleale la competizione con le imprese dei nuovi Stati membri.
Poco dopo il voto di febbraio Piotr Wozniak, Ministro dell'Economia polacco, ha espresso seri dubbi nei confronti di un disegno di legge modificato in questo modo. Da un mercato interno comune dei servizi i nuovi Stati membri possono trarre dei sicuri benefici, ma la capacità competitiva di questi ultimi sulla base della loro povertà potrebbe non essere una strategia sostenibile per l’Europa.
Il dibattito
In un’epoca in cui i confini fra destra e sinistra sono sempre più indefiniti, il dibattito sulla direttiva riaccende le parti: i favorevoli alla "nuova" Bolkestein sono per l'abbattimento dei costi, i contrari, alla maniera della vecchia sinistra, sostengono che alcuni servizi pubblici dovrebbero essere salvaguardati dal mercato comune.
La confusione all'interno del dibattito rispecchia la generale confusione dei progetti europei. Ma l'Europa è disposta a restare un'area economica comune o alla base di queste riforme c'è un progetto sociale e intellettuale?
La risoluzione del problema costituisce il fulcro attorno al quale ruota la disputa sull'unificazione del mercato del lavoro: è opportuno calcolare il salario dei lavoratori polacchi in Finlandia sulla base degli stipendi polacchi oppure sulla base di quelli finlandesi? Quest'ultima ipotesi è in maggiore armonia con un progetto europeo che migliori la qualità della vita in tutta l'Europa.
Translated from Standing in union against the Bolkestein Directive