Siamo arrivati in Slovenia senza nessuna idea. Lubiana (Ljubljana in sloveno) non sapevamo neanche come si scrivesse. Pensavamo avesse l'aria di un paese balcanico quando invece sembra una cittadina austriaca. Erano pregiudizi da cinquanta centesimi.
Il Metelkova Mesto è una casa occupata che, dopo essere stata quartier generale dell'esercito austroungarico, e poi dell’Esercito Popolare Jugoslavo (JLA), nel 1990, venne richiesto ad uso “pacifico e creativo” da 200 organizzazioni per la non violenza che crearono la “Rete Metelkova”, nata proprio per poter chiedere l'utilizzo dell'edificio al Ministero della Cultura che, nel frattempo, era diventato proprietario di tutto il complesso. Non avendo risposte, ma solo promesse, un folto gruppo di produttori alternativi si decise ad occuparlo per evitarne la distruzione. Dal 1995 ad oggi questa è una specie di piccola repubblica autonoma e auto-organizzata.
Ed è realmente una calamita di energie, storie, culture. Là abbiamo incontrato un praghese vestito da cacciatore di falchi che sta per comprare un cavallo e ha intenzione di risalire fino in Mongolia con la sua fidanzata in sella; la figlia di un cantante del Madagascar emigrato a 18 anni per studiare; un’irlandese che ha abbandonato il lavoro per stare con il suo uomo a Ljubljana; un sudafricano che ha studiato arte in Indonesia; un promesso sposo austriaco che festeggiava il suo addio al celibato vestito da infermiera, circondato da amici travestiti da scimmie. Peruviani che ballavano la cumbia avvinghiati al "Yalla Yalla” e poi, in cima a un tetto, una bionda sedicenne con ancora l'apparecchio per raddrizzare i denti, che festeggiava il compleanno con una torta al cioccolato mentre dichiarava che per l'anno prossimo sarebbe andata a Los Angeles per diventare famosa. E, di fronte alla mia incredulità, mi ha cantato a cappella Alicia Keys, lasciandomi senza alcuna possibilità di replica.